Giorno per giorno – 14 Febbraio 2021

Carissimi,
“Allora venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi purificarmi! Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato! E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato” (Mc 1, 40-42). La legge parlava chiaro: il lebbroso, con la colpa che la sua malattia (secondo l’eziologia del tempo) rivela, deve essere escluso dal consesso civile (cf Lv 13, 46). La colpa che ne era all’origine, che poteva colpire persone e cose, era quella della chiacchiera invidiosa e malevola, ricavata dal racconto di quanto accaduto a Miriam, sorella di Mosè (cf Nm 12). (Punizione che, non ci fosse la revisione intervenuta su questo con il Nuovo Testamento, c’è chi vorrebbe potesse essere vera per i seminatori di tante fake news e parole d’odio che circolano nelle reti sociali). Resta però il fatto che, come rilevava stamattina padre Geraldo nella sua omelia, sono ancora troppi i “lebbrosi” (con colpa e, più spesso, senza colpa), condannati dalla società a vivere in condizioni spesso disumane “fuori dall’accampamento”. Nel racconto ascoltato oggi, il lebbroso e Gesù, pur nella trasgressione della Legge che li accomuna, paiono mossi da una stessa luce, che li guida alla certezza che è altro ciò che vuole Dio. Dio, che è amore per tutti i suoi figli e figlie, non può volere che nessuno sia sottratto alla sua (e perciò alla nostra) cura, colpevole o non colpevole che sia (ma chi è davvero non colpevole anche delle colpe altrui?). Questo, tanto nella vita di una città, di una nazione, quanto in quella del più vasto mondo. No, dunque, alle realtà degradate abbandonate a se stesse (clochards, crackolandia, clandestini, certe favelas…), né a quelle in cui vengono confinati quanti sono considerati in vario modo un peso di cui liberarsi (prigioni, manicomi, orfanatrofi, ospizi…). C’è una volontà esplicita espressa da Dio, che chiede, inascoltata da sempre, di ripensare il nostro mondo e di metterlo in condizione di vivere secondo la legge dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’amore.

Le letture che la liturgia di questa 6ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratte da:
Libro del Levitico, cap. 13,1-2.45-46; Salmo 32; 1ª Lettera ai Corinzi, 10,31- 11,1; Vangelo di Marco, cap.1,40-45.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il calendario porta oggi le memorie dei due fratelli Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi e patroni d’Europa; e di Joseph Wresinski, prete povero dei poveri.

Cirillo e Metodio si chiamavano in realtà Costantino e Michele ed erano nati a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia) nel IX secolo, figli di un magistrato imperiale. Michele, il maggiore, intrapprese dapprima la carriera politica, divenendo arconte di una provincia slava dell’impero. Nell’ 840 decise tuttavia di lasciare la carica e di farsi monaco e fu eletto, in seguito egumeno del convento Polychron sul monte Olimpo di Bitinia. Costantino, nato verso l’827, alla morte del padre, si recò a Costantinopoli per completare gli studi alla corte imperiale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento. Nell’860 i due fratelli ebbero l’incarico dall’imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Rastislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono il loro alfabeto (non il cirillico, inventato solo due secoli più tardi, ma il glagolitico), realizzando la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, i due furono chiamati a Roma dal papa Nicola I. Quando vi giunsero, vennero accolti con tutti gli onori dal suo successore, Adriano II, che, contro ogni aspettativa e suscitando l’ira e lo sgomento del clero conservatore, volle che celebrassero i santi misteri alla presenza sua e della folta comunità cristiana di Roma, nella lingua parlata dagli slavi, introducendo così una riforma che l’occidente avrebbe conosciuto solo undici secoli più tardi, con il Concilio Vaticano II: quella di celebrare nella lingua viva parlata dalla gente e non nelle lingue “sacre” del passato: aramaico, greco e latino. Nel dicembre dell’868 Costantino cadde malato. Prevedendo imminente la morte, volle rivestire l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo e dopo 50 giorni morì, il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Fu sepolto con grande solennità nella basilica di S. Clemente. Dopo la morte del fratello, Metodio fu dal papa ordinato prete, nominato legato apostolico, consacrato vescovo e stabilito arcivescovo per la Pannonia e la Moravia. Una lettera, che lo accreditava presso i principi Rastislao, Sventopulk e Kocel, conteneva l’approvazione senza riserve della liturgia slava. Il che, il clero latino non riuscì proprio a digerirlo. Sicché ci fu chi, passato un po’ di tempo, tentò il colpo mancino: l’arcivescovo Aldewinus (una sorta di Lefèbvre ante litteram) denunciò Metodio a Ludovico il Germanico. Metodio fu imprigionato, giudicato e condannato all’esilio. Nell’ 878, papa Giovanni VIII chiese ed ottenne la sua liberazione, ma, subendo le pressioni dei conservatori, rinnegò le concessioni del predecessore in materia liturgica. Metodio, dal canto suo, seppe con la dovuta prudenza e discrezione tirar dritto per la sua strada, riuscendo in seguito a convincere il papa della bontà di quella scelta. Morì il 6 aprile 885 e fu sepolto nella sua chiesa cattedrale in Velehrad.

