Carissimi,
“Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, e se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16, 17-18). Che coincidenza fortunata quella che, cadendo la Festa della Liberazione del vostro Paese nel giorno della memoria dell’evangelista Marco, vi porta a leggere ogni anno la postilla collocata a margine del suo Vangelo, forse da un suo discepolo, forse da un volonteroso copista, che volle in quelle ultime righe riassumere la missione dei credenti e i segni che la devono accompagnare. I quali segni, sotto le apparenze del linguaggio religioso, possono, solo a saperle intendere, trasmettere una parola che è anche un invito rivolto a tutti coloro che accettano di impegnarsi a testimoniare una realtà nuova e relazioni fraterne tra individui, culture e popoli. “Festa della Liberazione”, non “Festa della Libertà”, perché la liberazione è un processo che non ha mai fine, che interpella e impegna tutti a liberare noi e gli altri dai mali, spesso risorgenti, del nostro e di ogni tempo. Libertà è invece, molte volte, nient’altro che uno slogan che traduce una menzogna di fondo: quella che fa “liberi” solo alcuni: di sfruttare, arricchirsi, ingannare, opprimere, fare violenza ai più. “Torniamo ai giorni del rischio, / quando tu salutavi a sera / senza essere certo mai / di rivedere l’amico al mattino. // E i passi della ronda nazista / dal selciato ti facevano eco / dentro il cervello, nel nero / silenzio della notte. // Torniamo a sperare / come primavera torna / ogni anno a fiorire. // E i bimbi nascano ancora, / profezia e segno / che Dio non si è pentito. // Torniamo a credere / pur se le voci dai pergami / persuadono a fatica / e altro vento spira / di più raffinata barbarie. // Torniamo all’amore, / pure se anche del familiare / il dubbio ti morde, / e solitudine pare invalicabile…”. È la lirica di un vostro profeta e poeta, nonché resistente, David Maria Turoldo, che ci pare adatta a celebrare questa vostra festa civile e a ridire l’urgenza di una nuova liberazione. Di cui siamo tutti chiamati a farci carico. Sotto ogni cielo.
Le nostre memorie di oggi sono quelle di Marco Evangelista, e di Ernesto Balducci, profeta di dialogo, pace e nonviolenza dei nostri tempi.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Evangelista Marco e sono tratti da:
1ª Lettera di Pietro, cap.5, 5b-14; Salmo 89; Vangelo di Marco, cap.16, 15-20.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Nel pomeriggio, abbiamo avuto, come [quasi] ogni ultimo sabato del mese, l’incontro con gli amici e amiche di Fé e Luz. Commentando il Vangelo di oggi, ci siamo detti, tra l’altro, che questa esperienza è la nostra maniera per imparare a parlare “nuove lingue”. Con pazienza e umiltà, perché al mistero di ogni persona umana è bene avvicinarsi sempre con “timore e tremore”. Ma, per la loro graziosa condiscendenza, anche con molta allegria. Noi ci congediamo qui, lasciandovi al brano di un’omelia di Ernesto Balducci, tratta dal suo “Il mandorlo e il fuoco. Commento alla liturgia della parola. Anno B” (Borla). Che è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
È nella dedizione della propria vita ai fratelli che si apparirà, nella luce di Dio, come uno strumento del suo Regno. Quella del mistero dell’uomo è una verità da recuperare, non perché nel buio del mistero i conti tornano sempre appunto perché è buio, ma perché in quel mistero sono custodite le possibilità che non si definiscono. È in questo modo che si superano anche le rigide definizioni ideologiche dell’uomo. Le ideologie feroci, le conosciamo! I roghi non li hanno accesi solo i teologi ma tutti gli ideologi che erano del tutto sicuri che cosa si dovesse fare per il bene del futuro dell’umanità. La mitezza evangelica immunizza anche le ideologie, di cui pure si ha bisogno per cambiare il mondo. Ovvero, le contrassegna di relatività e ricorda che tutte le ideologie sono per l’uomo e non l’uomo per le ideologie, per tradurre in termini moderni l’antica parola di Gesù. Se tutto questo è vero, le occasioni in cui i conti non ci tornan più, sono occasioni di sapienza. Noi ne dobbiamo approfittare non solo per aprire la nostra anima alla pietà verso i fratelli sofferenti, ma per riprendere ancora una volta, una giusta posizione in questo mondo, per provare la nostra fede in una operosa pietà per l’uomo. È questa la via di conoscenza. Come dice Gesù: “lo conosco perché do la vita”. È nella dedizione della propria vita ai fratelli che si avvera la cognizione di Dio e la cognizione dell’uomo. La conoscenza teorica ci mantiene estranei all’uomo: lo descrive, ma non entriamo nel suo mistero. Solo quando ci sacrifichiamo per l’altro, entriamo nella sua verità. (Ernesto Balducci, Il mandorlo e il fuoco. Commento alla liturgia della parola. Anno B).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.