Carissimi,
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. E voi siete quelli che io amo se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 12-14). Allora, come prima cosa: sbattezziamoci tutti. Dato che per dirci dei “suoi”, dobbiamo fare ciò che Lui comanda, cioè amare come egli ama, dando la vita. E noi invece abbiamo da sempre deciso (anche se qualche volta ci capita di sognare alla grande) che ci accontenteremo di vivere la nostra vitina, cercando di amare, poco e male, solo noi stessi. Nella sua prima lettera Giovanni riproporrà il tema con insistenza: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3, 16). Questo conoscere non è una conoscenza intellettuale, è un sentirsi raggiunti, uno sperimentare. Senza che questo avvenga, non sappiamo ancora niente dell’amore, di quell’amore. E se ancora ci pesa spenderci per i fratelli, anche quando ci sono nemici, come ci ricorda Matteo (Mt 5, 44-45), questa è la prova provata che noi non l’abbiamo ancora incontrato. E allora: Maranatha, vieni Signore Gesù!
Oggi è memoria di Isidoro, il contadino, di Pacomio, padre del monachesimo e di Michel Kayoya, martire nel Burundi.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 22-31; Salmo 57; Vangelo di Giovanni, cap.15, 12-17.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.
“Gli amici amano trascorrere tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’uno o l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e guarigione”. È il messaggio finale con cui Benedetto XVI ha voluto siglare la conclusione del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Noi ne faremo la nostra preghiera in questi giorni che ci preparano alla Pentecoste, dando voce ai gemiti inesprimibili con cui lo Spirito intercede per l’umanità (Rm 8, 26).
Per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura una citazione tratta dalle Catechesi di Pacomio, nella versione che troviamo nel libro “Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti” (Qiqajon). È per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Ti prego ancora di non dar riposo al tuo cuore! Questa è la gioia dei demoni: far sì che l’uomo conceda riposo al suo cuore e trascinarlo nella rete prima che se ne accorga. Non essere negligente nell’apprendere il timore del Signore, cresci come le giovani piante e sarai gradito a Dio come un giovane bufalo che leva in alto corna e zoccoli. Sii un uomo potente in opere e parole, non pregare come gli ipocriti perché la tua sorte non sia come la loro. Non dissipare neppure un giorno della tua esistenza, sappi che cosa dai a Dio ogni giorno. Dimora solo, come un generale avveduto. Discerni il tuo pensiero sia che tu viva in solitudine, sia in mezzo agli altri. Ogni giorno, insomma, giudica te stesso. È meglio infatti vivere in mezzo a migliaia di uomini in tutta umiltà, piuttosto che vivere solo, nella tana di una iena, nell’orgoglio. Di Lot che viveva in mezzo a Sodoma è attestato che era un uomo di fede, buono. Abbiamo udito invece riguardo a Caino, con il quale non vi erano sulla terra se non tre esseri umani, che fu malvagio. (Pacomio, Catechesi).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.