Giorno per giorno – 03 Febbraio 2023

Carissimi,
“Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi. Altri invece dicevano: È Elìa. Altri ancora dicevano: È un profeta. Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!” (Mc 6, 14-16). Il punto in questione era l’identità di Gesù. E non solo per Erode, che la viveva come un incubo, per via della morte inflitta a Giovanni, ma anche per la gente comune, per i seguaci del Battista e per quanti non seguivano nessuno. Questo del resto vale anche oggi, per quanti non credono in lui e per coloro che dicono di credere e magari gli riconoscono tutti i titoli che di lui ci vengono proposti, salvo, con il loro comportamento, negarne l’identità più vera, quella che lo vuole verità di Dio e, perciò, anche verità ultima dell’uomo: figlio del Padre e fratello universale. Stasera, ci chiedevamo quale fosse il nesso che unisce la figura di Giovanni, e la sua morte, a quella di Gesù. O, anche, quale fosse la fede di Giovanni. Il quale non viene ucciso per testimoniare Gesù e il suo progetto, che anzi, la sua fede, benché l’avesse indicato come agnello (o servo) di Dio che toglie il peccato del mondo, o colui “a cui non sono degno di sciogliere i calzari”, e ancora “colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me” è stata, la sua fede, raggiunta fino all’ultimo da dubbi e ripensamenti, che non sappiamo se furono dissipati. Così, c’è stato chi ha commentato che forse oggi il Battista non reggerebbe all’esame della Congregazione per la dottrina della fede (e la stessa cosa succederebbe probabilmente con gli apostoli e molti padri della Chiesa), tanto la dottrina si è venuta oltretutto arricchendo di contenuti (e complicando) in un processo pressocché inevitabile che hanno conosciuto tutte le religioni nel loro istituzionalizzarsi. E tuttavia la morte di Giovanni, anche se fu comminata per la sua denuncia dell’adulterio di Erode (nei confronti del fratello di cui aveva sposato la moglie, ma, anche di più, nei confronti del popolo, di cui tradiva continuamente le attese), fu, ugualmente, martirio, testimonianza di Gesù, come tutte le morti, che, indipendentemente dalla fede professata, incarnano la beatitudine dei “perseguitati per causa della giustizia”, uno degli otto cammini offertici a mo’ di esempio, in cui, consapevolmente o spesso anonimamente, prende corpo nella storia il regno di Dio.

Oggi, il calendario ci porta le memorie di Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire; di Alois Anditzki, presbitero e martire del totalitarismo nazista; e dei quattro cappellani militari del Dorchester, che diedero la vita per salvare dei loro commilitoni.

Biagio presiedeva la Comunità di Sebaste, in Armenia, durante l’impero di Licinio (che si occupava dell’Oriente), cognato di Costantino (che invece governava l’Occidente). I due, non si sa bene perché, entravano spesso in conflitto. Nessuno dei due, del resto, era uno stinco di santo. Tanto è vero che Costantino fece strangolare Licinio a Salonicco nel 325. Ora, mentre Costantino, nel 313, aveva emesso il decreto che concedeva la libertà di culto ai cristiani, Licinio, tergiversava e lasciava mano libera ai suoi governatori, che bruciavano chiese, condannavano i cristiani ai lavori forzati e facevano fuori i loro vescovi. Tra loro, Biagio. Imprigionato, ripetutamente torturato, infine condannato alla decapitazione, raccontano di lui che mentre si recava al luogo del supplizio, vide un ragazzo tra i curiosi che assistevano al suo passaggio che stava morendo soffocato a causa di una lisca di pesce conficcatasi nella trachea. Dribblate le guardie, Biagio raggiunse il ragazzo, soccorrendolo tempestivamente. Poi riprese il suo posto nel corteo che lo portava all’arena. Il racconto ne avrebbe fatto a lungo il protettore contro le malattie della gola.

Alois Anditzki era nato nel 1914 a Radibor, un villaggio rurale del circondario di Bautzen, in Sassonia (Germania). Il desiderio di porsi al servizio del prossimo, lo portò ad entrare nel seminario di Meißen. Nel 1938 venne ordinato diacono, e un anno dopo presbitero. Svolse il suo ministerio pastorale come cappellano nella parrocchia Hofkirche di Dresda, dedicandosi soprattutto all’evangelizzazione e all’animazione dei giovani. Lì, si fece conoscere come “sacerdote umile, semplice e sempre disponibile ad aiutare il prossimo”. Nell’inverno del 1941, per aver messo in scena una rappresentazione teatrale in cui mostrava come sarebbero finiti i cristiani nella Seconda Guerra Mondiale, fu convocato in questura e arrestato, sotto l’accusa di dichiarazioni ostili nei confronti dello Stato, che ne mettevano a repentaglio la sicurezza. Venne per questo inviato dalla Gestapo nella prigione politica di Dresda, dove rimase due mesi. Allo scadere della pena, invece di essere liberato, fu inviato nel campo di concentramento di Dachau. Inutilmente la famiglia presentò ricorso alle autorità. Padre Alois fu assassinato il 3 febbraio 1943, con un’iniezione letale. Aveva ventinove anni. I suoi compagni di prigionia testimoniarono in seguito che egli passò tra loro come un santo, seminando gioia, fiducia e speranza e conquistando l’amicizia e la simpatia di tutti.

