Giorno per giorno – 16 Febbraio 2021

Carissimi,
“Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora egli li ammoniva dicendo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! E quelli dicevano fra loro: Non abbiamo pane. E Gesù: Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora?” (Mc 8, 14-17). Il racconto può essere letto come una parabola sui rischi, o le tentazioni, che accompagnano sempre la navigazione della Chiesa (i discepoli sulla barca). Che, in sostanza, consistono, da un lato, nel trascurare l’unico Pane che conta, che, alimentandoci della misericordia di Dio, incarnata da Gesù, ci abilita a fare dell’umanità che ci circonda un mondo di fratelli; dall’altro, nel sentire la mancanza di quei pani che, ottenuti dal lievito dei farisei (l’orgoglio spirituale) e da quello di Erode (la logica del dominio), lungi dal saziare le moltitudini, le opprimono, le affamano, le impoveriscono, le escludono. E non è un caso che spesso queste due dimensioni si trovino accomunate nel decidere di eliminare Gesù, il suo significato e la sua proposta dall’orizzonte della storia umana. È accaduto nel corso della storia, a partire dalla repressione violenta degli eretici, poi con le crociate, l’inquisizione, le guerre di religione, i processi di colonizzazione, i connubi con i regimi totalitari, e, qua e là, succede anche oggi, tanto a livello di singole istituzioni o chiese, come a livelllo di gruppi, movimenti, singoli cristiani. Che il buon Dio ci risparmi questa esperienza e ci alimenti sempre con il suo Pane di vita.

Oggi è memoria di Janani Jakaliya Luwum, pastore e martire in Uganda, e dello starec Isidoro, asceta ed eremita.

Janani Jakaliya Luwum era nato nel 1922 a Mucwini, in Uganda. Da ragazzo era stato pastore del gregge di suo padre, un contadino di recente convertito al cristianesimo. Solo all’età di dieci anni aveva potuto cominciare a frequentare la scuola e lo fece con impegno e profitto, fino a conseguire il diploma di insegnante. Il 6 gennaio 1948, Janani ricevette il battesimo. L’esigenza che sentiva sempre più pressante di evangelizzare, lo portò, dapprima, ad essere catechista e, poi, a decidere di mettersi a tempo pieno al servizio della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1956, alternò soggiorni di studio in Inghilterra al lavoro pastorale e all’insegnamento nell’ Istituto teologico di Bulawasi, finché il 25 gennaio 1956 fu consacrato vescovo dell’Uganda settentrionale. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, Milton Obote, e l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito, Idi Amin. Nel 1974, Janani Luwum fu eletto Arcivescovo di Uganda, Rwanda, Burundi and Boga-Zaire. Nel frattempo, nel 1971 il Colonnello Idi Amin aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il governo in carica e aveva instaurato una crudele dittatura militare. Migliaia di persone erano state arrestate, imprigionate senza alcun processo e giustiziate. L’arcivescovo Luwum non se ne stette zitto, né allora, né negli anni successivi. L’8 febbraio 1977, lui e quasi tutti i vescovi ugandesi si riunirono e stilarono una dura nota di protesta, in cui si denunciavano gli atti di violenza compiuti dai servizi di sicurezza del regime e si chiedeva un incontro urgente con il dittatore. Il 16 febbraio, gli ecclesiastici furono convocati nella capitale Kampala. Dopo un confronto farsa, che si risolse in una sorta di processo per tradimento ai vescovi presenti, ad uno ad uno, fu ordinato loro di andarsente. Fu trattenuto solo Luwum, che volgendosi al vescovo Festo Kivengere, disse: “Mi uccideranno, ma non ho paura”. Il giorno dopo fu diffusa la notizia che l’arcivescovo con due ministri del governo, cristiani impegnati, erano morti in un incidente d’auto. In seguito si seppe che lo stesso Amin, infuriato per il rifiuto di Luwum a sottoscrivere una confessione, gli aveva sparato a bruciapelo in volto. Era il 16 febbraio 1977.

Ioann (tale il nome alla nascita) era nato, nel 1824 (o, secondo un’altra versione, nel 1833), nel villaggio di Lyskovo, nel distretto di Makar’evo, nel governatorato di Nižegorod (Russia), nella famiglia di Andrey e Paraskeva Kozin, servi della gleba addetti ai servizi domestici alle dipendenze dei principi Gruzinskij. Quando era incinta di lui, la madre si era recata a Sarov, dallo starec Serafim e il santo l’aveva chiamata a sé e le si era prostrato davanti, predicendole che sarebbe nato da lei un grande asceta. Poco o nulla si sa degli anni giovanili di Ioann, salvo il fatto che, assieme ai divertimenti propri dell’età, egli dava spazio a momenti di preghiera e di meditazione. Nel 1852, avendo ormai chiara dentro di sé la vocazione allo stato monastico, chiese e ottenne di entrare nell’eremo del Getsemani, eretto dal metropolita di Mosca, Filarete. Nel 1860 Ioann fu ordinato monaco e prese il nome di Isidoro. Si trasferì allora nell’eremo del Paraclito, destinato agli amanti della solitudine più austera, dove ricevette l’ordinazione a ieromonaco. Lì restò cinque anni, fino a quando, cioè, gli si offrì la possibilità di recarsi nella repubblica monastica del Monte Athos, dove però potè trattenersi solo un anno. Tornato in patria, dopo un breve periodo al Paraclito, fece ritorno all’antico eremiterio, dove visse senza interruzioni, fino alla morte avvenuta alle undici di sera del 16 febbraio (3 febbraio per il calendario giuliano) del 1908. Pavel Florenskij, che fu suo figlio spirituale, nella biografia che gli dedicò, scrisse di lui: “Povertà, salute precaria, sprezzante trascuratezza, ingiurie, persecuzioni: ecco di quali spine si era ricoperto il sentiero della vita dello starec. E tuttavia, pur tra queste spine, egli era riuscito a serbare una tale serenità, una tale gioia, una tale pienezza di vita, quale noi non abbiamo né siamo in grado di conseguire nemmeno nelle condizioni in assoluto più favorevoli”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.6, 5-8; 7, 1-5.10; Salmo 29; Vangelo di Marco, cap.8, 14-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Oggi, Dom Pedro Casaldáliga, già e per sempre vescovo-profeta della nostra diocesi-sorella di Sâo Felix do Araguaia, compirebbe (anzi, compie, ai piani alti) 93 anni, essendo nato il 16 febbraio 1928, a Balsareny, provincia di Barcellona. Ne faremo memoria nel giorno della sua pasqua, ma vogliamo ricordarlo anche oggi, con una sua poesia dal titolo “Piensa también con los pies”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Pensa anche / con i piedi / sulla strada / stanco / per tanti piedi che camminano. // Pensa anche, soprattutto, / con il cuore / aperto / a tutti i cuori / che battono come il tuo, / come fratelli, / pellegrini, / feriti anche di vita, / feriti forse a morte. // Pensa vitale, conviviale / conflittualmente fratello, / teneramente compagno. // (Pedro Casaldáliga, Piensa también con los pies).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-16T22:28:52+01:00da fraternidade
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