Giorno per giorno – 07 Settembre 2023

Carissimi,
“Quando Gesù ebbe finito di parlare, disse a Simone: Prendi il largo e calate le reti per la pesca. Simone rispose: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano” (Lc 5, 4-6). “Esci verso [acque] profonde”, dice Gesù a Pietro nel testo originale. Aggiungendo subito al plurale: “e calate le reti per la pesca”. Forse, suggeriscono alcuni, immagine di una Chiesa in uscita, con il ruolo preminente di Pietro. Che, in un primo momento dubita che possa servire a qualcosa, ma poi obbedisce. La pesca miracolosa che ne segue è già immagine della missione fruttuosa tra i pagani, che seguirà al mancato accoglimento della Parola da parte dei conterranei di Gesù. Mandato che Pietro riceve da Gesù a conclusione del Vangelo di oggi: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini” (v. 10). Più letteralmente: “uomini riscatterai alla vita”. In questo senso, il Vangelo ci riguarda tutti, non il solo Pietro, o lui e i suoi compagni. Anche noi dobbiamo avanzare verso acque più profonde, lasciandoci alle spalle il vissuto di una sterile religiosità, sulla rotta indicataci da Gesù, che è una vita piena di senso, in cui ci è progressivamente dato di conoscerci come Lui ci conosce, e di conoscere Lui, come Egli è, vita donata per la salvezza dei suoi e nostri fratelli e sorelle, nello spirito e nella carne. Salvezza che siamo a nostra volta inviati a testimoniare nella nostra vita.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Beyers Naudé, profeta della lotta anti-apartheid in Sudafrica e dell’Igumeno Nikon, asceta ortodosso. Noi ricordiamo anche la Conferenza di Medellín, esperienza di una nuova Pentecoste in America Latina.

Primo di otto figli, Christiaan Frederick Beyers Naudé, era nato 1l 10 maggio 1915 da Jozua François Naudé e Adriana Johanna van Huysteen, a Roodeport, nel Transvaal (ora Gauteng), in Sudafrica. Il padre era stato tra i fondatori del Broederbond (in Afrikaans, “Lega dei fratelli”), una potente società segreta Afrikaner a sostegno della segregazione razziale, e il giovane Beyers seguì a lungo le impronte paterne, entrando egli stesso a far parte della Broederbond, dopo essere stato ordinato pastore della Chiesa Riformata Olandese, nel 1939, servendo poi per venti anni numerose congregazioni, in differenti località del paese, predicando ovunque la giustificazione religiosa dell’apartheid. Nel frattempo, il 3 agosto 1940, Naudé aveva sposato Ilse Weder, figlia di un missionario della Chiesa morava. Insieme avrebbero avuto tre figli e una figlia. Il massacro di Sharpeville, avvenuto il 21 marzo 1960, che costò la vita a 69 manifestanti neri, che protestavano contro l’inasprimento delle restrizioni alla libertà di movimento, introdotte dalla legge, segnò una svolta decisiva nella vita di Naudé, che cominciò da allora a battersi risolutamente contro le teorie razziste e segregazioniste della sua chiesa. Nel 1963 Naudé fondò il Christian Institute of Southern Africa, un’organizzazione ecumenica avente come scopo quello di favorire la riconciliazione attraverso il dialogo interraziale, la ricerca e le pubblicazioni. Questo gli costò la perdita dello stato di pastore e Naudé, secondo l’espressione dell’arcivescovo Tutu “divenne da allora come un lebbroso nella comunità Afrikaner”. Dal 1977 al 1984, Naudé fu messo agli arresti domiciliari, che prevedevano rigide limitazioni di movimento e alla possibilità d’incontrare altre persone. Nonostante la costante sorveglianza della polizia di stato, egli riuscì comunque ad aiutare segretamente il movimento anti-apartheid, dentro e fuori il Sudafrica. Nel 1980, fu accolto come pastore nella Chiesa Riformata Olandese in Africa, una denominazione di neri sudafricani e, nel 1985, scaduti gli arresti domiciliari, succedette all’Arcivescovo Desmond Tutu, come segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese. Scaduto il suo mandato, Naudé continuò a dedicarsi instancabilmente alla causa della “sua” gente, partecipando, tra l’altro, come unico membro afrikaner alla delegazione dell’African National Congress nelle negoziazioni che sfociarono nella nascita del nuovo Sudafrica. Alla sua morte, avvenuta il 7 Settembre 2004, Naudé fu definito da Georges Lemopoulos, allora segretario del Consiglio Mondiale delle Chiese, “uno dei veri profeti cristiani del nostro tempo”.

