Giorno per giorno – 07 Febbraio 2023

Carissimi,
“Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini” (Mc 7, 6-8). È la risposta di Gesù a farisei e scribi, “venuti da Gerusalemme” (v. 1), che criticavano coloro, tra i suoi discepoli, che “prendevano cibo con mani immonde” (v. 2). Gerusalemme, con il suo tempio, era il centro dell’ortodossia, oggi, noi cattolici diremmo la Congregazione per la Dottrina della Fede, qualche secolo fa, la Sacra Inquisizione, ma ogni Chiesa ha i suoi propri tribunali che giudicano la purezza della dottrina e delle pratiche dei propri fedeli, come anche a ciascuno di noi capita spesso di pontificare sull’operato altrui, avendo come metro di giudizio le proprie convinzioni. “Trascurando il comandamento di Dio”, si fa delle cose più sante, come può essere l’Eucaristia, l’occasione delle critiche più astiose e delle esclusioni più impietose. Quella che è il memoriale di una cena, la Cena in cui Gesù si consegna ai discepoli che lo tradiranno, come gesto che rimanda all’amore incondizionato del Padre per tutti i suoi figli e figlie, invece che perpetuarsi come tale, tavola aperta ai peccatori, diventa un rito in cui si devono osservare mille dettagli, negato a coloro che, a norma delle tradizioni degli uomini, sono giudicati avere mani immonde. Quando l’unica cosa davvero immonda è invece l’escludere. Che Dio perdoni noi tutti, persone e istituzioni, quando si giunga a negare a qualcuno, nel culto e nella vita, lo statuto di figli suoi e di nostri fratelli.

Oggi il nostro calendario ci ricorda il martirio di Sepé Tiaraju e del suo popolo guaraní; il metropolita Vladimir di Kiev con tutti i nuovi martiri del XX secolo in Russia e Ucraina; e Andraus El Samu’ili, monaco copto e mistico.

Nei secoli XVII e XVIII, i missionari gesuiti, al fine di sottrarre le popolazioni indigene alla schiavitù e allo sfruttamento da parte dei bianchi, crearono nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina numerose comunità agricole (reducciones), basate sulla proprietà collettiva della terra e delle macchine, dotate di ampi margini di auto-gestione amministrativa e, soprattutto, tenute separate dal mondo dei colonizzatori. Questo, per proteggerne in primo luogo l’incolumità, ma anche per fornir loro quell’istruzione intellettuale, religiosa, tecnica e associativa che, nella visione dei missionari, doveva più facilmente garantirgli la sopravvivenza. Si trattò, dunque, di un’esperienza improntata all’ideale di un comunitarismo egualitario che risaliva al cristianesimo primitivo. Nel 1732 si contavano una trentina di “reducciones” per un totale di circa 150.000 abitanti. Alla metà del secolo le autorità coloniali, preoccupate per il significato sociale, trasgressivo dell’ ordine esistente, che le “reducciones” andavano assumendo e per il potere alternativo che i gesuiti vi avevano costruito, posero fine con la forza all’esperimento. È in questo contesto che, nel 1753, Sepé Tiaraju prese l’iniziativa dell’insurrezione indigena della “riduccion” guaranì di São Nicolau, la prima a resistere all’ordine di evacuazione e trasferimento sull’altro lato del fiume Uruguay. A São Miguel (Rio Grande do Sul), Sepé guidò l’attacco ai carri che trasportavano le suppellettili della Chiesa, obbligando la comitiva a far ritorno alla missione. Per tre anni fu la figura centrale della resistenza agli imperi portoghese e spagnolo. Il 7 febbraio 1756 morì combattendo sull’ Arroio Caiboaté. In una scaramuccia, il suo cavallo cadde ed egli fu ferito da un soldato con una lancia. Prima di riuscire ad alzarsi fu ucciso con un colpo di pistola dal governatore di Montevideo che comandava la truppa.

Basil Nikiforovich Bogoyavlensky (che assunse in seguito il nome di Vladimir) era nato il 1° Gennaio 1848 nella famiglia del prete Niceforo, nel villaggio di Malaya Morshka, distretto di Morshansky, provincia di Tambov, in Russia. Frequentata la scuola teologica di Tambov e proseguiti brillantemente gli studi nella Facoltà teologica di Kiev, fu per sette anni professore in seminario, si sposò e fu ordinato prete il 13 gennaio 1882. L’8 febbraio 1886, dopo la morte della moglie e dell’unico figlio, entrò nel monastero della Santa Trinità di Kozlov, di cui fu nominato archimandrita. Il 21 maggio 1889 fu consacrato vescovo di Starorussk e, successivamente, esarca di Georgia, metropolita di Mosca, poi di Petrogrado e infine di Kiev. Ovunque, durante il suo ministero pastorale, si preoccupò di proteggere la sua gente, di combattere l’antica piaga dell’alcolismo, di offrire ai fedeli la luce di un genuino insegnamento cristiano. Nelle vicende drammatiche che accompagnarono la rivoluzione bolscevica, seppe mantenersi pastore di pace e di amore, fedele, onesto, tutto dedito a Cristo e alla Chiesa. La notte del 25 gennaio 1918 (7 febbraio nei calendario gregoriano), un gruppo di bolscevichi entrò nelle grotte della Laura di Kiev e arrestò il metropolita. Lungo la strada fu sommariamente processato e condannato a morte. Prima di morire volle benedire i suoi uccisori. Fu il primo di un numero incalcolabile di vittime, soprattutto monaci, preti e vescovi, che nei decenni successivi furono perseguitati, incarcerati, deportati e uccisi.

