Carissimi,
Lui li stava ammonendo a guardarsi dall’orgoglio spirituale e dalle sirene del potere temporale (Mc 8, 15), peccati mortali di ogni istituzione religiosa, e loro, che ancora non sapevano cosa ciò significasse, si preoccupavano più terra terra di essersi portati dietro solo un pane. Sicché Lui, a questo punto, probabilmente, non sapeva più se ridere o piangere. Poi, considerati i soggetti, ha voluto forse solo fingere di indignarsi e li ha sommersi di domande senza dar loro neppure il tempo di rispondere per poi concludere con un “Non capite ancora?” (v.21). Che era come dire: “Ma dove vi ho pescati?”. E grazie a Dio che li aveva pescati e ci ha pescati così come erano e siamo: lenti e duri di cuore, perché, diversamente, Lui che sarebbe venuto a fare? E come sapremmo noi che il suo amore è davvero senza limiti? E come potremmo noi anche solo sognare di cominciare a imitarlo? Quell’unico pane, comunque, è quanto basta. Sia esso un semplice pane, o la nostra vita, o lo stesso Gesù, cioè la dimensione del dono, che è capace di moltiplicare all’infinito quello, questa e ogni altra cosa. E c’è sempre qualcosa che avanza.
Oggi il nostro calendario ci porta le memoria di Bede Griffiths, monaco-sannyasi, e di René Voillaume, piccolo fratello di Gesù.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap. 1,12-18; Salmo 94; Vangelo di Marco, cap. 8,14-21.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa nera.
È tutto per oggi. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un testo di René Voillaume, tratto dal suo libro “Pregare per vivere” (Cittadella Editrice). Al buon Dio noi piacciamo così come siamo. Del resto, in buona misura, è Lui che ci ha fatti. E dove, invece, ci siamo fatti, malamente, da noi, Lui ha uno spazio aggiuntivo per mostrare la sua creatività. Dunque non ci resta che imparare a piacerci comunque. Noi, così spesso, paradossalmente, più esigenti e pignoli di Lui. Solo per poter un giorno arrivare davanti all’altare a testa alta e dire: Ti ringrazio Signore, perché io non sono come gli altri! E Lui si dispererà. Eccovi qui, comunque, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Dobbiamo accettare da Dio, con riconoscenza, l’esistenza e la vita, così come ci sono state donate. C’è chi non è soddisfatto e si lamenta di essere ciò che è. Penso che siamo più o meno tutti in questa condizione. Non siamo soddisfatti di quello che Dio ci ha dato, della parte che egli ci ha assegnato; non vorremmo avere le difficoltà interiori che sentiamo, essere soggetti a tentazioni che ci umiliano, non vorremmo essere oppressi da quei complessi che ostacolano i nostri rapporti con gli altri uomini; vorremmo, infine, essere degli altri, essere diversi da ciò che si è in realtà. Inoltre, Dio ha creato il mondo, ed è prima di tutto attraverso questo mondo, così com’è, attraverso la nostra stessa esistenza, che dobbiamo imparare a scoprire l’amore di Dio per le creature. Dobbiamo amare tutto della creazione, non solo in linea di massima ma concretamente. È una tale disposizione di fede, di ottimismo vero e soprannaturale, che dava a certe dichiarazioni di papa Giovanni XXIII questa grazia particolare di comunicare la pace e la serenità a tanti uomini. Siamo felici di essere come siamo, di esistere, felici di esistere ora nel nostro tempo! Questo sembra nulla, ma un tale atteggiamento è la base per scoprire che siamo amati. Sappiamo trovare anche nelle nostre imperfezioni e nelle nostre debolezze il segno dell’amore di Dio! L’accettazione del nostro stato di povertà e di miseria spirituale dà occasione al Cristo di avvicinarsi a noi per guarirci. Dobbiamo lasciarci guarire. Avremmo preferito essere al posto del fariseo o del pubblicano, nel Tempio? Perché non trovare un motivo di azione di grazia e un segno dell’amore di Dio nelle nostre debolezze? È attraverso la debolezza dell’uomo che Dio manifesta la sua potenza. Senza la coscienza della nostra miseria come potremmo capire ciò che significa la parola «misericordia», questa inclinazione che è nel cuore del Cristo e che è in lui qualcosa di specificamente divino, che gli permette di affermare, nella pienezza, la sua divinità compatendo la nostra miseria e perdonando i nostri peccati? Per noi, poveri peccatori, è il cammino di accesso verso Dio: sapersi amati al punto di essere totalmente perdonati; e, per mantenere questo sentimento alla base della nostra vita spirituale, ci occorrerà molto spirito di fede! (René Voillaume, Pregare per vivere).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.