Giorno per giorno – 15 Febbraio 2021

Carissimi,
“Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione” (Mc 8, 11-12). “Un segno dal cielo”, chiedono i farisei di ogni tempo, così spesso prigionieri di una visione miracolistica della dimensione religiosa, che Gesù aveva invece superato nella tentazione affrontata nel deserto, quando “il diavolo, conducendolo con sé nella città santa, l’aveva deposto sul pinnacolo del tempio, dicendogli: Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani” (Mt 4, 5-6). Gesù vi si rifiuta anche ora, come in ogni occasione, durante il suo ministero pubblico. I segni del regno di Dio, che egli è venuto a incarnare, sono ben diversi e si giocano tutti nella materialità di questo secolo. Come manderà a dire a Giovanni, quando questi arriverà a dubitare della sua missione: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11, 4-5). Altri segni che si giochino sul prodigioso non saranno dati né alla sua, né ad ogni altra generazione. L’unico suo segno resterà per sempre il dono incondizionato di sé, al servizio di tutti, per la liberazione dal male di tutti, fino alle estreme conseguenze. Segno che, se lo accettiamo, egli propone di farlo nostro, fuori da ogni volontà di proselitismo e di potere.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Benjamin J. Salmon, profeta di pace e di nonviolenza negli Stati Uniti; di Camilo Torres, martire nella lotta per la giustizia, in Colombia; Maria Elena Moyano, martire per la giustizia, la pace e la fraternità in Perù, di P. Juan Alonso Fernández, martire in Guatemala.

Ben Salmon era nato nel 1889, a Denver, nel Colorado (Usa), da una modesta famiglia cattolica di lavoratori. Impegnato nel sociale fin da giovane, fu subito attratto dal messaggio evangelico della nonviolenza che, all’epoca, lungi dall’essere patrimonio comune, era anzi avversato e guardato con sospetto persino da parte delle chiese. Cattolico praticante, nel 1917 si sposò, proprio nei giorni in cui gli fu notificata la chiamata alla leva. Coerente con i suoi ideali, Ben si dichiarò obiettore di coscienza, scontrandosi in questo, oltre che con il potere civile, con la dottrina e la gerarchia della sua stessa chiesa, che da secoli aveva inventato la teoria della “guerra giusta”. Arrestato nel 1918, processato e condannato a morte, Salmon si vide commutata la pena a venticinque anni di prigione. Dopo due anni trascorsi in carcere duro, in regime di isolamento e in condizioni abominevoli, torturato e irriso, intraprese uno sciopero della fame ad oltranza. Giudicato malato di mente, a causa della sua profezia e testimonianza, fu ricoverato nel manicomio di S. Elisabetta a Washington, da cui tuttavia fu dimesso poco dopo. Dopo la sua liberazione condusse una tranquilla vita in seno alla sua famiglia, continuando nella sua pratica di vita cattolica nonostante l’incomprensione della sua Chiesa. Benché i suoi studi non fossero andati oltre l’ottavo grado, redasse allora un manoscritto di duecento pagine, criticando la dottrina della guerra giusta. Il trattamento riservatogli negli anni di prigione aveva però minato in maniera irreparabile la sua salute. Fu così che Ben Salmon morì a soli quarantatre anni, il 15 febbraio 1932. Dei suoi figli, uno divenne prete e un’altra suora nella Congregazione di Maryknoll.