Joseph Wresinski era nato il 12 febbraio 1917 a Angers (Francia), in una famiglia di immigrati, polacco, con passaporto tedesco il padre, Wladislaw Wrzesinski, e spagnola la madre, Lucrecia Sellas, maestra elementare. Dopo un infanzia poverissima, durante la quale il padre decise di tornare in Polonia, il bambino dovette darsi da fare per contribuire pur con poco al mantenimento della famiglia, finché a tredici anni trovò un impiego come apprendista pasticcere. Trasferitosi a Nantes, frequentò per sei mesi la Gioventù comunista, finché un compagno gli fece conoscere la JOC (Gioventù operaia cattolica), a cui egli aderì con entusiasmo e passione. A 17 anni maturò la vocazione al sacerdozio, al fine di, come si esprimerà in seguito, “restituire i più poveri alla Chiesa e la Chiesa ai più poveri”. Entrato in seminario, trascorreva il suo tempo libero nei libri e nei quartieri più poveri. Durante le vacanze andava a lavorare in fabbrica o nelle miniere. Fu ordinato prete il 29 giugno 1946 e inviato come viceparroco a Tergnier, in un quartiere operaio. Avrebbe desiderato fare sua la scelta dei preti operai, ma l’esperimento è interrotto per volontà di Roma. Nel 1948 integrò per qualche mese la Missione di Francia , ma una meningite prima e la tisi, subito dopo, lo obbligarono a desistere e ad entrare in sanatorio. Di ritorno in diocesi, chiese di essere destinato a una parrocchia tra le più abbandonate. Venne inviato a Dhuizel, piccolo centro rurale dell’Aisne, dove visse in grande povertà, condividendo il lavoro degli stagionali, restaurando la sua chiesa e soprattutto lasciando sempre aperta a tutti la porta della sua casa. Nel 1956 gli offrono l’opportunità di fare il cappellano in un campo di transito fondato due anni prima dall’Abbé Pierre con i suoi Chiffoniers d’Emmaüs a Noisy: duemila persone sprovviste del minimo necessario, ospitate in un terreno su un’antica discarica, ai margini di una palude, abbandonati al disprezzo e all’indifferenza del mondo circostante. Saranno la sua gente. Facendo fronte con loro all’ostilità crescente, ai vandalismi e alle aggressioni dei vicini. Con loro e con altri amici e volontari fondò nel 1957 una prima associazione che divenne in seguito il Movimento internazionale ATD Quarto Mondo, oggi presente in tutti i continenti. Il 14 febbraio 1988, Joseph Wresinski morì in seguito a un banale intervento chirurgico.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Joseph Wresinski, tratto dalla Conferenza da lui tenuta col titolo “Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo”, su invito del vescovo di Anversa, in occasione del 25°anniversario della diocesi, nel quadro della giornata “Chiesa e Quarto Mondo”, il 29 novembre 1987. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I poveri sanno, e ce lo ricordano, che non è possibile staccare dal Vangelo l’impegno della Chiesa verso i più reietti. La Chiesa fa ciò che Gesù vuole che faccia. E Gesù stesso afferma e realizza la volontà di Dio. Ma che cosa contiene la promessa di Dio? Quale è? Per tutti i tempi, è che tutti gli uomini siano riconosciuti come Suoi figli e trattati come tali. Chiaramente, ciò vuol dire che oggi, come ieri, la Chiesa ha ricevuto la missione di ricordare agli uomini che i più poveri, i più disprezzati hanno il diritto di essere trattati con dignità, riconosciuti nella loro dignità inalienabile di figli di Dio. Il che vuol dire ancora che la Chiesa è fedele solo se ricorda instancabilmente che tutti i figli di Dio debbono avere i mezzi di vivere e di manifestare questa dignità. E quindi quello che i più sfavoriti ci ricordano, di questo legame indefettibile tra la Scrittura e l’opzione preferenziale per i poveri, lega tutti gli uomini a Dio e a Cristo. Che lo sappiano, che lo accettino o no, tutti gli uomini sono legati a Dio, ed io direi “alleati” di Dio, nella loro lotta per la dignità dei più poveri che non è altro che la realizzazione dei diritti dell’uomo. (Joseph Wresinski, Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-14T22:25:05+01:00da fraternidade
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