Giorno per giorno – 11 Febbraio 2021

Carissimi,
“Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non potè restare nascosto. Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi. Ora, quella donna era greca, di origine siro-fenicia” (Mc 7, 24-26). Cosa avesse spinto Gesù a lasciare la Galilea per un territorio pagano, dove sperava di poter restare per un po’ nascosto, era forse solo il desiderio di sottrarsi alla petulanza inquisitoria di quei moralisti che lo seguivano ovunque per metterlo in cattiva luce, vuoi con le autorità, vuoi con la gente che si considera per bene. Una sorta di versione popolare del Santo Offizio, come ne troviamo anche oggi un po’ ovunque, all’ombra di qualche porpora accondiscendente, quando c’è chi si azzarda a parlare troppo di Vangelo e non di Legge. Ed ecco che una donna, pagana per giunta, viene a forzare Gesù a compiere ulteriori passi sulla via della testimonianza dell’amore del Padre. Abbattendo barriere e/o anticipando i tempi di una missione che egli pensava limitata alla sua gente e alla sua terra. Non in vista di convertire ad una religione, ma per testimoniare proprio quell’amore del Padre che, per essere incondizionato, non può lasciar fuori nessuno. Insomma, Gesù ci stupisce una volta di più, lasciandosi evangelizzare da questa donna. Come se oggi la Chiesa decidesse, per fare un esempio, di lasciarsi evangelizzare da un’india dell’Amazzonia. Appunto.

La Memoria di Nostra Signora di Lourdes, che la Chiesa cattolica celebra oggi è la maniera per ricordare il rendersi presente della madre di Gesù nella nostra vita e in quella della società e magari della Chiesa, per insegnarci come si dovrebbe essere. Presenti sempre anche noi ad ogni necessità altrui. Ridando vita nella nostra storia al Principio della cura. La memoria trae origine dalle apparizioni avute, tra l’11 febbraio e il 16 aprile 1858, da una giovane contadina analfabeta, Bernadette Soubirous. Una giovane sconosciuta, che Bernadette battezzò subito col nome di Aquerò (Quella là), in seguito le si rivelò con un nome ben più difficile a dirsi e ad intendersi: “Que soy era Immaculada Councepciou”. Aggiunse poi che era tempo che il mondo si desse una mossa. Ma il mondo sembra aver continuato imperterrito. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Noi in questo giorno ricordiamo anche Abraham Johannes Muste, profeta di pace e di nonviolenza, e di Marie-Dominique Chenu, teologo del Concilio.

Abraham Johannes Muste nacque l’8 gennaio 1885 a Zierikzee (Olanda), figlio di Adriana Jonker e Martin Muste. All’età di sei anni si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti, di cui acquisì la cittadinanza. Sposato ad Anna Huizenga, nel 1909 fu ordinato pastore della Chiesa riformata. Ma, presto, deluso dagli insegnamenti di questa, passò ad essere pastore della Chiesa congregazionale, lasciandosi poi conquistare dal misticismo pacifista della Società degli Amici (quaccheri). A cavallo tra gli anni venti e trenta, si coinvolse nelle lotte del movimento sindacale, scivolando su posizioni marxiste e trozkiste. Finché, un giorno del 1936, entrando in una chiesa durante un viaggio in Europa, sentì più forte che mai la convinzione che era la chiesa la sua vera casa e il suo cammino, con la proposta evangelica della pace e della nonviolenza. Negli anni della proliferazione nucleare, Muste si persuase che il mondo fosse entrato in una nuova epoca buia e che i cristiani erano chiamati a creare piccole oasi di coscienza e ragionevolezza. Ad un cronista che gli chiese un giorno se pensava di cambiare il mondo facendo veglie all’esterno delle basi nucleari, rispose: “Non lo faccio per cambiare il mondo. Lo faccio per impedire al modo di cambiarmi”. Ripetutamente arrestato per le manifestazioni e proteste organizzate, fu anche uno degli artefici dell’opposizione alla guerra in Vietnam. Nel 1966, già ottantaduenne fu arrestato a Saigon, per aver tentato di manifestare davanti all’ambasciata Usa. Morì l’11 febbraio 1967 dopo esser tornato da un viaggio in Vietnam del Nord, dove potè testimoniare di persona gli effetti dei bombardamenti nordamericani. Soleva dire: “Non esiste una via alla pace, la pace è la via”.