Nikolaj Nikolajevic Vorob’jev era nato nel 1894 da famiglia contadina del distretto di Bjezeck nel governatorato di Tvjer’ (Russia). Dopo gli studi al liceo scientifico, deciso di dedicarsi alla psichiatria, s’iscrisse all’Istituto Neuropatologico di Pietroburgo, dove tuttavia ben presto, maturò la convinzione dell’impossibilità per la scienza di conoscere l’uomo e sentì nel suo intimo la voce di Dio. Abbandonati, perciò, gli studi, si dedicò a vita ascetica e solitaria consacrandosi allo studio della Scrittura e dei Padri. Nel 1917 s’iscrisse all’Accademia teologica di Mosca, ma quando questa venne chiusa nel 1919, egli ritornò alla vita ascetica che condusse solitario per dieci anni nella cittadina di Suhivici. Fu tonsurato monaco a Minsk nel 1931 e l’anno successivo fu ordinato ieromonaco. Nel 1933 fu arrestato e mandato per quattro anni nei campi di concentramento della Siberia. Dopo la liberazione visse a Vysnij Volock facendo l’inserviente di un medico. Quando alla fine della guerra Stalin concesse una certa libertà di culto, lo ieromonaco Nikon fu nominato parroco a Kozel’sk, donde dovette allontanarsi per l’invidia dei suoi confratelli e nel 1948, dopo aver esercitato l’attività pastorale a Bjelov, Iefremov ed a Smoljensk, fu mandato, praticamente in esilio, in una parrocchia abbandonata a Gzatsk. Il successo che ottenne con la predicazione tra i fedeli fu tale che per un certo tempo gli fu vietato dalle autorità di polizia di ricevere visite. Come egli stesso riconosce, qui egli raggiunse l’umiltà fondamentale, cioè il fermo convincimento del cuore che noi non siamo nulla, ma solo creature di Dio, e che “in noi non c’è alcunché di nostro, ma soltanto la misericordia di Dio”. Da questo convincimento deriva il leitmotiv delle sue lettere: l’uomo deve sopportare tutte le angosce e malattie, perché il Cristo stesso c’insegnò che chi voleva seguirlo, prendesse la propria croce. Con questa intima persuasione è strettamente connesso il suo consiglio di rivivere continuamente in noi stessi l’esperienza del pubblicano e del buon ladrone, il quale riconobbe sulla croce d’aver meritato la sua pena. Fu conosciuto come illuminato maestro spirituale. Morì il 7 settemnbre 1963, durante le persecuzioni antireligiose di Kruscev.

Il 7 settembre 1968, si concludeva a Medellín (Colombia) la II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano. Inaugurata il 24 agosto, alla presenza di Paolo VI, aveva visto riuniti 86 vescovi, 45 arcivescovi, 6 cardinali, 70 tra preti e religiosi, 6 religiose, 19 laici, e 9 osservatori non cattolici, in uma sorta di piccolo Concilio continentale. La proposta della Conferenza è ben espressa dal titolo dato all’insieme dei documenti da essa prodotti: “La Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio Vaticano II”. Fu allora che le Chiese lì rappresentate, superando una visione intimista e individualista della fede e della pratica religiosa, fecero propria – benché l’espressione in quanto tale non apparisse ancora in nessuno dei suoi documenti – , l’opzione per i poveri, denunciando l’oppressione di cui essi sono vittima da parte delle strutture di peccato della società. Convalidarono altresì l’esperienza delle Comunità di base che, cominciata in Brasile, si stava diffondendo con forza in tutta l’America Latina. Un altro elemento caratteristico dei lavori di questa assise fu l’adozione del metodo di “vedere, giudicare, agire”, mutuato dalla JOC (Jeunesse Ouvrière Chrétienne) del card. Joseph Cardijn e già additato come assai valido da Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et Magistra. Esso chiede, in primo luogo, di leggere la realtà concreta di povertà, oppressione, ingiustizia, esclusione, che ci circonda, per poi giudicarla alla luce della Parola di Dio e scoprire le linee d’azione che ci portino a trasformarla. Le decisioni della Conferenza di Medellín – come del resto quelle del Concilio Vaticano II – furono in molti casi disattese, se non apertamente osteggiate dai settori più conservatori e fondamentalisti della Chiesa, e rappresentano, pur con le indispensabili correzioni imposte dalla mutata realtà, una sfida aperta per la coscienza dei credenti.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1, 9-14; Salmo 98; Vangelo di Luca, cap.5, 1-11.