Giorno per giorno – 28 Febbraio 2021

Carissimi,
“Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9, 2. 4. 7). “Sei giorni dopo” cominciava così in realtà il brano del vangelo di oggi e bisogna dunque sapere cosa era successo prima. Sei giorni prima, Gesù aveva preannunciato la sua passione, suscitando lo scandalo di Pietro e, presumibilmente, anche degli altri discepoli, e poi aveva dettato le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34). Il che non rappresentava proprio il massimo delle prospettive. Sei giorni dopo, il settimo giorno, dunque, il Sabato di Dio, accade ciò che abbiamo ascoltato oggi. Forse per rianimare i discepoli (e anche noi). Padre Geraldo, nella su omelia, ha suggerito che ciò che accomuna Mosè, Elia e Gesù, sia l’ascolto che, in tempi diversi è dovuto loro. Mosè scandisce la fede d’Israele a partire dall’invito: Ascolta, Israele (Dt 6,4). Ma, prima ancora, c’è l’ascolto da parte di Dio del lamento del suo popolo (cf Es 3, 7). Ed è in questo Dio che noi crediamo, Lui che siamo chiamati ad ascoltare, per uniformarci a Lui, attenti al grido di tutti i sofferenti. Elia, poi, è in rappresentanza di tutti i profeti, che ci richiamano quando ce ne scordiamo e ci additano la promessa destinata a compiersi. Simbolo della speranza, perciò. Speranza che si compie in Gesù, rivelazione definitiva, nella carne, nel cuore della storia, dell’amore incondizionato del Padre. Fede, speranza, amore. È nell’ascolto del Figlio che si disegna ora la nostra vocazione, che ha come fine quello di trasfigurarci in Lui: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20). Destino, dunque, la pasqua di risurrezione. Lasciamolo operare.

I testi che la liturgia di questa II Domenica di Quaresima propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.22,1-2.9a.10-13. 15-18; Salmo 116; Lettera ai Romani, cap.8, 31b-34; Vangelo di Marco, cap.9, 2-10.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta la memoria di uno dei grandi riformatori della Chiesa, Martin Bucero, testimone di pace e dialogo e quella di Teresita Ramirez Vargas, religiosa, martire della solidarietà in Colombia.

Martin Kuhhorn (che avrebbe scelto in seguito il nome umanistico di Bucero) era nato l’11 novembre 1491 a Schlettstadt, in Alsazia, da umile famiglia, ed era entrato quindicenne nell’Ordine domenicano. Nel 1517 fu inviato all’Università di Heidelberg per proseguirvi gli studi. Lì, l’anno successivo, conobbe Lutero e fu subito conquistato dalle sue idee. Allontanato dall’Ordine, nel 1521, svolse il suo ministero come prete secolare a Landstuhl, nel Palatinato, dove conobbe e poi sposò Elizabeth Silbereisen, una ex-monaca, che gli diede tredici figli, di cui uno solo sopravvisse. Trasferitosi a Strasburgo, nel 1523, divenne il principale riformatore della città. Sostenitore convinto della necessità di tornare all’Evangelo, organizzò la chiesa locale in una rete di piccole comunità, che avrebbero dovuto seguire il modello della Chiesa delle origini, delineato negli Atti degli Apostoli. Conobbe e influenzò notevolmente Giovanni Calvino. Nella controversia che opponeva Lutero e Zwingli sulla natura dell’Eucaristia, Bucero tentò inutilmente di mediare tra i due schieramenti. Si dedicò anche con entusiasmo alla ricerca di una riconciliazione fra protestanti e cattolici romani e a far opera di pacificazione nei confronti degli anabattisti. Quando la moglie morì di peste nel 1541, Bucero sposò Wibrandis Rosenblatt, già vedova, in ordine di tempo, dei riformatori Ludwig Keller, Johannes Heusegen (Giovanni Ecolampadio) e Wolfgang Capito. La donna gli diede tre figli, di cui una sola sopravvisse. Nel 1549, esiliato da Strasburgo, per ordine di Carlo V, si trasferì, su invito dell’arcivescovo Thomas Cranmer, in Inghilterra, dove fu ricevuto con tutti gli onori dal re Edoardo VI. Dopo un breve soggiorno a Londra, fu chiamato a Cambridge come professore. Qui lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer della Chiesa anglicana. La morte lo colse il 28 febbraio 1551. Sotto il regno di Maria Stuart (1553-1558), i suoi resti furono esumati e bruciati, e la sua tomba demolita (1556), ma fu ricostruita nel 1560 dalla regina Elisabetta (1558-1603). Dopo Lutero e Melantone, Bucero fu il più influente dei riformatori tedeschi.