Jorge Camilo Torres Restrepo era nato il 3 febbraio 1929 a Bogotà, in Colombia, in una famiglia della ricca borghesia liberale. Dopo gli studi secondari, decise, all’inizio del 1948, di entrare in seminario, dove rimase sette anni, fino all’ordinazione sacerdotale, nel 1954. Subito dopo fu inviato in Belgio per studiare sociologia all’Università di Lovanio, dove si laureò. Tornato a Bogotà, fu nominato cappellano dell’Università Nazionale. Lí, con altri professori, fondò la Facoltà di Sociologia, che doveva essere nelle intenzioni una fucina di idee per la soluzione dei gravissimi problemi sociali che il Paese affrontava, Visto di malocchio dal card. Cordoba, a causa delle sue idee, fu rimosso dall’incarico nell’ambiente universitario e destinato a una parrocchia della periferia di Bogotà, senza che, per questo, Camilo rinunciasse al suo impegno sociale. Nel 1965 l’alta gerarchia fece insistentemente pressioni su di lui perché lasciare il ministero sacerdotale. Il 27 luglio 1965 celebrò la sua ultima messa. In un “Messaggio ai cristiani”, scritto poco più tardi quando già era entrato nelle file dell’ “Esercito di Liberazione Nazionale”, dichiarò: “Ho lasciato i privilegi e i doveri del clero, però non ho smesso d’essere sacerdote. Credo di essermi dato alla Rivoluzione per amore del prossimo. Ho smesso di dire messa per realizzare quest’amore del prossimo, sul piano temporale, economico e sociale. Quando il mio prossimo non avrà più nulla contro di me, a rivoluzione realizzata, tornerò ad offrire messa se Dio me lo permetterà. Credo che in questo modo seguo il comandamento di Cristo: “Se porti la tua offerta all’altare e lì ti accorgi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e vai, riconciliati prima col tuo fratello, e dopo vieni e presenta la tua offerta (Mt 5, 23-24). Morì nella sua prima esperienza in combattimento, il 15 febbraio 1966, a Patio Cemento, in un’imboscata tesa ad una pattuglia militare colombiana dall’ELN. In occasione del cinquantenario della morte il Presidente della Conferenza Episcopale, Mons. Castro, si è detto disposto ad avviare un processo che preveda la riabilitazione di Camilo Torres, con la restituzione dello status presbiterale.

Maria Elena Moyano era nata il 29 novembre 1958, nel distretto di Barranco a Lima, in una famiglia di sette figli. La sua storia s’intrecciò ben presto con la nascita e la crescita di Villa El Salvador, uno dei municipi più recenti dell’area metropolitana della capitale peruviana, sorto, in pieno deserto, il 1° maggio del 1971 da un’invasione di terreni demaniali. Lì, Maria Elena, fu animatrice instancabile di tutte le iniziative che potessero rendere la vita più umana e dignitosa: strade, scuole, acqua, luce, posti di lavoro, cibo. Fondò, per la prima volta in Perù, la Federazione delle Donne, impegnandosi a organizzare i Club delle Madri, i Comitati per il Bicchiere di Latte, le Mense Popolari, i Centri di Raccolta, organizzando marce e mobilitazioni. Sempre all’ insegna del dialogo, della chiarezza e della non-violenza. Il 15 febbraio 1992, mentre assisteva a un’iniziativa di un Comitato del Bicchiere di Latte a Villa El Salvador, in compagnia dei suoi figli, Gustavo e David Pineki, Maria Elena fu fatta saltare con la dinamite da elementi dell’organizzazione terroristica Sendero Luminoso. Il suo funerale vide la presenza di oltre trecentomila persone e rappresentò una delle più imponenti manifestazioni che il Perù ricordi. Gustavo Gutiérrez, il padre della teologia della liberazione, pregando alle sue esequie, disse: “Ti rendiamo grazie, o Padre, per la vita che hai donato a Maria Elena. Grazie, Padre, per averci insegnato, attraverso lei, qual è il cammino per vincere la fame che uccide e le pallottole assassine, per averci insegnato la solidarietà, la speranza, l’allegria, l’offerta spontanea di se stessi. […] Coloro i quali l’hanno fatta saltare in aria, pensando di farla così scomparire, altro non hanno fatto se non spargere i semi di questa amica nei nostri cuori, semi di vita”.