Yusef Khalil Ibrahim era nato verso il 1887 nel governatorato di Bani Suef, in Egitto. A tre anni era divenuto cieco. Tredicenne, il padre l’aveva mandato al monastero di San Samuele, sull’altopiano del Qalamun, nel sud dell’Egitto, perché, alla scuola dei monaci, imparasse qualcose di utile per la vita. Yusef vi restò fino a ventidue anni, quando scoperta la vocazione monastica, chiese ed ottenne di farsi monaco. Fece dunque la sua professione religiosa e prese il nome di Andraus El Samu’ili. Da allora e fino alla morte la sua vita si svolse all’insegna dell’infanzia spirituale e della perfetta letizia, immersa nella preghiera, nell’abbandono alla volontà di Dio e nell’obbedienza ai fratelli, senza lamentarsi mai di nulla, in ogni circostanza. Lo chiamavano l’ “ospite celeste”, per dire che era già come un angelo. Morì il 7 febbraio 1989.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.1, 20 – 2, 4a; Salmo 8; Vangelo di Marco, cap.7, 1-13.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Se fosse, come è, fra noi, dom Helder Câmara compirebbe oggi 114 anni, essendo nato a Fortaleza il 7 febbraio 1909. Pur facendone memoria nel giorno della sua pasqua, il 27 agosto, scegliamo di prendere spunto da questa ricorrenza, per proporvi una sua citazione, tratta dal suo libro “Le conversioni di un vescovo” (SEI). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La partecipazione alla santità non è un privilegio riservato a esseri eccezionali. È un obbligo per tutti noi. Tutti noi abbiamo ricevuto nel battesimo la grazia santificante, che vuol dire la grazia che rende santi. E’ molto ingenuo credere che essere santo voglia dire avere delle visioni, far miracoli, condurre una vita dura e assolutamente eccezionale! Essere santi […] vuol dire vivere veramente con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, essere una cosa sola con i propri fratelli. E questo è un obbligo per tutti. Non c’è una definizione della santità, ce ne sono decine, centinaia, ma ce n’è una che mi piace particolarmente: essere santi vuol dire rialzarsi subito ogni volta che si cade, con umiltà e con gioia. Non vuol dire non cadere mai nel peccato, ma poter dire: “Sì, Signore, sono caduto un milione di volte, ma, con la tua grazia, mi sono alzato un milione e una volta”. È tutto qui. Mi piace pensare a questo. Quando ci si avvicina alla morte, c’è una forte tentazione di fare il conto delle proprie miserie, delle proprie debolezze, dei propri peccati, e forse di scoraggiarsi. Io penso che sia meglio non fare nemmeno il conto, non mettersi nemmeno a discutere: “Sì, le mie miserie, le mie debolezze, i miei peccati sono ancor più numerosi e ancor più gravi! Ma c’è una cosa ancor più grande delle mie miserie, delle mie debolezze, dei miei peccati: è la misericordia del Signore!”. Ah, potrei raccontare cose meravigliose a proposito della misericordia del Signore!… L’ideale, il vero ideale, sarebbe di sentirmi dire dal Signore, il giorno del giudizio: “Tu non sarai giudicato perché hai evitato di giudicare”. Lei ricorda che Cristo ha detto che noi saremo giudicati con la stessa misura che avremo usato per giudicare i nostri fratelli. Quindi, se non si giudica, si può perfino riuscire a non essere giudicati. A volte sogno che Cristo mi dica: “Ma in fin dei conti tu hai un po’ abusato di questa storia della misericordia, l’hai portata un po’ troppo avanti, questa storia della misericordia…”. Ma è impossibile, perché nessuno può andare più avanti di Cristo nella misericordia. Egli è misericordia, è comprensione. Ah, se potessi ottenere – non potrò, ma il Signore lo può – che la comprensione si diffondesse in tutto il mondo! Capire invece di giudicare… Capire non vuol dire approvare tutto. Ma capire, invece di condannare. (Dom Helder Câmara. Le conversioni di un vescovo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-07T17:37:14+01:00da fraternidade
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