Giorno per giorno – 03 Maggio 2021

Carissimi,
“Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere” (Gv 14, 8-10). No, non c’è proprio verso di soddisfare il nostro desiderio di vedere il Padre, togliendo così il velo al mistero della nostra origine, e in tal modo conoscerci, che non sia attraverso l’immagine compiuta, e solo in quella, che ce ne presenta il Figlio. Eppure, quante volte il dubbio rimane: e se ci fosse dell’altro? Se ciò che ci viene più spontaneo nel pensare Dio fosse più vero di quel che abbiamo visto in Gesù? Ora, se dopo aver vissuto tanto tempo con lui, Filippo non aveva ancora riconosciuto il volto del Padre nell’agire del Figlio, avranno pure qualche giustificazione coloro che, lungo i secoli fino ad oggi, pur conoscendo bene il Vangelo, hanno via via ridotto spesso Dio a semplice oggetto di devozione o a idolo identitario, moralista, vendicativo e giustiziere, garante della propria salvezza mondana e celeste a danno degli altri. Giungerà il tempo in cui Gesù troverà il modo di convertirci tutti alla Parola che egli è, portandoci ad agire nel segno del dono, che è l’unica maniera di essere di Dio.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Filippo, apostolo, e di Giacomo, fratello del Signore; di Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure, martire dei campi di concentramento nazisti, e quella di Felipe Huete e quattro compagni, martiri della Riforma agraria in Honduras.

Filippo, originario di Betsaida, sul lago di Tiberiade, come Pietro e Andrea, è con loro uno dei primi ad essere chiamato da Gesú. Egli stesso recluterá in seguito un altro discepolo, Natanaele. È a lui che, poco prima della passione, si dirigono alcuni greci per essere presentati a Gesú. È ancora lui che, secondo il racconto di Giovanni, durante la cena chiede al Maestro: “Mostraci il Padre”. Gesú gli risponde: “È tanto tempo che sto con voi e tu non mi conosci, Filippo. Chi vede me, vede il Padre”. Nulla si sa di certo sulla sua vita dopo la Pentecoste. Una tradizione afferma che predicò il Vangelo in Frigia (nell’attuale Turchia), dove sarebbe morto martire, a Hierapolis, crocifisso a testa in giù, durante la persecuzione di Domiziano. Giacomo era cugino di Gesù e fratello di Giuseppe, Simone e Giuda, di Nazareth. Fu il capo della prima comunità di Gerusalemme (At 12,17). Durante il concilio di Gerusalemme, Giacomo propose che i cristiani di origine pagana non fossero tenuti all’osservanza della legge giudaica. La sua proposta passò (cf At 15). Secondo il racconto di Flavio Giuseppe, nelle Antichità Giudaiche, il sommo sacerdote Anano, nell’anno 62, convocò il sinedrio, per giudicare Giacomo e altri cristiani, che finirono per essere condannati a morte e lapidati. In seguito i farisei ottennero la destituzione del sommo sacerdote, perché la seduta non si era svolta secondo la legge ed era stata convocata a loro insaputa. A Giacomo è attribuita una delle sette Lettere, chiamate “cattoliche”. Controversa è la sua identificazione con l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo.

Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure era nata a Lima (Perù) il 28 agosto 1904, ultima di otto figli di Alexandre Léon Truel e di Marguerite Larrabure Othéquy, una coppia di immigrati francesi, giunti in Perù nella seconda metà del secolo XIX. Poco dopo la morte dei genitori, avvenuta prima che Magdalena compisse vent’anni, i fratelli Truel, su richiesta di alcun famigliari, decisero di fare ritorno in Francia, a Parigi, nel 1924. Qui la giovane si iscrisse alla facoltà di filosofia della Sorbona, trovò un impiego in banca, e si impegnò nel contempo nelle attività parrocchiali della Chiesa di San Francesco di Sales. Nel 1940, l’invasione di Parigi da parte delle forze tedesche portò all’organizzazione del movimento di Resistenza, integrata da quanti intendevano lottare contro gli occupanti. Tramite gli amici Pierre e Annie Hervé, anche Magdalena vi aderì, con il compito di falsificare documenti da fornire a profughi ebrei e a soldati alleati paracadutati sulla capitale francese. Il 19 giugno 1944, Magdalena fu arrestata e rinchiusa nella prigione di Fresnes, dove fu ripetutamente torturata perché rivelasse piani e persone della resistenza. Senza per altro che lei cedesse. Trasferita nel campo di concentramento di Sachsenhausen nel 1945, visse, secondo la testimonianza di quanti la conobbero, la carità in maniera eroica. Si privava del poco cibo che le davano per condividerlo con quanti riteneva ne avessero maggior bisogno. Nonostante le difficoltà, riusciva a mantenere e comunicare allegria alle sue compagne di prigione. All’approssimarsi della fine della guerra, le truppe tedesche iniziarono quella che è conosciuta come la “Marcia verso la morte”, il trasferimento forzato di migliaia di prigionieri, per lo più ebrei, dai campi di concentramento verso l’entroterra tedesco. Durante il trasferimento che interessò il campo di Sachsenhausen, Magdalena cadde lungo la strada priva di sensi, a causa delle percosse di un soldato. Poche ore più tardi i soldati abbandonarono i prigionieri e si spogliarono delle loro divise per sottrarsi alla cattura da parte degli eserciti alleati. Trasportata nel villaggio tedesco di Stolpe, Magdalena vi morì poche ore più tardi. Era il 3 maggio 1945, cinque giorni prima della resa della Germania e della fine dell’Olocausto.