Di P. Juan Alonso Fernández sappiamo solo che era missionario della Congregazione del Sacro Cuore, e che, nel periodo più critico della violenta repressione governativa in atto nel Quiché (Guatemala), scelse con altri tre sacerdoti di farvi ritorno, dopo che tutti i preti, in seguito all’assassinio di due missionari, P. José María Gran Cirera e P. Faustino Villanueva, tra giugno e luglio 1980, avevano deciso di lasciare la regione per richiamare l’attenzione del mondo su ciò che stava accadendo. Tornati dunque nel Quiché, P. Juan assunse la cura pastorale della Zona Nord, dove maggiore era il pericolo che correvano catechisti e sacerdoti. Il 28 gennaio 1981, scriveva a suo fratello: “Non desidero certo che mi ammazzino, ma, meno ancora, sono disposto, per paura, ad allontanarmi da questa gente. Una volta di più mi viene da pensare: Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo?”. Nella Zona Nord, seguiva le parrocchie di Nebaj, Cotzal, Chajul, Cunen, Uspantán, Chicamán y Lancetillo. Ed era un compito immane; solo chi conosca le distanze e la difficoltà delle comunicazioni, oltre al fatto del suo trovarsi da solo in tale ministero, può arrivare a capire la radicalità della sua decisione. Il 13 febbraio 1981, era appena arrivato nella parrocchia di San Miguel Uspantán, che fu chiamato e interrogato dai militari distaccati sul posto. Proferirono insulti e accuse, ma, a notte, lo rilasciarono. La mattina del giorno seguente, sabato, 14 febbraio, si recò nel villaggio di Chicamán, per celebrarvi l’Eucaristia. Lì lo consigliarono: “Padre, la cercano, è meglio che se ne vada, se no possono ammazzarlo”. E lui prendendo in mano il crocifisso che portava sotto la giacca esclamò: “Per Lui sono diventato prete, e se devo morire per Lui, sono qui”. Nel pomeriggio si spostò a Uspantán, dove la mattina di domenica 15, celebrò ugualmente l’Eucaristia. Il pomeriggio, prese la moto per recarsi a Cunén. Alle tre, lungo la strada, fu fermato da una pattuglia di soldati, che lo torturarono e poi lo finirono con tre proiettili sparatigli in testa. I funerali si svolsero il 17 febbraio nella chiesa di Chichicastenango.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.4, 1-15.25; Salmo 50; Vangelo di Marco, cap.8, 11-13.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Oggi compirebbe novantaquattro, uno dei profeti del nostro tempo, Carlo Maria Martini, nato a Torino il 15 febbraio 1927. Noi scegliamo di ricordarlo, offrendovi in lettura un suo brano, tratto dal libro di Carlo M. Martini, Georg Sporschill, “Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede” (Mondadori). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella mia lunga vita ho incontrato diverse Chiese e comunità religiose. In molte comunità a me estranee ho trovato conoscenti e amici, anche nell’ebraismo e nell’islam. Tuttavia, ciò non mi ha mai portato a pensare di non volere più essere cattolico. Al contrario, più vivo insieme ad altri, più amo la Chiesa. Posso solo raccomandare il contatto con fedeli di altre confessioni; ti chiederanno: perchè sei cattolico? Un musulmano ti domanderà perchè sei cristiano. Allora cercherai una risposta e darai testimonianza. Sarai felice di essere cattolico e altrettanto felice che l’altro sia evangelico o musulmano. Queste diverse famiglie esistono per aiutare il maggior numero possibile di persone a trovare una patria in Dio. Le comunità religiose servono a formare gli uomini e a fortificarli, a guidarli nel cammino verso Dio. Come ogni rapporto, anche il nostro essere nella Chiesa ha i suoi alti e bassi. Con la Chiesa percorriamo una strada. Cattolico significa universale. È un invito a tutti. Evangelico significa vivere secondo il Vangelo. Anche a questo siamo tutti invitati. Ortodosso significa conforme ai principi della dottrina. Siamo ortodossi, evangelici e cattolici, ogni cristiano può rivendicarlo. Tuttavia, ciascuno di noi appartiene a una determinata famiglia, che si distingue da un’altra. La fedeltà alla famiglia è importante. Non dobbiamo scappare quando la situazione si fa difficile. È proprio allora che la cosa diventa interessante e che ogni individuo è importante. Una Chiesa che invecchia ha urgente bisogno di giovani che la rendano forte. La Chiesa ha bisogno di me e di te, il che è umano e accattivante, forse più di una Chiesa pomposa o potente. La nostra Chiesa ha delle debolezze. Con questa consapevolezza, ci uniamo e ci fortifichiamo a vicenda. (Carlo M. Martini, Georg Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-15T22:26:57+01:00da fraternidade
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