Nel ribadire che sogniamo il giorno in cui preti, pastori, rabbini, inquadrati negli organici militari, lasceranno le loro stellette (e i relativi stipendi), per testimoniare la loro obiezione ad ogni esercito e ad ogni violenza ed essere soltanto annunciatori della Parola di Pace, fedeli ad un’unica patria, quella della comune umanità, scegliamo, nondimeno, di far memoria di alcuni di loro, che hanno saputo fare la cosa giusta, anche se con la divisa [come lo è ogni divisa] sbagliata. Si chiamavano: Clark Poling (nato il 7 agosto 1910 a Columbus, nell’Ohio), ministro congregazionalista; George Fox (nato a Lewistown, in Pennsylvania, il 15 marzo 1900), pastore metodista, Johnny Washington (nato a Newark, nel New Jersey, il 18 luglio 1908.), prete cattolico e Alexander Goode (nato a Brooklyn, New York, il 10 maggio 1911), rabbino ebreo, ed erano tutti e quattro cappellani militari sull’incrociatore Dorchester, della marina Usa, durante la Seconda Guerra mondiale. La mattina del 3 febbraio 1943, la nave fu silurata. I cappellani stavano indossando i loro giubbotti di salvataggio, quando si accorsero che molti dei 900 marinai ne erano sprovvisti. Decisero unanimente di privarsene, perché almeno altri quattro potessero vivere. I sopravvissuti dissero poi che quando la nave s’inabissò, videro i cappellani con le braccia legate pregare insieme sul ponte.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 13, 1-8; Salmo 27; Vangelo di Marco, cap.6, 14-29.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

“Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cf Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace!”. È il pressante appello rivolto da Papa Francesco alle autorità del Sud Sudan, nel giardino del palazzo presidenziale a Giuba, nel primo giorno del Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in quel Paese, che il papa compie con l’arcivescovo di Canterbury, l’anglicano Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, il presbiteriano Iain Greenshields. Noi non si può fare altro che fare di questo invito la nostra pregheira.

Il 3 febbraio 1909 nasceva a Parigi, Simone Weil, una delle voci più alte del secolo scorso e testimone di una fede vissuta con radicalità estrema. Noi ne facciamo memoria il 24 agosto, giorno della sua scomparsa, ma vogliamo renderle omaggio anche in questo giorno, offrendovi, nel congedarci, un brano tratto dalla pubblicazione che ne raccoglie le “Ultime pagine”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La Chiesa avrebbe un mezzo facile per procurarsi quel che sarebbe per lei e per l’umanità la salvezza. Dovrebbe riconoscere che le definizioni dei concili non hanno significato se non in relazione all’ambiente storico. Questo ambiente non può essere conosciuto dai non specialisti e spesso nemmeno dagli specialisti a causa della mancanza di documenti. Quindi gli anatema sit fanno parte della storia; essi non hanno valore attualmente. Di fatto, li si considera tali, perché non s’impone mai come condizione per il battesimo di un adulto la lettura del Manuale delle decisioni e dei simboli dei concili. Un catechismo non ne è l’equivalente, poiché esso non con-tiene tutto ciò che è tecnicamente «di stretta fede» e contiene altre cose che non lo sono. È d’altra parte impossibile scoprire, interrogando dei sacerdoti, ciò che è e ciò che non è «di stretta fede». Basterebbe allora illustrare ciò che fa parte più o meno della prassi, proclamando ufficialmente che una adesione di cuore ai misteri della Trinità, incarnazione, redenzione, eucaristia, e al carattere rivelato del nuovo Testamento è la sola condizione per accedere ai sacramenti. In questo caso la fede cristiana, senza il pericolo di una tirannia esercitata dalla Chiesa sugli spiriti, potrebbe esser posta al centro di tutta la vita profana e di ogni attività che la compone, e tutto impregnare, assolutamente tutto, con la sua luce. Unica via di salvezza per i miserabili uomini di oggi. (Simone Weil, Ultime pagine).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-03T22:28:28+01:00da fraternidade
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