Giorno per giorno – 05 Febbraio 2023

Carissimi,
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13-14). Messe così subito dopo le beatitudini, tali affermazioni hanno stretta attinenza con queste. Ci dicono di Gesù, ci dicono di Dio, ci dicono di noi. Di come, cioè, si dovrebbe essere cristiani nel mondo. Diceva, stamattina, padre Carlos: immaginatevi di vedervi servito un pranzo a base di solo sale. O figuratevi un mondo, in cui Dio si fosse fermato al primo giorno della creazione, quando non c’era ancora nulla, salvo la luce. Inutilità del sale e della luce, in quel caso! Pensate invece a come il sale contribuisca a valorizzare il sapore degli alimenti e la luce, che di per sé è incolore, faccia emergere l’infinita gamma e ricchezza dei colori, al punto che potremmo dire che sale e luce sono funzionali alla vita, alla bellezza, al godimento del mondo. Proprio come Dio, come Gesù. Che non a caso disegnano il loro significato più alto nella croce del Golgota. Che è la forma suprema dell’amore, che si esprime nel toglimento (o nel silenziamento) di sé per la vita dell’altro. Dio, come Dio di tutti, non può che amare, apprezzare e incantarsi davanti alla bellezza delle sue creature e alle loro conquiste. Genesi ne descrive l’atteggiamento nei primi sei giorni della creazione, ma in realtà è detto di ogni giorno. Gesù, quando quella bellezza è andata perduta, è venuto a restaurarla, prima di tutto in sé, come immagine dell’uomo, reso, come sua vocazione, simile a Dio, libero di darsi nell’amore, e subito dopo negli altri, che risultavano feriti. Noi, come cristiani, come Chiesa, dovremmo essere i cantori appassionati della bellezza del mondo nell’infinita varietà delle sue differenti manifestazioni (popoli, culture, religioni, filosofie, arti, scienze, tecnologie) e non i timorosi tenutari di un museo, che guardano con sospetto ogni altra espressione della creatività umana. Premurandoci di eliminare in noi per primi ogni traccia di intolleranza, e di affermare in ogni occasione il primato dell’amore, in cui consiste l’essere sale e luce, sapore e trasparenza di Cristo. Cioè, di Dio.

I testi proposti dalla liturgia di questa 5ª Domenica del Tempo Comune sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.58, 7-10; Salmo 112; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.2, 1-5; Vangelo di Matteo, cap.5, 13-16.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il nostro calendario ricorda oggi Pedro Arrupe, gesuita, profeta di una Chiesa al servizio degli ultimi e degli esclusi, e Andrea Santoro, testimone del dialogo interreligioso e martire in Turchia.

Pedro Arrupe era nato a Bilbao, nel Paese Basco, il 14 Novembre 1907. A diciannove anni, interruppe gli studi di medicina all’Università di Madrid per entrare nella Compagnia di Gesù. Ordinato sacerdote il 30 luglio 1936 in Olanda, si recò negli Stati Uniti per concludere gli studi di teologia e nel 1938 fu inviato in Giappone, dove restò per ventisette anni. Rettore del noviziato di Nagatsuka, alla periferia di Hiroshima, fu testimone dell’esplosione atomica, il 6 agosto 1945. Fu provinciale della provincia nipponica dal 1958 fino al 22 maggio 1965, quando fu eletto generale della Compagnia di Gesù, potendo così partecipare ai lavori conclusivi del Concilio Vaticano II. Dal 1967 fu, per cinque mandati consecutivi, Presidente dell’Unione dei Superiori Generali degli ordini religiosi. Venne anche nominato membro della Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e del Consiglio Generale della Commissione per l’America Latina. La riflessione che svolse aiutò in maniera determinante i gesuiti a capire la loro missione come un servizio alla fede che esige la lotta per la giustizia. I suoi innumerevoli viaggi gli permisero di rendersi conto che una delle ragioni dell’incredulità contemporanea è rintracciabile nello scandalo dell’ingiustizia sociale, davvero eclatante in numerosi paesi del Sud del mondo. Le incomprensioni di cui fu ripetutamente vittima negli ultimi tempi del pontificato di Paolo VI e all’inizio di quello di Giovanni Paolo II, a causa dell’impulso nuovo e del rinnovamento coraggioso impressi alla maniera d’essere dell’Ordine, lo portarono, nel maggio del 1980, alla decisione di dimettersi, ma il papa gli chiese di soprassedere. Dopo un’emorragia cerebrale che lo aveva colpito il 7 agosto 1981, costringendolo all’inattività, il 3 settembre 1983, la 33ª Congregazione Generale della Compagnia ne accolse le dimissioni. Padre Arrupe morì a Roma il 5 febbraio 1991.

