Giorno per giorno – 04 Maggio 2022

Carissimi,
“Io sono il pane della vita. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 35. 37-39). Tutto ciò che il Padre ha dato a Gesù è semplicemente tutto, nulla e nessuno escluso (cf Gv 13, 3; Mt 11,27). Egli non conosce respingimenti. Opera, invece, secondo l’infallibile volontà del Padre, perché nessuno si perda. Questa è la fede che noi, alimentati del pane di vita che è Gesù, l’Io-sono di Dio, siamo chiamati a testimoniare. Stasera, durante l’Eucaristia, ci dicevamo quanto si sia ancora lontani dal vedere realizzato nella storia questo obiettivo. Sembra che il male, in tutte le sue forme, abbia ovunque il sopravvento, avallato spesso da chi si dice religioso. E, tuttavia, siamo chiamati a non perdere la speranza e a vedere (e ad essere) i piccoli segnali di luce, più diffusi di quanto possa sembrare, che anticipano ciò che verrà, la società fraterna, ove sia abbattuto ogni muro di divisione e inimicizia.

La maggior parte delle chiese ne celebrano la memoria a ridosso di quella del figlio, Agostino, noi lo facciamo, assieme alla chiesa maronita, nella data del trapasso. Ricordiamo oggi Monica di Tagaste, testimone di amore e dedizione. Assieme a lei ricordiamo Dorothée Quoniam (Marie-Aimée de Jésus), mistica carmelitana.

Monica era nata a Tagaste (l’attuale Souk Ahras, in Algeria), nel 331 in una famiglia profondamente cristiana. Fu data in sposa a Patrizio, un pagano dal carattere collerico e con una piuttosto scarsa comprensione della fedeltà coniugale, che lei riuscì, comunque, nel corso degli anni, con la sua mitezza e pazienza, ad ammansire fino ad ottenerne la conversione. A 23 anni aveva dato alla luce il primogenito, Aurelio Agostino, cui sarebbero seguiti un altro figlio e una figlia. Rimasta vedova nel 371, presto temette di perdere anche il figlio maggiore, per la vita futile e sregolata che conduceva e le mode culturali e religiose cui lo vedeva aderire. Un sogno tuttavia la esortò a non scoraggiarsi e ad accompagnarlo, con discrezione e sia pure da lontano, con l’affetto materno e la preghiera. Tanta costanza sarebbe stata premiata. Di fatto, fu solo nel 385 che Monica raggiunse a Milano il figlio, chiamato, l’anno precedente, a coprire la locale cattedra di retorica. Qui, favorito da Monica, avvenne l’incontro decisivo di Agostino con il vescovo Ambrogio. Nella Veglia Pasquale del 387, Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero il battesimo. Poche settimane dopo, sulla via del ritorno per l’Africa, in attesa di imbarcarsi ad Ostia, Monica si ammalò improvvisamente, forse di malaria, e morì all’etá di 56 anni. Aveva ottenuto che si realizzasse ciò che più desiderava e poteva, a questo punto, andarsene.

Dorothée Quoniam era nata il 14 gennaio 1839 a Le Rozel, nel Cotentin (Francia) da una famiglia poverissima. Alla ricerca di migliori condizioni di vita, la famiglia al gran completo, con lei ancora bambina, si trasferì a Parigi, dove però, in pochi anni, morirono il padre, la madre e gli altri fratelli e sorelle. Dorothée finì così in orfanatrofio. Raggiunta la maggior età, il 27 agosto 1859, chiese e ottenenne di entrare nel Carmelo dell’Avenue de Saxe, assumendo il nome di Marie-Aimée de Jésus. Durante il noviziato fu favorita da grazie eccezionali. Grazie mistiche e prove dolorose l’accompagneranno in seguito fino alla morte. Quando, nel 1863, uscì il libro “La vita di Gesù”, di Ernest Renan, in cui l’autore negava la divinità di Gesù, Marie-Aimée, ferita dalle sue affermazioni, pur senza nessuna competenza teologica, decise di mettere per iscritto le ragioni della sua fede. Nacque così il libro “Notre Seigneur Jesus Christ etudié dans le Saint Evangil”, che rimase manoscritto fino al 1909. Alla sua pubblicazione, molti lo considerarono una vera e propria summa teologica. Durante la guerra del 1870, Marie-Aimée seppe sostenere e animare le consorelle con la sua fiducia e la sua inalterabile pace interiore. Durante gli ultimi anni ricoprì l’incarico di maestra delle novizie. Morì di una pleurite il 4 maggio 1874.

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.8,1b-8; Salmo 66; Vangelo di Giovanni, cap.6,35-40.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti coloro che dedicano la loro riflessione, vita e azione a creare le condizioni per un mondo di pace, fraternità e giustizia.

“Il fanatismo è più antico dell’islam, del cristianesimo, dell’ebraismo, più antico di ogni stato o governo, di ogni sistema politico, più antico di tutte le ideologie e di tutte le confessioni del mondo. Il fanatismo è, disgraziatamente, una componente onnipresente della natura umana; un gene perverso, se volete chiamarlo così”: lo scrive Amos Oz nel suo libro “Contro il fanatismo” (Feltrinelli). Lo scrittore, saggista, giornalista, docente di letteratura, israeliano, protagonista di molte battaglie per la pace tra Israele e Palestina, scomparso il 28 dicembre 2018, compirebbe oggi 83 anni. Scegliamo, per questo, nel congedarci, di cedere la parola a lui, offrendovi in lettura un brano del libro qui sopra citato. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nessun uomo è un’isola, dice John Donne in questa meravigliosa frase cui umilmente oso aggiungere: nessun uomo e nessuna donna è un’isola, siamo invece tutti penisole, per metà attaccati alla terraferma e per metà di fronte all’oceano, per metà legati alla famiglia e agli amici e alla cultura e alla tradizione e al paese e alla nazione e al sesso e alla lingua e a molte altre cose. Mentre l’altra metà chiede di essere lasciata sola, di fronte all’oceano. Credo ci si debba lasciare il diritto di restare penisole. Ogni sistema sociale e politico che trasforma noi in un’isola darwiniana e il resto del mondo in un nemico o un rivale, è un mostro. Ma al tempo stesso ogni sistema sociale, politico e ideologico che ambisce a fare di ognuno di noi null’altro che una molecola di terraferma, non è meno aberrate. La condizione di penisola è quella congeniale al genere umano. È quello che siamo e che meritiamo di restare. Così, in un certo senso, in ogni casa, famiglia, in ogni relazione umana, stabiliamo un contatto con un certo numero di penisole, e faremmo meglio a rammentare tutto questo, prima di tentare di foggiare l’altro, di farlo voltare e pretendere che imbocchi la nostra strada quando invece ha bisogno di trovarsi di fronte all’oceano per un certo tempo. Ciò vale per gruppi sociali e culture e civiltà e nazioni e certamente anche per israeliani e palestinesi. Nessuno di loro è un’isola e nessuno di loro potrà mai amalgamarsi completamente con l’altro. Queste due penisole dovrebbero essere in contatto e al tempo stesso sole con se stesse. So bene che è un messaggio insolito, in questi tempi di violenza e rabbia e ritorsioni e fondamentalismo e fanatismo e razzismo sfrenati in Medio Oriente così come altrove. Ma il senso dell’umorismo, l’immaginare l’altro, il riconoscere la nostra comune natura di penisole possono rappresentare una parziale difesa dal gene fanatico, che tutti abbiamo insito in noi. (Amos Oz, Contro il fanatismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Maggio 2022ultima modifica: 2022-05-04T22:32:45+02:00da fraternidade
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