Carissimi,
“Un giorno di sabato, Gesù passava attraverso campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: Perché fate ciò che non è permesso di sabato?” (Lc 6, 1-2). Stasera, ricordavamo come siano 39 le attività che la Torah orale proibisce in giorno di Sabato. Tra queste il trebbiare, che – qui lo si è dovuo spiegare, dato che non abbiamo coltivazioni di grano – consiste nel separare le cariossidi del frumento dalle spighe. Non sappiamo se i discepoli, spinti dall’appetito, avessero strappato le spighe o si fossero limitati a raccogliere quelle rimaste nel campo dopo la mietitura. Ma la sostanza della colpa che quel gruppo di religiosi addebita loro non cambia. La Legge è chiara e quella del Sabato esige un’applicazione durissima. L’insinuazione dell’antico Serpente, che mira a sfigurare l’immagine di Dio, disegnandocelo come occhiuto e rancoroso padre-padrone che ci spia dall’alto, invece che come l’amante perdutamente innamorato dei suoi figli e figlie, che passerebbe il tempo in loro compagnia, ha colpito ancora. E, non attraverso i nemici della religione, ma attraverso essa. Gesù risistema presto le cose, zittendo senza troppe parole gli improvvidi bigotti. Con un esempio dalla Scrittura, tira la conclusione: “Il Figlio dell’uomo è signore del sabato”. Il Figlio dell’uomo, che è anche ogni uomo, vale più del sabato. O la religione afferma il primato della vita, di ogni vita, o è prodotto del diavolo.
Il nostro calendario ci segnala oggi le memorie di Pedro Claver, schiavo degli schiavi in America; Aleksandr Men, martire ortodosso in Russia; Poemen il Grande, padre del deserto.
Pedro Claver era nato a Verdú, in Catalogna, il 26 giugno 1580, figlio di una coppia di contadini, Pedro e Juana Corberó. Entrato nella Compagnia di Gesù a 22 anni, mentre studiava filosofia a Mallorca nel 1605 conobbe sant’Alonso Rodriguez che era portinaio del collegio. Fu un incontro decisivo per il futuro del nostro. Pare infatti che Alonso, illuminato circa il futuro del giovane, prese ad incoraggiarlo a recarsi come missionario nei territori occupati dagli spagnoli in America. Di fatto, Pedro chiese ed ottenne dai superiori di partire alla volta di Nueva Granada nel 1610. Completati gli studi di teologia, fu ordinato sacerdote a Cartagena, il 20 marzo 1616. Giunto in America, Pedro si era reso presto conto della tragica realtà rappresentata dallo schiavismo – Cartagena, infatti, rappresentava il maggior centro di commercio di schiavi del Nuovo Mondo – e scelse di farvi fronte nel solo modo a quel tempo possibile. In occasione della sua professione religiosa solenne, si dichiarò “schiavo degli schiavi africani” e, da allora, per quarant’anni, si dedicò senza riserve a sopperire i bisogni, lenire le sofferenze ed evangelizzare le vittime di quel commercio disumano. Scontando naturalmente l’ostilità aperta della società bianca, ma anche le umiliazioni e le incomprensioni da parte dei suoi confratelli e superiori. Morì all’alba del 9 settembre 1654.
Aleksandr Vladimirovitch Men nacque a Mosca il 22 gennaio 1935, durante il regime stalinista. Qualche mese dopo la nascita, la madre, ebrea, chiese per sé e per il piccolo il battesimo, che verrà loro somministrato il 22 settembre 1935. Ancora giovane, Aleksandr sentì chiara la vocazione a servire Dio. Appassionato per le scienze naturali, si iscrisse alla facoltà di Zoologia, ma ne fu espulso nel 1958, quando le autorità accademiche seppero delle sue convinzioni religiose. Lo stesso anno, Alexandr fu ordinato diacono e, dopo due anni, presbitero. Pur sotto il continuo controllo del KGB, riuscì a realizzare un’imponente attività pastorale, conquistando la fiducia di ogni genere di persone. Aperto ad ogni verità presente nelle altre Chiese cristiane e nelle altre religioni, soleva dire: “I muri che abbiamo eretto tra noi non sono sufficientemente alti per arrivare fino a Dio”. Con la libertà garantita dalla “perestroika” inaugurata da Gorbachov venne via via moltiplicando gli sforzi per diffondere più rapidamente il Vangelo di Gesù Cristo. Padre Aleksandr fu ucciso a colpi d’ascia non lontano dalla sua casa, la mattina de 9 settembre 1990, mentre si recava a celebrare la liturgia. I sospetti caddero su elementi dell’estrema destra nazionalista e antisemita, che forse agirono con la compiacenza dei servizi segreti. Ma nessuno fu mai incriminato o processato per il delitto.
