Carissimi,
“Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati” (Mt 9, 1-2). I peccati non sono la causa della paralisi. La paralisi è il peccato. È il male che si annida così spesso nel cuore stesso della chiesa – Gesù, dice il Vangelo, era appena giunto nella sua città di elezione, Cafarnao – e che ci impedisce di agire, testimoniando Lui, la Parola-evento del Padre, che recita il principio della compassione e della cura. C’è bisogno di qualcuno che assuma l’iniziativa e gridi nuovamente a Lui: perdona il peccato dei tuoi figli, scioglici dai lacci che ci immobilizzano, legandoci e prostituendoci ai poteri del mondo, al servizio dei loro interessi, a costo del sangue dei poveri! Lui, forse, allora, ridirà ancora alla sua Chiesa, a noi: alzati, ritrova la tua dignità, e cammina. Forse. Anche se non ci giuriamo più.
Oggi facciamo memoria di Antonio Fortich, pastore e testimone di giustizia e di pace.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.22, 1-19; Salmo 116A; Vangelo di Matteo, cap.9, 1-8.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un brano della testimonianza trasmessaci da P. Niall O’Brien sulla vita e il ministero del suo vescovo, mons. Antonio Fortich. La troviamo in rete col titolo “An Island of Tears, Island of Hope: The Story of Bishop Fortich” (KASAMA Vol. 17 No. 3 / July–August–September 2003 ). Ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Fortich non ha mai accumulato denaro. Posso ripeterlo? Non ha mai accumulato denaro. Aveva una bella casa a Sum-ag, che donò alla diocesi perché fosse un centro di ritiri e che ancor oggi è usata a quello scopo. Scelse di ritirarsi a vivere nella spartana casa di riposo per preti anziani e lì visse tranquillamente prendendosi cura delle sue piante. Ma, come lui stesso diceva: “Non c’è pensionamento dal lavoro per i poveri”. Così continuò ad occuparsi e sostenere con sollecitudine il progetto di Daconcogon Mill e molti altri progetti per i suoi poveri, che portava avanti con calma. Lui non era proprio quello che si dice un giramondo. Raramente lasciò la diocesi per recarsi all’estero durante gli anni del suo servizio episcopale. E quando andava a Manila, generalmente era già di ritorno il giorno dopo. Un giorno quando tornò da Iloilo su un piccolo biplano durante una tempesta, gli chiesi: “Non ha avuto paura, Monsignore?”, mi rispose: “No, la tempesta non mi preoccupava. Ciò che mi preoccupava erano quegli strumenti di bordo tenuti insieme da elastici e nastri adesivi”. Monsignor Fortich era il più anziano dei vescovi filippini, riverito da tutti per la sua saggezza. […] Suppongo che ciò che lo ha fatto amare, specialmente a Bacolod, è stato il suo paziente relazionamento personale con moltissime persone, per le quali trovava sempre tempo. La sua porta era sempre aperta e centinaia di persone vi racconterebbero la storia di come lui fissò il loro matrimonio, o li aiutò in un qualche problema coi figli, o in altri complicati problemi famigliari, e sempre con quel suo sorriso amabile, di cui noi tutti continuiamo a sentire così forte la mancanza. Naturalmente capitò anche che, a volte, si sentisse profondamente addolorato. Come in occasione del suo pensionamento, o quando i preti lasciavano. Soleva dire che il sacerdozio è un dono e non si deve mai restituire un dono. In ogni caso, subito dopo, essi erano di nuovo i benvenuti quando tornavano a visitarlo, e i loro bambini lo chiamavano “Lolo [nonno] Vescovo”. (Fr. Niall O’Brien, An Island of Tears, Island of Hope: The Story of Bishop Fortich).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.