Carissimi,
“Un sabato, Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c’era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano inaridita: Alzati e mettiti nel mezzo!” (Lc 6, 6-8). Luca ci dice di sette sabati di Gesù, a partire dal primo, nella sinagoga di Nazareth, in cui delinea la sua missione (Lc 4, 16), il secondo, nella sinagoga di Cafarnao, dove cura l’indemoniato (Lc 4, 31); il terzo, nel campo di grano, con il diverbio con i farisei a difesa dei discepoli (Lc 6, 1); il quarto di cui abbiamo letto oggi, con la cura in una sinagoga dell’uomo con la mano inaridita (Lc 6, 6); seguirà la guarigione, sempre in sinagoga, di una donna ricurva (Lc 13, 10); la guarigione di un idropico, a casa di un fariseo (Lc 14, 1); ed infine il sabato che segue la sua sepoltura (Lc 23, 54), che immette direttamente nel “primo giorno dopo il sabato”, che vede la sua risurrezione. Dal primo sabato in cui annuncia la sua missione, all’ultimo, in cui consegna il suo corpo in una sorta di “missione compiuta” tutti i “segni” che ci sono dati presentano come un capovolgimento del significato del sabato, dalla contemplazione del riposo di Dio al lavorio di Dio in favore dell’uomo, che chiede di essere imitato e che ci introduce alla risurrezione, l’ottavo giorno. Ma torniamo al vangelo di oggi, con Gesù che ordina all’uomo dalla mano inaridita: “Alzati e mettiti nel mezzo” e “l’uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato” (v.8). Dove ciò che nella traduzione è reso con il verbo alzare, nell’originale è espresso da due verbi differenti, che alludono entrambi alla risurrezione. Risorgi, dunque, e mettiti qui al centro, poiché l’uomo è al centro della cura, dell’attenzione, della tenerezza di Dio. Una volta ritrovata la coscienza del posto che Dio gli riserva, egli potrà essere guarito della mano inaridita, simbolo di ogni incapacità di agire in favore del suo prossimo. Sarà (saremo), così, a immagine e somiglianza del Padre, che ci è rivelato in Gesù, Dio-salva. Sempre e comunque. Nel corpo e nell’anima.
Il Martirologio latinoamericano ricorda oggi Sebastiana Mendoza, catechista guatemalteca, e i Martiri del golpe militare in Cile.
Indigena, animatrice della sua comunità, dopo che il marito e i figli furono uccisi dall’esercito, Sebastiana Mendoza si vide costretta a lasciare il villaggio natale, nel Quiché, per rifugiarsi a Città del Guatemala. Lì, servendo le centinaia di rifugiati della sua regione, costretti come lei ad abbandonare i loro villaggi, continuò a evangelizzare e portare la buona notizia della risurrezione alla sua gente martirizzata. L’11 settembre 1981, fu sequestrata e sparì nel nulla. Come centinaia di altri catechisti anonimi, torturati, massacrati, crocifissi, che non esitarono a dare la loro vita per la loro gente.
Un sanguinoso golpe militare interruppe violentemente, l’11 settembre 1973, il processo democratico del Cile. Caddero sotto le armi delle forze armate centinaia e centinaia di operai, studenti, militanti, contadini, preti. Morirono per difendere le loro fabbriche, le loro strade, le loro baraccopoli, la libertà del popolo conquistata con la volontà di tutti. No, non di tutti. Tanto è vero che le acque del Mapocho si tinsero di sangue e lo Stadio nazionale fu testimone del silenzio, della tortura, del massacro di migliaia di cileni. Dopo, fu solo la dittatura, che, con il volto del generale Pinochet, continuò a imprigionare, torturare, esiliare, ridurre al silenzio, alla miseria e alla fame un popolo, a tutela di corposi interessi, travestiti, tanto per cambiare, dallo slogan “dio-patria-famiglia” (rigorosamente minuscoli, dato che non si trattava né di Dio, né della Patria, né della Famiglia). Così, per quindici anni. Fino alla lenta e difficoltosa rinascita alla democrazia.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1,24 – 2,3; Salmo 62; Vangelo di Luca, cap. 6,6-11.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
La Chiesa copta, in Egitto, Etiopia e nelle rispettive diaspore, celebra oggi la festa di Nayruz, il Capodanno, che coincide con il primo giorno del mese di Tut (in Egitto), e di Maskaram (in Etiopia). Il calendario copto data a partire dal 29 agosto del calendario giuliano (che corrisponde all’11 settembre di quello gregoriano) dell’anno 284 d. C., anno che segnò la salita al trono dell’imperatore Diocleziano, responsabile di una delle peggiori persecuzioni nei confronti dei cristiani. Per i nostri fratelli copti entriamo dunque con oggi (11 settembre 2023) nell’anno 1740 di quella che è detta l’Era dei Martiri. A titolo informativo, l’anno copto consta di dodici mesi di trenta giorni più un “piccolo mese” (al-nasi) di cinque giorni, chiamati “epagomeni” (complementari), che diventano sei negli anni che precedono i nostri anni bisestili. Estendendo la celebrazione di Nayruz sino alla festa della Croce Gloriosa, il 17 di Tut (o di Maskaram), la Chiesa ci invita a seguire l’esempio di quelle icone viventi che furono i martiri, additando nella Croce, simbolo dell’abnegazione e del dono di sé, il fine e il significato più vero dell’esistenza cristiana.
Ed è tutto, per stasera. Prendendo spunto dal Capodanno copto, noi ci si congeda, offrendovi in lettura una citazione del monaco copto più noto anche in ambito cattolico, Matta El Meskin. Tratta dal suo libro “Comunione nell’amore” (Edizioni Qiqaion), è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Cristo non arricchisce chi è ricco, né sfama chi è sazio, né giustifica chi è giusto, né redime chi confida in se stesso, né insegna a un erudito! La sua ricchezza è solo per il povero e il bisognoso, per chi è scartato, per chi è disprezzabile e sciagurato anche ai propri occhi; il cibo abbondante di Cristo è per l’affamato, la sua giustizia per i peccatori, il suo braccio forte per chi è caduto, la sua sapienza per i bambini e per quanti si considerano piccoli. Chiunque è povero, affamato, peccatore, caduto o ignorante è l’ospite di Cristo. Cristo è disceso dalla gloria del suo regno alla ricerca di coloro che sono nell’abisso profondo, di coloro che hanno raggiunto il massimo grado di miseria, di perdizione e di oscurità abominevole, di coloro che non hanno più speranza in se stessi. In loro si manifesta il suo potere d’azione e la potenza del suo essere Dio, quando il suo amore immolato si precipita a tirar fuori il peccatore dal pantano e dal letamaio e si affretta ad aspergere e lavare con il santo sangue ogni membro contaminato. In persone di questo tipo è glorificata la giustizia di Dio; in esse egli trova un terreno per la compassione, la misericordia e la tenerezza, e nelle anime di coloro che sono disprezzati e scartati la sua umiltà trovo conforto, poiché nell’essere condiscendente verso di loro egli trova un’opera degna della sua mitezza. (Matta El Meskin, Comunione nell’amore).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.