Carissimi,
“Gesù discese a Cafarnao, una città della Galilea, e il sabato ammaestrava la gente. Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità. Nella sinagoga c’era un uomo con un demonio immondo e cominciò a gridare forte: “Basta! Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene chi sei: il Santo di Dio!” (Lc 4, 31-34). Niente meno che in una sinagoga. Oggi potrebbe essere in una delle case in cui ci si riunisce per ascoltare la Parola. O in chiesa. E lì c’è un tale, posseduto da uno spirito immondo, che mette insieme la sua professione di fede e la sua ripulsa di Dio. Stasera, si è aggiunto a noi, nella celebrazione dell’Eucaristia, un anziano signore venuto da Goiânia, che, quando padre Carlos ha aperto alla condivisione della Parola, un po’ timidamente ha detto: “Io non so se ha molto a che vedere con il vangelo che abbiamo ascoltato, ma azzardo ugualmente. Qualche settimana fa, nella mia parrocchia, era una domenica sera, mentre partecipavamo alla Messa, è entrato un uomo, vestito come vestono i poveri di qui, con maglietta, bermuda e infradito. Si è messo nell’ultimo banco e ha cominciato a piangere, in silenzio, senza smettere. Quando è arrivato il momento della comunione, si è dato un’aggiustata e si è messo in fila con tutti gli altri. Ha ricevuto l’ostia ed è tornato al suo posto. Alla fine della messa, al momento degli avvisi, il parroco ha detto: ‘Quante volte vi ho ripetuto di non venire in chiesa in maglietta e bermuda! È mancanza di rispetto!’. Ho guardato di sottecchi quell’uomo e l’ho visto abbassare la testa pieno di vergogna. Ecco, per me quel prete era in quel momento posseduto da uno spirito immondo, che, pur avendo celebrato la sua professione di fede e il sacramento, aveva visto in quel povero una minaccia e l’aveva pubblicamente umiliato. C’è solo da sperare che Gesù si sia fatto sentire nel silenzio del povero e abbia gridato al prete, come quel giorno nella sinagoga: Taci, esci da costui”.
Oggi è memoria di Madre Teresa di Calcutta, missionaria della carità, e di Maria di Campello, sorella universale.
Gonxha Agnes Bojaxhiu, la futura madre Teresa, nacque a Skopje, in Albania, il 26 agosto 1910, quinta figlia di Nikola e Drane Bojaxhiu. A diciotto anni entrò nella Congregazione religiosa di Nostra Signora di Loreto, in Irlanda. Nel 1946 ricevette una nuova chiamata da Dio a servire i più poveri tra i poveri: i “dimenticati”della società, gli esclusi, abbandonati nelle strade, che non son utili a nessuno e non servono a nulla – né per essere sfruttati come forza-lavoro, né per integrare le avanguardie di qualsivoglia rivoluzione. Lasciato il convento, iniziò, vestita semplicemente di un “sari” bianco, bordato d’azzurro, a contemplare, convivere e amare Gesù nel volto e nei corpi piagati della gente di strada di Calcutta. Presto, altre donne – tra cui molte sue ex-alunne – si unirono a lei. Nacquero così le Missionarie della Carità, che nel 1965, il papa Paolo VI autorizzò a lavorare anche in altri paesi. Furono aperti centri ovunque, per assistere malati di hanseniasi, anziani, ciechi, aidetici e per accogliere bambini poveri e abbandonati. Madre Teresa morì il 5 settembre 1997. È stata canonizzata il 4 settembre 2016 da Papa Francesco.
Nata a Torino, il 24 gennaio 1875, Valeria Paola Pignetti era entrata nel 1901 nella Congregazione delle Francescane Missionarie di Maria. Durante la prima guerra mondiale, nell’ospedale angloamericano di Roma, si occupò dell’assistenza ai feriti di guerra. E fu allora che maturò in lei la vocazione ad una vita più povera e più vicina ai poveri, come doveva essere la comunità cristiana delle origini. Ottenuto, nel 1919, il permesso di lasciare l’ordine, si stabilisce in Umbria. Con l’aiuto della prima compagna, Amata, di comunione anglicana, compra e ristruttura un vecchio conventino, a Campello sopra le fonti del Clitumno. Lì nel 1926, in cinque compagne danno vita ad una singolare esperienza di vita secondo l’Evangelo, basata sull’amore fraterno, sulla preghiera, il lavoro e l’accoglienza. In una vita pienamente conformata all’esistenza povera dei loro vicini. Un aspetto la caratterizza particolarmente, quello che oggi chiameremmo un ecumenismo senza confini e un’attenzione e preoccupazione costanti per la storia comune degli uomini. Conobbe e dialogò con testimoni di spicco della radicalità evangelica e della vicenda spirituale del suo tempo. Persone come p. Turoldo e p. Vannucci, don Mazzolari, Donini, Sabatier, Heiler, Gandhi e Schweitzer. Non godette per questo, a lungo, delle simpatie della gerarchia ecclesiastica. Senza troppo crucciarsene, per altro, immersa com’era dentro la grande comunione che raggiunge tutti, anche coloro che ti si vogliono nemici. Sorella Maria morì il 5 settembre 1961. Un giorno, scrivendo a Gandhi, aveva detto di sé: “Io sono creatura selvatica e libera in Cristo, e voglio con Lui, con te, con voi, con ogni fratello cercatore di Dio, camminare per i sentieri della verità”. Dell’antica comunità, dopo la scomparsa di Brigitte, il 26 novembre 2006, resta Daniela Maria, come testimone di quella bella avventura dello Spirito. A lei si sono aggiunte negli ultimi anni altre tre sorelle, Monica, Lucia e Danielina.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.5, 1-6. 9-11; Salmo 27; Vangelo di Luca, cap.4, 31-37.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un testo di Madre Teresa di Calcutta. Lo troviamo in rete ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Un giorno, mentre ero nei quartieri poveri di Calcutta e stavo per ritornare nella mia stanza, ho visto una donna che giaceva sul marciapiede. Era debole, sottile e magrissima, si vedeva che era molto malata e l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare, anche se le stavo solo passando vicino. Sono andata avanti e ho visto dei grossi topi che mordevano il suo corpo senza speranza, e mi sono detta: questa è la cosa peggiore che hai visto in tutta la tua vita. Tutto quello che volevo in quel momento, era di andarmene via il più presto possibile e dimenticare quello che avevo visto e non ricordarlo mai più. E ho cominciato a correre, come se correre potesse aiutare quel desiderio di fuggire che mi riempiva con tanta forza. Ma prima che avessi raggiunto l’angolo successivo della strada, una luce interiore mi ha fermata. E sono rimasta lì, sul marciapiede del quartiere povero di Calcutta, che ora conosco così bene, e ho visto che quella non era l’unica donna che vi giaceva, e che veniva mangiata dai topi. Ho visto anche che era Cristo stesso a soffrire su quel marciapiede. Mi sono voltata e sono tornata indietro da quella donna, ho cacciato via i topi, l’ho sollevata e portata al più vicino ospedale. Ma non volevano prenderla e ci hanno detto di andarcene via. Abbiamo cercato un altro ospedale, con lo stesso risultato, e con un altro ancora, finché non abbiamo trovato una camera privata per lei, e io stessa l’ho curata. Da quel giorno la mia vita è cambiata. Da quel giorno il mio progetto è stato chiaro: avrei dovuto vivere per e con il più povero dei poveri su questa terra, dovunque lo avessi trovato. (Madre Teresa di Calcutta, Da quel giorno la mia vita è cambiata).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.