Carissimi,
“All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (Lc 4, 24-30). Un po’ di ragione, forse, ce l’avevano. Gesù aveva appena finito di dirgli che Dio ama, come direste voi oggi?, gli extra-comunitari, sì, proprio loro. Da sempre, mica da ieri. E chi è Suo figlio non può certo fare diversamente. È chiaro che questo, per quella gente nella sinagoga, oggi diremmo in chiesa, aveva tutta l’aria di una provocazione. Dio, nella nostra logica, è infatti il contrario: il Dio-per-noi; il grande centro di approvvigionamento per l’io, individuale e collettivo. Per Gesù, invece, è il Dio-per-gli-altri. Quello che ci obbliga a distogliere lo sguardo dal nostro ombelico (famiglia, patria, religione, chiesa), da noi, troppo facilmente, identificato con il centro dell’universo, per portarlo sugli altri. Quelli che la logica del potere che regge il sistema-mondo (con le sue dependences anche nelle nostre chiese), suole contrapporre a, o separare ed escludere dallo spazio rigorosamente riservato per diritto divino (ma è il dio mammona, travestito da Gesù Cristo) alla fruizione delle benedizioni da parte di pochi (ovviamente noi). Beh, in questo consiste, la tentazione ricorrente, nelle chiese, di far fuori Gesù. A cui non può interessare di meno di come noi si celebrino le messe, si canti in chiesa, si recitino i rosari (anche se è desiderbile che lo si faccia il più possibile bene), mentre invece s’interessa di quanto in realtà abbiamo a cuore ciò che preoccupa Lui: gli orfani, le vedove, i lebbrosi, cioè, i poveri e gli esclusi del nostro tempo. E questo, confessiamolo, per molti di noi è noioso, pesante, intollerabile e persino demagogico.
Oggi il calendario ci porta la memoria di Jean de Brebeuf e compagni, martiri gesuiti nella terra degli Uroni.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro dei Re, cap.5, 1-15a; Salmo 42, 2.3; 43, 3.4; Vangelo di Luca, cap.4, 24-30.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
Come sarebbe stato, se Gesù invece che a Betlemme di Giuda, fosse nato (come di fatto nasce ovunque) tra gli Uroni, nella regione dei Grandi Laghi? Jean de Brebeuf ha provato a immaginarlo e poi di ridirlo, con le parole di un canto, nella loro lingua. Di esso, qui di seguito, benché non si sia proprio in tempo di Natale, vi proponiamo, nel congedarci, una traduzione della traduzione. Come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Fu durante un mese d’inverno / Quando tutti gli uccelli erano fuggiti, / Che il potente Gitchi Manitou/ Mandò in loro vece cori di angeli; / Davanti alla loro luce, le stelle impallidirono, / E cacciatori stupiti udirono il canto: // Gesù il vostro Re è nato, / Gesù è nato, / In excelsis gloria. // Dentro una capanna coperta di cortecce, / Trovarono il tenero bambino, / Un vestitino logoro di pelle di coniglio / Avvolgeva la sua bellezza tutt’intorno; / E quando i coraggiosi cacciatori si avvicinarono, / La canzone angelica risuonò alta e sonora: // Gesù il vostro Re è nato, / Gesù è nato, / In excelsis gloria. // La prima luna d’inverno / Non è così rotonda e bella / Com’era l’aureola luminosa / Su quel Bimbo indifeso. / I capi giunti da lontano gli si inginocchiarono davanti / Offrendo in dono pelli di volpe e di castoro // Gesù il vostro Re è nato, / Gesù è nato, / In excelsis gloria. // Oh, bambini della libera foresta, / O seme di Manitou, / Il santo Bambino della terra e del Cielo / È nato oggi per voi. / Venite a inginocchiarvi davanti al raggiante Bambino / che vi porta bellezza, pace e gioia // Gesù il vostro Re è nato, / Gesù è nato, / In excelsis gloria. // (Jean de Brebeuf, ’Twas in the moon of wintertime).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.