Carissimi,
“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Mt 5, 17. 19). La Legge e i Profeti, assieme agli altri Scritti, costituivano la Bibbia ebraica (Ta.Na.K., dalle iniziali di Torah – Legge-, Nevi’im –Profeti – Ketuvim -Scritti -), cioè la Bibbia dello stesso Gesù. Della quale Egli afferma, nel brano evangelico di oggi, di essere il compimento; di rivelarne cioè, attraverso i suoi gesti e parole, il significato più vero. Così come, attraverso una catena ininterrotta lungo i secoli, i Maestri si erano dedicati a rileggere, intrepretare, attualizzare gli insegnamenti della Torah, forti di un’autorità che facevano risalire niente meno che a Mosè, ma anche con una libertà a volte davvero spregiudicata e sorprendente (i cui insegnamenti andranno a formare la Torah orale), anche Gesù, rivendicando un’autorità ancora maggiore, propone se stesso ai suoi discepoli come chiave di interpretazione della Parola che accompagna da sempre la storia del suo popolo. Non contrapponendosi a esso, ma dentro l’inevitabile dialettica tra i diversi movimenti che accompagna ogni periodo storico, compreso il suo. Con nomi diversi e in forme ovviamente differenti, il conflitto che oppone oggi nelle chiese e tra le chiese, le diverse teologie e pratiche pastorali, esisteva già allora. Ora, Gesù individua nella scelta degli ultimi, nella liberazione degli oppressi, nell’offerta del suo amore ad amici e nemici, fino al dono della vita, il significato di Dio e di sé, oltre che il motore di una trasformazione nella storia umana. E ce lo propone, se lo vogliamo, come significato della nostra esistenza.
Il calendario porta oggi la memoria di Cirillo di Gerusalemme, pastore e padre della Chiesa.
I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.4, 1. 5-9; Salmo 147B; Vangelo di Matteo, cap.5, 17-19.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Ieri vi avevamo segnalato il nome di alcuni amici e amiche bisognosi del vostro ricordo nella preghiera. Dato che abbiamo il fondato sospetto che vi siano avanzati dei posti, vi facciamo anche quello di dona Di, che hanno ricoverato ieri in ospedale con una brutta polmonite. Poi, anche se non lo facciamo sempre per tutti, dato che non abbiamo ancora creato l’ufficio anagrafico dei nostri amici e amiche, fate un pensierino anche per Marisa, una ragazzina di Firenze, che fa gli anni giusto oggi. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un brano delle “Catechesi battesimali” di Cirillo di Gerusalemme. Che è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
In ebraico Gesù significa Salvatore, mentre in greco vuol dire colui che risana. Davvero Cristo è il medico delle anime e dei corpi, colui che cura gli spiriti. Risana le pupille dei ciechi e dona luce agli intelletti; è medico degli zoppi visibili e conduce a penitenza i piedi dei peccatori, dicendo al paralitico: “Non peccare più”. E: “Prendi il tuo lettuccio e cammina” (Gv 5,14.8). Siccome il corpo era diventato paralitico per il peccato dell’anima, Cristo curò prima lo spirito, per ridare poi la salute anche alle membra. Quindi, se uno giace ammalato spiritualmente per le sue colpe, ha il medico; e se uno ha ancora poca fede gli dica: “Aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24). E se uno è affetto da infermità fisiche, non si scoraggi, perché Cristo cura anche queste ferite; si accosti, riconoscendo che Gesù è il Signore. Questo Gesù Cristo è colui che si presenta come il sommo sacerdote dei beni futuri che, per la magnificenza della sua divinità, rende anche noi partecipi del suo nome. I re della terra comunicano agli uomini il titolo della loro regalità. Gesù Cristo, invece, che è il Figlio di Dio, ci ha resi degni di essere chiamati cristiani. Se uno prima non credeva, ora creda; se uno era già fedele, d’ora in poi progredisca nella fede e riconosca colui del quale porta il nome. Sei detto cristiano: rispetta il tuo nome. Non avvenga mai che per colpa tua sia bestemmiato il Signore nostro Gesù, il Figlio di Dio. Piuttosto splendano le tue opere davanti agli uomini, perché vedendole, essi glorifichino il Padre che è nei cieli (cf Mt 5,16). A lui sia gloria ora e per i secoli eterni. Amen. (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.