Di Teresita Ramirez Vargas disponiamo solo di pochi dati biografici. Nata il 15 ottobre 1947, a La Ceja, Antioquia (Colombia), era entrata nella congregazione della Compagnia di Maria. Inviata a Cristales, frazione del municipio di San Roque, a cinque ore da Medellin, si dedicava all’insegnamento nella scuola locale e all’attività pastorale, cercando insieme alla gente le vie per la formazione dell’uomo nuovo e una nuova società, alla luce del vangelo, e accompagnando i tentativi dei poveri di divenire responsabili della propria storia per raggiungere una vita più umana a livello personale e sociale. Le sue giornate erano perciò scandite dalle ore dedicate all’insegnamento, alla formazione di una coscienza critica, all’ascolto e all’incoraggiamento dei giovani, alle visite agli ammalati, a percorrere a piedi o a cavallo molti chilometri per accompagnare le famiglie e i gruppi di lavoro e di riflessione sul Vangelo. Il 28 febbraio 1989, alle undici del mattino, mentre dava lezione, due giovani sconosciuti fecero irruzione nella classe e la invitarono a uscire. Parlarono con lei per qualche secondo e le chiesero qualcosa. La suora rientrò in classe, andò fino alla cattedra e prese un foglio. Quando uscì le spararono a bruciapelo, sotto gli occhi terrorizzati dei suoi alunni, e dandosi poi alla fuga. Un anno dopo la sua morte, Martín Emilio Sánchez Rodríguez, un disertore dell’esercito, testimoniò davanti dell’Arcivescovo di Medellin, e, più tardi, davanti al Procuratore Generale che questo e altri delitti erano stati ideati ed eseguiti da membri della XIV Brigata dell’esercito. Poche settimane dopo aver prestato la sua deposizione, anch’egli fu ucciso. Le sorelle di Teresita così la ricordano: “Da quel giorno, a partire dalla sua testimonianza, si è ravvivata la consapevolezza che le azioni di morte pianificate dagli uomini non potranno mai impedire la realizzazione graduale della promessa di Gesù: Sono venuto perché tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza. Pensare a Teresita, è ricordare una donna che, sedotta da Gesù, ha offerto la sua vita a servizio dei più poveri. Il suo sangue continua a fecondare oggi il lavoro di evangelizzazione tra i contadini e in altre istituzioni e progetti di educazione popolare che portano il suo nome e si ispirano alla sua testimonianza”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Teresita Ramirez, vi proponiamo una citazione del teologo Jon Sobrino, tratta dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il paradosso della relazione fra evangelizzatore e buona notizia per lui stesso è mirabilmente espresso in una espressione paolina: “vorrei essere anatema per la salvezza dei miei fratelli”. Quanto vi è qui di eccesso retorico esprime chiaramente fino a che punto l’evangelizzazione sia servizio per gli altri. Solo chi realizza ciò, chi dimentica se stesso fino a questo punto, riacquista la buona notizia. Il totale e disinteressato servizio al vangelo si trasforma per lui in vangelo. Questa descrizione dell’evangelizzatore e della sua spiritualità del “servizio” può con piena ragione spaventare. Ma lo spavento non va attribuito all’evangelizzazione, bensì al realizzarla secondo la sequela di Gesù. Così furono la sua missione e il suo cammino storico; ma così anche egli ci rese presente il regno di Dio, la salvezza di Dio. La nostra differenza rispetto a Gesù è che egli fu il primo nel percorrere questo cammino, e perciò lo fece con irripetibile solitudine. L’evangelizzatore di oggi non è solo. Non gli vengono certamente risparmiate le difficoltà che Gesù attraversò, ma vive della speranza che Gesù vinse per noi sulla croce. Da allora il servizio reso al vangelo ha la sua gioia e la sua indistruttibile speranza. Mi sembra che si possano applicare soprattutto all’evangelizzatore alcune parole di Karl Rahner, quando parla del vangelo come di un pesante carico leggero: “quando uno se ne carica” dice “esso si fa carico di lui; e quanto più tempo uno vive, tanto più pesante e più leggero il carico viene ad essere”. Ecco il cammino che si apre all’evangelizzatore quando prosegue il cammino di Gesù. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-28T22:19:15+01:00da fraternidade
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