Giorno per giorno – 03 Giugno 2021

Carissimi,
“Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio” (Mc 14, 22-25). Il Vangelo che la solennità di oggi ci propone ci rimanda al mistero celebrato il Giovedì santo, la cui liturgia aveva privilegiato il racconto del gesto compiuto da Gesù della lavanda dei piedi più di quello della Cena, anticipazione simbolica del significato della passione e morte del Signore, che ritroviamo tuttavia come memoriale di ogni eucaristia. Una ripresa tematica, dunque, perché non si corra il rischio, sempre presente, di banalizzare il rito, astraendolo dalla vita o riducendolo a devozione. In gioco c’è nientemeno che la vita di Dio e il dono che di se stesso fa all’umanità. Lungi dall’esigere da noi sacrifici, egli fa di sé sacrificio a noi, facendosi carico di e identificandosi con tutti i sofferenti del mondo, perché ogni sofferenza abbia fine e ci si ritrovi tutti insieme a partecipare al banchetto di Dio. Corpo donato in alimento, sangue versato per il riscatto, la liberazione e la salvezza di tutti, dato ai suoi (cioè anche a noi), perché ne facciano motivo di rendimento di grazie e ne diano testimonianza al mondo, offrendosi come sacramento di una comunione universale, sotto il segno dell’amore e di un’umanità finalmente riconciliata.

Oggi la Chiesa celebra la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
Istituita nel 1246, nella diocesi di Liegi, in Belgio, in seguito alle visioni di una monaca agostiniana, Giuliana di Cornillon, che suggerì all’Ordinario locale l’opportunità di una festa che valorizzasse adeguatamente il mistero dell’Eucaristia, la festa fu, nel 1264, estesa a tutta la cristianità, dal papa Urbano IV (Jacques Pantaléon, già arcidiacono della chiesa di Liegi e confidente della religiosa). La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). L’impulso decisivo all’istituzione della festa fu dato da un evento prodigioso avvenuto nel 1263 (o forse nel 1264) nella chiesa di santa Cristina a Bolsena, quando durante una messa celebrata da un prete boemo, Pietro di Praga, che nutriva dubbi sulla presenza di Cristo nelle specie consacrate, l’ostia stillò sangue. Il papa, venuto a conoscenza del fatto, con la bolla “Transiturus de hoc mundo”, dell’11 agosto 1264, istituì la festa. Quali che siano le concrete circostanze in cui ha avuto origine, la festa rappresenta una ripresa della Pasqua della Cena del Signore, celebrata il Giovedì santo. Sintesi della vita e significato della morte di Gesù. Che la risurrezione suggella come verità di Dio. E da cui scaturisce la vita della Chiesa.

Bene, i testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono propri della Solennità odierna e sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.24, 3-8; Salmo 116; Lettera agli Ebrei, cap.9, 11-15; Vangelo di Marco, cap.14, 12-16.22-26.

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Carlo Lwanga e compagni, martiri in Uganda, Giovanni XXIII, il papa del Concilio, e Otto Neururer, martire sotto il regime nazista.

Carlo Lwanga e i suoi 31 compagni, cattolici e anglicani, soffrirono il martirio nel 1886, durante la persecuzione del re Mwanga, che fece numerose vittime. I martiri che ricordiamo servivano alla corte del re. Il più giovane, Kizito, aveva tredici anni. Alla fine del maggio 1886, quando Mwanga venne a sapere che molti dei suoi funzionari erano diventati cristiani, li convocò e, minaccioso, chiese loro se intendessero ostinarsi nella nuova fede. Essi risposero: Fino alla morte. La loro età era compresa tra i tredici e i venticinque anni. Carlo, responsabile dei paggi, fu il primo ad essere assassinato. Fu bruciato lentamente, a cominciare dai piedi. A Kalemba Morumba furono amputate mani e piedi: abbandonato su una collina, morì dissanguato. Andrea Kagua fu decapitato. Gian Maria fu affogato in un pantano. E così via.

