Giorno per giorno – 29 Dicembre 2021

Carissimi,
“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2, 29-32). Il cantico di Simeone è da sempre l’ultima preghiera della sera che la Chiesa recita a Compieta, prima del riposo notturno. Ed è anche la preghiera che ciascuno di noi dovrebbe poter far sua, non perché si sia realizzato qualcosa di speciale durante il giorno, ma perché si è deciso di prestar fede all’illuminazione che ha portato il vecchio di cui abbiamo letto oggi a riconoscere nel bambino, portato da quella giovane coppia che si addentra timorosa nel tempio, immagine dell’impotenza assoluta, il Dio che salva. E si sarebbe portati a dire che non c’è nulla di più insensato del pensare Dio così. Un Dio, da cui, però, come minimo, e sorprendentemente, sappiamo non ci potrà venire alcun male, dato che è semmai lui ad avere bisogno di protezione e di amore. Come ogni vita umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, dovrebbe rivelarsi ed essere accolta come tale. È così che la storia si dispiega come storia di salvezza di tutti i popoli, luce capace di illuminare le genti, oltre ogni frontiera religiosa.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Thomas Becket, pastore e martire, e di Sébastien Castellion, testimone di pace e e di nonviolenza.

Prima di fare il vescovo, Thomas (nato a Londra nel 1117 da una famiglia normanna) aveva le sue idee, era ambizioso, ricco, colto e godereccio, politicamente in linea, tanto che il re l’aveva nominato cancelliere. E lui, naturalmente, il re, che avesse torto o ragione, lo difendeva a spada tratta. Quando, nel 1161, morì l’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, re Enrico pensò che gli sarebbe piaciuto avere anche il primate della Chiesa d’Inghilterra ugualmente compiacente e scelse per quella carica – allora i re se lo potevano permettere – l’amico fidato. Non avrebbe potuto prendere un granchio maggiore! Thomas lo mise in guardia, a dire il vero, dicendogli: “Sire, se diverrò arcivescovo di Canterbury, perderò l’amicizia di Vostra Maestà”. Niente da fare: ordinato sacerdote il 3 giugno 1162, fu consacrato vescovo il giorno dopo. E furono subito guai. Il re pensò di approvare certe leggi (le “Costituzioni di Clarendon”), che ripristinavano diritti abusivi della casa reale. E lui, Thomas, a dire pane al pane e vino al vino. Che poi era come dare del “villanzone” al re. Il minimo che ci si potesse aspettare era che il buon Thomas finisse in esilio, in un monastero cistercense, in Francia. E difatti. Ma questo lo aiutò a farsi le ossa. Pare infatti che nei monasteri la vita fosse dura. E lui non ci era ancora abituato. Dopo sei anni, grazie anche ai buoni uffici della curia romana, Thomas tornò a Canterbury, siglando un accordo di pace con il re, ma anche con le idee molto chiare sulla giustizia e sul primato della coscienza. Come prima cosa, disse ai vescovi che erano scesi a patti col re: Cari miei, così non va: siete solo opportunisti e dovreste vergognarvi. Il re naturalmente perse le staffe e disse: fatemelo fuori, per favore, questo prete infido. (Dovremmo imparare ad esserlo tutti, infidi, con i potenti, per essere fedeli solo al Vangelo). Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L’arcivescovo lo venne a sapere e li aspettò, dicendo ai suoi: “La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia”. Rivestito dei sacri paramenti, nella cattedrale, si lasciò pugnalare senza opporre resistenza. Disse soltanto: “Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa”. Era il 29 dicembre del 1170.

Sébastien Castellion era nato nel 1515 a Saint-Martin-du-Fresne, in Savoia (Francia) e aveva poi studiato all’università di Lione. Poco più che ventenne, lesse la Institution chrétienne di Giovanni Calvino, che lo entusiasmò a tal punto da indurlo nel 1540 a recarsi a Strasburgo per incontrarvi il riformatore, e a trasferirsi, due anni più tardi, a Ginevra, dove Calvino lo chiamò a dirigere il ginnasio locale. L’amicizia e la fiducia reciproca tra i due, tuttavia, s’incrinò presto. Nel 1543 Castellion scrisse Les Dialogues sacrés, in cui esprimeva con grande chiarezza e determinazione la sua ostilità per ogni genere di tirannia e di assolutismo. Scriverà: “Non c’è nulla che resista più tenacemente alla Verità che i grandi di questo mondo”. E la cosa non piacque molto (chissá perché?) al riformatore ginevrino. Tanto che ci fu chi consigliò a Castellion di lasciare in fretta la cittá. Quando il 27 ottobre 1533 Calvino ordinò di mandare al rogo Michele Serveto, accusato di eresia, Castellion, sotto lo pesudonimo di Martin Bellie, reagì pubblicando l’opuscolo De haereticis an sint persequendi (più o meno: Ma sono proprio da perseguitare questi poveri eretici?), che, fitto di citazioni di Lutero, di Sébastien Franck, di Erasmo da Rotterdam e dello stesso Castellion, difendeva a spada tratta la libertà di coscienza e il principio di tolleranza. L’autore invitava tutti a “rientrare in sé, preoccupandosi di correggere la propria vita più che di condannare gli altri”. Si sollevò, allora, contro di lui il teologo calvinista Theodore de Bezé, denunciando la “carità diabolica e non cristiana” dell’avversario, mentre Calvino in persona lo definì “un mostro pieno di veleno e di sfrontatezza”. Castellion gli rispose serafico: “Le vostre parole e le vostre armi sono quelle usate solo dai despoti; e possono darvi solo un potere temporale, non una supremazia spirituale, una supremazia basata sulla coercizione, e non sull’amore di Dio”. Sempre più solo e isolato, nel 1562, pubblicò Conseil à la France désolée, in cui esortava a porre fine a tutte le guerre di religione e alle persecuzioni. Nell’opuscolo “Contro il libello di Calvino”, a proposito dell’esecuzione di Serveto, scrisse: “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con scritti bisognava confutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando un uomo, ma facendosi bruciare per essa”. Restò profeta inascoltato. Morì il 29 dicembre 1563 a Basilea.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra attenzione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap. 2, 3-11; Salmo 96; Vangelo di Luca, cap.2, 22-35.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace, lungo i cammini più diversi.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Sébastien Castellion, riportata in Stefan Zweig “Conscience contre violence” (Le Castor Astral). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Poiché la violenza riappare in ogni epoca in nuove forme, dobbiamo riprendere costantemente la lotta contro di essa. Possano gli uomini di pensiero non sottrarsi a questa lotta col pretesto che non ci si può opporre alla violenza solo con la forza delle idee. Poiché non possiamo mai dire troppo ciò che è necessario dire, non grideremo mai troppo spesso la verità. Anche quando non trionfa, l’idea manifesta nondimeno la sua eterna presenza, e chi la serve in un’ora così critica mostra così che nessun terrore ha potere su un’anima libera, e che anche nell’epoca più disumana si può far udire la voce dell’umanità. (Sébastien Castellion, cit. in Stefan Zweig, Conscience contre violence).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Dicembre 2021ultima modifica: 2021-12-29T22:09:18+01:00da fraternidade
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