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi il Brasile celebra il suo “Giorno dell’Indipendenza” che ricorda l’atto con cui Dom Pedro de Alcântara Francisco António João Carlos Xavier de Paula Miguel Rafael Joaquim José Gonzaga Pascoal Cipriano Serafim de Bragança e Bourbon, che, malgrado le apparenze, era una sola persona ed era Principe reggente del Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarves, dichiarò l’indipendenza del nostro Paese dalla madrepatria, il 7 settembre 1822, regalandoci questo giorno di festa. In tale occasione le Pastorali sociali della Chiesa cattolica organizzano dal 1995 in tutto il Paese le manifestazioni del “Grito dos Excluídos” (Il Grido degli Esclusi),che, giunto alla sua 29ª edizione, intende richiamare l’attenzione di credenti e non credenti su temi cruciali della congiuntura del Paese. Il Grido ha quest’anno lo slogan “Tu di che cosa hai fame?”. La scelta di questo motto permette di dialogare sul tema della Campagna di Fraternità 2023, che è “Fraternità e Fame”, organizzata dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi (CNBB). Il Brasile, vale la pena di notare, sotto la precedente disgraziata amministrazione è tornato sulla mappa della fame, quindi è urgente discutere di questo problema e fare del Grido un appello permanente per portare un cambiamento in questa società ingiusta.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi il brano di un’intervista concessa da Beyers Naudé, al giornalista Tor Sellström il 15 settembre 1995, a Johannesburg è che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per quanto riguarda il sostegno ai movimenti di liberazione, in linea di principio non avevo alcun problema. Nel Christian Institute e attraverso un contatto crescente e più significativo con la comunità nera in Sudafrica – in particolare la comunità cristiana nera, ma anche il Movimento della Coscienza Nera con Steve Biko e molti altri – è diventato sempre più chiaro a me personalmente e a molti di noi che, in primo luogo, dovevamo legittimare il movimento di liberazione in Sudafrica. In secondo luogo, anche se potevamo non essere d’accordo con la lotta armata, dovevamo approvare in linea di principio il loro diritto di liberarsi. Non c’era alcun problema al riguardo. Il mio problema era la questione della lotta armata. Non con la decisione dei singoli di partecipare alla lotta armata, se ritenevano di aver fatto tutto il possibile per evitarla. Il mio problema era fino a che punto la Chiesa avesse il diritto di sostenere la lotta armata. Nel corso della storia, le Chiese nel mondo hanno sempre avuto due opinioni principali al riguardo. Il punto di vista pacifista e il punto di vista di coloro che dicono che bisogna prima provare tutti i mezzi pacifici e solo se falliscono vi si può partecipare. Per me è stata una decisione molto difficile, perché in cuor mio sono fondamentalmente un pacifista. Cerco soluzioni con mezzi pacifici. È stata dunque per me una lotta molto profonda e dolorosa. Anche per dire a me stesso alla fine: Non ho problemi a sostenere le finalità, gli scopi e gli obiettivi dell’ANC, compresa la Carta della Libertà. Come cristiano, credevo che la Carta della Libertà riflettesse i valori di giustizia e pace del Vangelo molto più chiaramente di qualsiasi altro documento che avevamo in Sudafrica. Il mio problema era se avessi il diritto di sostenere la lotta armata in quanto tale. Non riuscivo a farlo. Potevo capire perché molti altri lo facessero, ma per me stesso ho fatto una distinzione. Ho detto che i neri in Sudafrica, con molte meno opportunità di essere coinvolti in proteste pacifiche, avrebbero certamente avuto il diritto di partecipare alla lotta armata, ma io, come bianco, avevo ancora l’opportunità di presentare pressioni e punti di vista, ad esempio sulle sanzioni e su altre azioni, in modo molto migliore che unendomi alla lotta armata. (Beyers Naudé, Director of the Christian Institute of Southern Africa—South African Council of Churches, Interview held by Tor Sellström in Johannesburg 15 September 1995).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Settembre 2023ultima modifica: 2023-09-07T22:32:14+02:00da fraternidade
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