Angelo Giuseppe Roncalli era nato il 25 novembre 1881 in una povera famiglia contadina a Sotto il Monte (Bergamo). Entrato in seminario a 11 anni, venne ordinato prete nel 1904 e consacrato vescovo nel 1925. In quello stesso anno venne inviato in Bulgaria come Visitatore e Delegato Apostolico. Dal 1934 al 1944 fu Delegato Apostolico in Turchia e Grecia, poi, dal 1944 al 1952, Nunzio Apostolico a Parigi. La nomina a patriarca di Venezia, nel 1953, lo sottrasse alla carriera diplomatica e lo riportò alla dimensione che più gli era consona di Pastore. Presentandosi ai veneziani disse: “Voglio essere per voi semplicemente un fratello, amabile, accostevole, comprensivo”. Ed, ogni giorno, aprì le porte della sua casa per tre ore, dalle 10 alle 13, a quanti desideravano parlargli. Durante il concistoro che seguì alla morte di Pio XII, il 28 ottobre 1958, alla vigilia dei suoi 76 anni, venne eletto papa e prese il nome di Giovanni XXIII. Quello che molti consideravano un “papato di transizione”, si rivelerà invece decisivo per il rinnovamento della Chiesa. Sua la decisione di indire un nuovo Concilio ecumenico, che lui stesso aprì l’11 ottobre 1962, e che rappresenterà una nuova Pentecoste nella vita interna della chiesa cattolica e nelle relazioni di questa con le altre chiese e con il mondo. Rilevante, coraggioso e innovatore, nel suo magistero, fu il tema della pace, a cui dedicò l’Enciclica Pacem in Terris e che seppe testimoniare con gesti profetici. Il 10 maggio 1963 ricevette il Premio Balzan, un prestigioso riconoscimento internazionale per la sua opera a favore della pace. Subito dopo, il peggiorare del male, di cui soffriva, lo costrinse a letto. Morì il lunedì dopo Pentecoste, 3 giugno, proprio nel momento in cui in piazza san Pietro terminava la celebrazione dell’Eucaristia.

Otto Neururer era nato il 25 marzo 1882 a Pillet, un piccolo villaggio del Tirolo (Austria), dodicesimo figlio di una famiglia di mugnai e contadini. Dopo gli studi in seminario, fu ordinato prete nel 1907, dedicandosi negli anni successivi all’attività pastorale in diverse parrocchie e all’insegnamento della religione. Nel 1932 fu nominato parroco a Götzene, nei pressi di Innsbruk e seppe farsi amare come pochi dai fedeli, che gli riconoscevano uno zelo e una dedicazione non comuni. Quando nel 1938, la Germania nazista realizzò l’annessione dell’Austria, accadde l’incidente che avrebbe mutato il corso della sua vita. Una ragazza, che era stata chiesta in sposa da un uomo di trent’anni più vecchio di lei, membro del partito nazista e fanatico sostenitore delle teorie razziste di quel partito, si era rivolta al prete per chiedere consiglio e lui l’aveva portata a riflettere sull’incongruenza per una giovane cristiana di dire sì a una tale unione. La ragazza seguì il consiglio, ma l’uomo per vendetta denunciò il parroco alla Gestapo, “per aver impedito un matrimonio tedesco”. Padre Neururer venne arrestato il 15 dicembre 1938 e rinchiuso in carcere ad Innsbruck, poi, l’anno successivo, fu trasferito nel campo di concentramento di Dachau e successivamente a quello di Buchenwald, in Germania. In tutto questo tempo, egli non cessò di sostenere e confortare i suoi compagni di sventura. Quando i suoi carcerieri scoprirono che aveva segretamente istruito nella fede e battezzato un altro prigioniero, lo segregarono nel bunker del campo, poi lo appesero a testa in giù, lasciandolo morire lentamente, il 3 giugno 1940.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera a Timoteo, cap. 1, 1-3.6-12; Salmo 123; Vangelo di Marco, cap.12,18-27.

La preghiera del mercoledì è in comunione con gli operatori di pace e di giustizia, presenti in ogni cammino, religioso e non.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di S. Giovanni XXIII, vi offriamo in lettura una sua preghiera, tratta dall’omelia, tenuta nella Solennità del Corpus Domini, il 21 giugno 1962. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
O Gesù, cibo soprasostanziale delle anime, a te accorre questo popolo immenso. Esso si volge a penetrare la sua umana e cristiana vocazione di nuovo slancio, di interiore virtù, con prontezza al sacrificio, di cui Tu desti saggio inimitabile con la parola e con l’esempio. Fratello nostro primogenito, Tu hai preceduto, o Cristo Gesù, i passi di ciascun uomo, Tu hai perdonate le colpe di ciascuno; tutti e ciascuno tu sollevi a più nobile, più convinta, più operosa testimonianza di vita. O Gesù, pane vero, unico e solo cibo sostanzioso delle anime, raccogli tutti i popoli attorno alla mensa tua: essa è divina realtà sulla terra, è pegno di favori celesti, è sicurezza di giuste intese tra le genti, e di pacifiche competizioni per il vero progresso della civiltà. Nutrìti da Te e di Te, o Gesù, gli uomini saranno forti nella fede, gioiosi nella speranza, operosi nelle molteplici applicazioni della carità. Le volontà sapranno superare le insidie del male, le tentazioni dell’egoismo, le stanchezze della pigrizia. E agli occhi degli uomini retti e timorati apparirà la visione della terra dei viventi, di cui il progrediente cammino della Chiesa militante vuol essere l’immagine, nell’atto di far risonare nel mondo universo le prime voci, arcane e soavissime, della città di Dio. Sì, o Gesù: Nutrici, difendici. Facci vedere i beni eterni nella terra dei viventi. Amen. Alleluia! (Giovanni XXIII, Solennità del Corpus Domini, 21 giugno 1962).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Giugno 2021ultima modifica: 2021-06-03T22:05:28+02:00da fraternidade
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