Andrea Santoro era nato il 9 settembre 1945 a Priverno in provincia di Latina, terzo figlio di una famiglia umilissima. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 18 ottobre 1970. Svolse la sua attività pastorale nei quartieri popolari della periferia di Roma, conosciuto per la sua passione e dedizione ai poveri e per la sua vita povera. Dopo due soggiorni di studio in Medio Oriente, dove ebbe modo di approfondire la spiritualità del piccolo fratello universale, Charles de Foucauld, nell’anno 2000, chiese ed ottenne dalla sua diocesi di essere inviato in Turchia come sacerdote “fidei donum”. Visse dapprima a Şanlıurfa (l’antica Edessa) e poi, dal 2003, a Trabzon (Trebisonda), dove venne coltivando l’amicizia con la gente del posto. Di cui, anche con l’aiuto della lingua turca, appresa a fatica, si sforzò di capire il mondo, la cultura e la fede. Non mancando di far conoscere, a chi lo desiderasse, la sua. Mantenne vive le relazioni con la chiesa d’origine, trasmettendo ad essa i frutti della sua singolare esperienza e contribuendo così a favorire concretamente il dialogo interreligioso. Il 5 febbraio 2006, mentre pregava nella chiesa di Trabzon, dopo aver celebrato l’Eucaristia domenicale, venne ucciso con due colpi di pistola. Per il delitto fu processato e condannato un giovane diciassettenne.

“Le parole che l’Apostolo Paolo ha rivolto alla comunità di Corinto nella seconda Lettura, vorrei oggi farle mie e ripeterle davanti a voi: ‘Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso’ (1 Cor 2,1-2). Sì, la trepidazione di Paolo è anche la mia, nel trovarmi qui con voi nel nome di Gesù Cristo, il Dio dell’amore, il Dio che ha realizzato la pace attraverso la sua croce; Gesù, Dio crocifisso per tutti noi; Gesù, crocifisso in chi soffre; Gesù, crocifisso nella vita di tanti di voi, in molte persone di questo Paese; Gesù il Risorto, vincitore sul male e sulla morte. Vengo a voi a proclamarvi Lui, a confermarvi in Lui, perché l’annuncio di Cristo è annuncio di speranza: Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama; se rimaniamo in Lui, non dobbiamo temere, perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza”. Sono parole dell’ultima omelia di Papa Francesco, durante l’Eucaristia, celebrata a Giuba, a conclusione del suo Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan. Che sia davvero questa l’ultima parola per le popolazioni martoriate di quelle regioni e di ogni dove. E che sia pace ovunque.
È tutto, per stasera. Noi vi si lascia a un brano di Pedro Arrupe, tratto dal libro che ne raccoglie gli scritti “Essential Writings” (Orbis Books, Maryknoll, NY), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il mistero della povertà nasce dal mistero della kenosi di Cristo, lo svuotamento di Cristo. È un mistero qualcosa che la ragione umana non può comprendere appieno, qualcosa a cui possiamo avvicinarci solo nella misura in cui siamo illuminati dallo Spirito Santo. La problematica della povertà religiosa non è né sociologica né finanziaria. Non è nemmeno semplicemente teologica. È un problema di fede: di amore per Cristo povero, povero nella vita umana che ha scelto per sé, povero nella vita del suo corpo mistico. E così, per arrivare a comprendere il significato di povertà, è necessaria una duplice esperienza. Un’esperienza di fede, innanzitutto, dello svuotamento di Cristo, ma anche un’esperienza vissuta dell’essere veramente poveri. Se manca una di queste due esperienze, non si può sapere cosa sia la povertà religiosa. Se manca l’esperienza mistica della kenosi di Cristo, si può forse conoscere la povertà e la miseria umana – quella povertà e quella miseria che siamo chiamati a combattere in sé e nei loro effetti – ma non si può sapere cosa sia e cosa significhi la povertà religiosa. Se manca l’esperienza personale vissuta della vera povertà, si può forse arrivare a conoscere la povertà del Cristo storico e i suoi tratti caratteristici, ma non si può conoscere l’effettiva povertà dei poveri. (Pedro Arrupe, Essential Writings).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-05T22:33:22+01:00da fraternidade
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