Felipe Huete era uno dei molti contadini di Choluteca, che, a metà degli anni settanta (del secolo scorso), aveva lasciato il suo paese, nel sud dell’Honduras, per spostarsi più a nord, in cerca di lavoro e di terre da coltivare. Dopo alcuni sfortunati tentativi, era giunto, nel 1982, a Namasigue, dove si era presto integrato nelle attività della chiesa locale, divenendo tra l’altro delegato della Parola, e partecipando con entusiasmo ai progetti portati avanti dalla Pastorale della Terra. Tra gli altri, quello riguardante alcune terre del municipio di Arizona (Dipartimento di Atlántida), sottratte illegalmente ai piccoli proprietari e rivendute poi da un individuo privo di scrupoli a un coronel residente nella capitale, Leonel Galindo. A metà del 1990, le prime minacce. Il delegato delle forze di polizia di Mezapa si recò a casa di Felipe, per avvisarlo senza mezzi termini: lasciate perdere quelle terre, se no ci sarà un bagno di sangue. Le indimidazioni si ripeterono all’inizio del 1991. Nuove e, se possibile, più brutali minacce furono fatte, il primo maggio, a tre contadini, tra cui il figlio di Felipe. Il 3 maggio, secondo la testimonianza dei sopravvissuti, una pattuglia dell’esercito circondò un gruppo di contadini, che si era recato, all’alba, nelle terre contese, per ripulirle, e, subito, aprì il fuoco su di essi. Restarono a terra, privi di vita, Felipe Huete, suo figlio Ciriaco, suo genero Carlos Salomon, suo nipote, Mártir Huete, e un altro contadino che faceva parte del gruppo, Cruz Chacón. Il corpo di quest’ultimo venne poi portato al suo villaggio, Santa Maria. Gli altri furono trasportati tutti a casa di Felipe, dove le quattro vedove, doña Dominga, sua nuora Bertilla, sua figlia Isidora, e la nipote acquisita, Trinidad, con il resto della famiglia, gli amici e i compagni, si disposero all’ultimo addio. Lungo la giornata cominciò ad affluire gente da Mezapita, Mezapa, Retiro, Matarras e de altre parti ancora. Vennero letti i testi che Felipe aveva scelto per la Celebrazione della Parola della domenica successiva. Tra questi, il brano di Luca che suona: “A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla” (Lc 12, 4). Gli stessi testi furono letti nell’Eucaristia, presieduta da vescovo, Mons. Jaime Brufau, e dagli otto preti di San Pedro Sula, a cui presero parte oltre quattromila contadini, scalzi, col sombrero in mano, giunti da ogni dove. Felipe, per quindici anni, aveva voluto raccogliere il sogno della sua comunità contadina: che le fosse fatta giustizia, dando la terra a chi la lavora. Tale riconoscimento venne. Ma solo più tardi.

Le letture proposte dalla liturgia odierna sono proprie della festa e sono tratte da:
1ª Lettera ai Corinzi, cap.15,1-8; Salmo19; Vangelo di Giovanni, cap.14,6-14.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. E noi, prendendo spunto dalla memoria dei nostri martiri latinoamericani, vi offriamo, nel congedarci, una pagina del teologo della liberazione Jon Sobrino. Tratta dal suo libro “Gesù Cristo liberatore” (Cittadella Editrice), è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nel canto [di Isaia] si dice che il servo di Jhwh si addossa i peccati degli altri e così salva i peccatori dai loro peccati. In tal modo si dice che cos’è il peccato e cosa bisogna fare di esso. Peccato è anzitutto ciò che causa morte, ciò che provoca vittime reali e visibili come il servo. Peccato è ciò che ha fatto morire Gesù e peccato è ciò che continua a infliggere morte al popolo crocifisso. Quello che vi può essere di offesa invisibile a Dio si storicizza nell’offesa visibile alla vittima. “Morire per i nostri peccati”, affermazione così fondamentale nel NT, significa anzitutto essere storicamente e realmente schiacciati dai peccatori. D’altra parte, davanti alla domanda egualmente fondamentale nel NT: che cosa fare del peccato, è chiaro che bisogna sradicarlo, ma a una condizione essenziale: prendendolo su di sé. Prendere su di sé il peccato è, prima ancora che assumere la colpa del peccato, portare su di sé il peso della sua oggettivazione storica: essere pestati, schiacciati, destinati alla morte. Certamente in questo, e soprattutto in questo, il popolo crocifisso assomiglia al servo sofferente. Porta sulle proprie spalle i peccati dei suoi oppressori. Non v’è nulla di retorico nell’affermare che i contadini e gli indigeni portano il peso che gli altri mondi hanno gettato sulle loro spalle. Il Terzo Mondo porta il peso che gli altri mondi hanno gettato sulle sue spalle. Questo peso fa a pezzi i popoli del Terzo Mondo ed essi muoiono come il servo. Il volto sfigurato del Terzo Mondo è prezzo del maquillage di altri mondi; la sua povertà il prezzo della loro abbondanza; la sua morte, il prezzo della loro vita. Per usare le parole di I. Ellacuria, i dominatori e saccheggiatori che si sono succeduti in America Latina l’ “hanno ridotta a un (povero) Cristo”. Portando storicamente e realmente il peso del peccato, il servo può però sradicarlo; egli diventa luce e salvezza, viene consumato lo scandaloso paradosso. Il popolo crocifisso è allora il portatore della “soteriologia storica”: in ciò consiste la specificità e la maggior novità dell’analisi teologica del servo quale viene fatta in America Latina. (Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Maggio 2021ultima modifica: 2021-05-03T22:53:43+02:00da fraternidade
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