Il 4 del mese di Nasie (il tredicesimo e ultimo mese del calendario copto, che conta solo cinque giorni, e che coincide con il 9 settembre del calendario gregoriano), la Chiesa copta fa memoria di Poemen, uno tra i più famosi padri del deserto. Nato attorno al 340, si era ritirato con sei fratelli nel deserto egiziano di Scete, ma nel 408 la piccola comunità fu costretta a causa delle incursioni dei Berberi ad abbandonare il luogo dove viveva per trovare rifugio tra le rovine di un tempio nei pressi di Terenuthis (l’attuale Tarrana, a settanta chilometri dal Cairo). Poemen si alternava con il fratello Anubis alla guida della comunità, la cui giornata alternava ore di duro lavoro, la lettura dei libri sacri, la preghiera, una povera refezione e poche ore di riposo. Poemen praticava spesso duri e prolungati digiuni, ma consigliava i compagni di alimentarsi ogni giorno, sia pure con moderazione, e mai fino a saziarsi. A chi lo interrogava se fosse meglio parlare o tacere, rispondeva: “Chi parla per amore di Dio, fa bene, e chi tace per amore di Dio, anch’egli fa bene”. Diceva anche: “Un uomo può anche sembrare in silenzio, ma se in cuor suo condanna gli altri, allora è come se parlasse sempre. Ci può essere, invece, chi parla continuamente, ma in realtà tace, perché non dice nulla di vano”. Insegnava: “È bene osservare queste tre cose: temere Dio, pregare spesso, fare del bene al prossimo”. E ancora: “La malvagità non sradica la malvagità. Se qualcuno fa del male a voi, fategli del bene, e la vostra bontà vincerà la sua malvagità”. Alcuni anziani gli chiesero: “Se vediamo dei fratelli che sonnecchiano durante la liturgia, vuoi che li scuotiamo, perché rimangano desti durante la veglia?”. Ma egli disse loro: “Veramente, se io vedo un fratello che sonnecchia, metto la sua testa sulle mie ginocchia e lo lascio riposare”. Poemen morì a 110 anni. Subito dopo la sua morte fu riconosciuto come un santo gradito a Dio e fu chiamato “il Grande” per la sua grande umiltà e rettitudine, come anche per le lotte ascetiche, l’abnegazione e il servizio a Dio.
I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap. 1, 21-23; Salmo 54; Vangelo di Luca, cap.6, 1-5.
La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura, un brano tratto da “Padre Aleksandr Men. La Legge di un uomo vivo”, che troviamo in rete, nella pagina “Gli Scritti. Centro culturale” e che è, così, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Ricorda che anche la preghiera più debole è forte. Non tralasciarla. La fede è come un viaggio sul fiume. Sembra che le rive siano monotone, ed ecco invece all’improvviso una nuova ansa, una nuova scoperta. E tutto fiorisce. Come l’amore, anche la preghiera ha bisogno di essere fortificata e alimentata, e può crescere. Dio si cela a noi. E proprio questa è la sua misericordia nei nostri confronti. Se egli ci si mostrasse in modo evidente, noi ci sentiremmo come delle formiche, saremmo smarriti. Egli si prende cura di noi fin¬ché non arriviamo a incontrarlo. Ma non bisogna mai smettere di bussare alla Sua porta. È l’inizio di un rapporto… (Padre Aleksandr Men’. La Legge di un uomo vivo).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.