Giorno per giorno

Giorno per giorno – 06 Giugno 2009

Carissimi,
“Sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12, 41-44). Gesù e il magistero dei poveri. Il responsabile della pastorale per l’educazione dell’episcopato di un certo Paese, intervenendo nella discussione circa la presentazione di candidate di bella presenza alle elezioni europee che si svolgono in questi giorni, aveva dichiarato: “La bellezza ha un ruolo scenico, offre un senso di percezione della forma. Anche l’occhio vuole la sua parte” (Corriere della Sera, 29 maggio 2009). Bontà sua, si era premurato di specificare che essa non dovrebbe comunque essere “l’unico elemento o l’elemento decisivo”. Chissà cosa intende per bellezza quel signore e cosa ritenga sufficiente aggiungere per non fare di essa l’elemento decisivo. Chissà se si sarebbe lasciato incantare, come fece Gesù, osservando quella vedova che, nella sua povertà, stava dando tutto di sé. Stamattina si è parlato anche noi di una vedova: dona Valentina. Che solo pochi di quelli che ci sono venuti a trovare in questi anni conoscono, perché non ci si va spesso a fare le nostre riunioni. Però, giovedì sera, le abbiamo riempito la casa, numerosi come non succedeva da tempo. Dona Valentina è zia di dona Alice, che ci ha lasciati un paio d’anni fa. Ed è vedova da molto tempo. Dona Dominga, che è sua comadre (comare) non si ricorda neanche più da quanto. Il marito, quando è morto le ha lasciato in eredità due sorelle, Mentina e Anica, la prima mezzo cieca e storpia, la seconda muta, che da qualche anno ormai sono entrambe immobilizzate a letto. Beh, voi potete arrivare a qualunque ora, ma le troverete immancabilmente, le due, nei loro lettucci, disposti in orizzontale nella sala d’ingresso, che in realtà è un lungo corridoio, pulite, profumate e agghindate come due bamboline. Stamattina, Durce diceva: che cosa bella! E dona Maria: che coraggio! E Dominga, la mamma di Daniela: lì si vede in quale Dio, dona Valentina crede. È la stessa cosa che Gesù aveva detto, guardando quella vedova nel Tempio. Che aveva messo nel tesoro “tutto quanto aveva per vivere”.

Oggi il calendario ecumenico ci porta la memoria di Martin Buber, maestro e testimone di dialogo, e quella dei Martiri ebrei di Siviglia.

Martin Buber nacque a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia ebrea. Nella sua visione filosofica e religiosa è centrale la categoria del “dialogo”: con il mondo e con Dio. Questo segnó profondamente tutta la sua riflessione, il suo lavoro e la sua vita. Oltre alle sue opere più specificamente filosofiche, dobbiamo a lui l’organizzazione e la riformulazione degli insegnamenti dei grandi maestri del chassidismo, nonché di numerosi lavori di critica biblica. Nel 1938, fuggendo dalla dittatura e dalla persecuzione nazista, emigrò in Eretz Israel, dove, coerentemente, fece ogni sforzo per favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Scrisse: “Uno può credere che Dio esiste e vivere alle sue spalle, ma colui che crede in Lui, vive dinanzi al suo volto”. E ancora: “Fede è provare fede nella pienezza della vita, nonostante il corso sperimentato del mondo”. Morì il 6 giugno 1965.

Il 6 giugno 1391, gli abitanti di Siviglia, in Spagna, circondarono il quartiere ebreo e lo incendiarono. Massacrarono circa cinquemila famiglie ebree, vendendo poi molte donne e bambini ai musulmani come schiavi. La maggior parte delle 23 sinagoghe di Siviglia furono distrutte o trasformate in chiese.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Tobia, cap.12, 1. 5-15. 20; Salmo (Tb 13, 2. 6-8); Vangelo di Marco, cap.12, 38-44.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Nella Veglia per la pace, che si è svolta stasera nella chiesetta della chácara della diocesi, abbiamo ricordato i fatti tragici che si sono succeduti in questa settimana: il disastro dell’Airbus 447 dell’Air France, le decine di bimbi morti nell’incendio di un asilo in Messico, l’ennesima strage provocata dall’attentato a una moschea in Pakistan, i sanguinosi scontri tra polizia e indios in Perù. Ma abbiamo anche menzionato avvenimenti promettenti come l’insediamento di Mauricio Funes alla presidenza di El Salvador e lo straordinario discorso tenuto da Barack Obama al Cairo. Senza dimenticarci delle preoccupazioni che suscitano le elezioni europee in corso e quelle in Libano. Di cui domani cominceremo a sapere qualcosa.

Per stasera è quanto volevamo dirvi. Noi ci congediamo qui, lasciandovi a un brano di Martin Buber, tratto dal suo libriccino “Il cammino dell’uomo” (Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico. “Ciascuno in Israele ha l’obbligo di riconoscere e considerare che lui è unico al mondo nel suo genere, e che al mondo non è mai esistito nessun uomo identico a lui: se infatti fosse già esistito al mondo un uomo identico a lui, egli non avrebbe motivo di essere al mondo. Ogni singolo uomo è cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. Perché, in verità, che questo non accada è ciò che ritarda la venuta del Messia”. Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar corpo proprio a questa unicità e irripetibilità, non invece a rifare ancora una volta ciò che un altro – fosse pure la persona più grande – ha già realizzato. Quand’era già vecchio e cieco, il saggio Rabbi Bunam disse un giorno: “Non vorrei barattare il mio posto con quello del padre Abramo. Che ne verrebbe a Dio se il patriarca Abramo diventasse come il cieco Bunam e il cieco Bunam come Abramo?”. La stessa idea è stata espressa con ancora maggior acutezza da Rabbi Sussja che, in punto di morte, esclamò: “Nel mondo futuro non mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Mosè?’; mi si chiederà invece: ‘Perché non sei stato Sussja?”‘. Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano. L’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo. Alcuni discepoli di un defunto zaddik si recarono dal Veggente di Lublino e si meravigliavano che avesse usi diversi dal loro maestro. “Che Dio è mai – esclamò il Rabbi – quello che può essere servito su un unico cammino?”. Ma dato che ogni uomo può, a partire da dove si trova e dalla propria essenza, giungere a Dio, anche il genere umano in quanto tale può, progredendo su tutti i cammini, giungere fino a lui. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-06T23:09:00+02:00da
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