Marcel Chenu era nato a Soisy-sur-Seine (Francia), il 7 gennaio 1895. Attratto dalla vita contemplativa, dalla liturgia, dallo studio e dalla vita di comunità, come egli stesso ebbe a confessare in seguito, entrò, diciottenne, nell’Ordine Domenicano, presso il convento di Le Saulchoir, a Kain, in Belgio. Qui fece la sua prima professione religiosa nel 1914, assumendo il nome di Marie-Dominique. Si recò, poi a Roma, a studiare teologia, all’Angelicum, sotto la guida del padre Réginald Garrigou-Lagrange. Fu ordinato presbitero nel 1919. Tornato in patria, l’anno successivo, fu nominato professore al Centro di Studi di Le Saulchoir (che nel 1939, si sarebbe trasferito a Étiolles, nei pressi di Parigi), dove rimase fino al 1942, quando fu costretto ad allontanarsene per la condanna del suo libro Une École de Théologie, uscito nel 1937 e diffuso per altro soltanto in sette/ottocento esemplari tra gli amici e gli allievi. La condanna intendeva colpire le proposte innovative di Chenu sulla necessità di diversi “stili teologici”, imposta dai mutamenti epocali in atto. Lasciato l’insegnamento di Le Saulchoir, Chenu fu assegnato al convento parigino di Saint-Jacques, dal quale fu allontanato nel febbraio del 1954, e inviato a Rouen, per il suo coinvolgimento nella questione dei preti operai. Solo nel giugno del 1962 farà ritorno definitivamente a Parigi. Dal settembre al dicembre dello stesso anno, fu chiamato come perito al Concilio Vaticano II. La Costituzione conciliare Gaudium et Spes risente del contributo della sua teologia dell’incarnazione, della creazione, della praxis, della storia. Quando Chenu compì 70 anni, fu festeggiato alla presenza del cardinal Feltin, che lo lodò per aver accettato umilmente e senza disobbedire le sanzioni imposte da Roma. Chenu balzò in piedi e disse: “Eminenza, non era obbedienza, perché l’obbedienza è una virtù morale, piuttosto mediocre. Era la fede che avevo nella parola di Dio, davanto alla quale gli scontri e gli incidenti di percorso non sono niente. È perché avevo fede in Gesù Cristo e nella sua Chiesa”. Dopo il 1966, padre Chenu visse nel convento di Saint-Jacques, dove morì l’11 febbraio 1990.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 2, 18-25; Salmo 128; Vangelo di Marco, cap.7, 24-30.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Il 13 maggio 1992, Giovanni Paolo II, a cui solo un anno prima era stato diagnosticato il morbo di Parkinson, istituì la “Giornata mondiale del malato”, da celebrarsi l’11 febbraio, nella memoria liturgica della Madonna di Lourdes. Nella lettera che la creava, il papa, tra l’altro, scriveva: “La Chiesa che, sull’esempio di Cristo, ha sempre avvertito nel corso dei secoli il dovere del servizio ai malati e ai sofferenti come parte integrante della sua missione, è consapevole che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, vive oggi un momento fondamentale della sua missione». Essa inoltre non cessa di sottolineare l’indole salvifica dell’offerta della sofferenza, che, vissuta in comunione con Cristo, appartiene all’essenza stessa della redenzione. La celebrazione annuale della “Giornata Mondiale del Malato” ha quindi lo scopo manifesto di sensibilizzare il Popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare, sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgere in maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più prezioso del volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre”. A causa delle declinanti condizioni di salute, Benedetto XVI, scelse questo giorno, nel 2013, per annunciare la sua rinuncia al ministero di vescovo di Roma, gesto inedito e profetico nella storia della Chiesa.

Anche, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Marie-Dominique Chenu, tratto dal suo libro “Il Vangelo nel tempo” (Ave). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il termine “missionaria” qualificherà automaticamente questa chiesa della Parola. Missionaria essa lo è per natura, in seguito all’invio di Cristo dopo il dono dello Spirito. Ma la cristianità istituita aveva rinviato in appendice, come esigenza complementare, ciò che nella prima ispirazione era e rimane una qualità propria e permanente. “La chiesa in stato di missione” è il motto del cardinal Suhard, che l’episcopato francese ha ripreso nella dichiarazione della sua ultima assemblea plenaria (1960). È necessario conservare a queste espressioni tutto il loro vigore e rigore contro la rapida usura della parola, tropppo facilmente prodigata di fervori superficiali. La missione è l’operazione attraverso la quale la chiesa esce da se stessa, dalla “cristianità” per rivolgersi al non credente, per incontrare “quelli che sono lontani”. E questo non per merito di alcuni avventurieri apostolici, ben presto sospetti al gregge fedele, ma di tutta la chiesa, con la coscienza che ivi è la sua essenza costitutiva. Eccola, la fine dell’era costantiniana! Fondare una chiesa non significa darsi prima di tutto dei quadri e dei mezzi temporali d’influenza se non di potenza: significa testimoniare la Parola di Dio, nell’amore fraterno. Non si tratta per la chiesa di costruirsi a parte un mondo cristiano a lato del “mondo”, ma di rendere cristiano il mondo così come s’è costruito, così come si sta costruendo in questo straordinario secolo XX. Sento dire: “Ah! se il mondo si fosse costruito meglio, si potrebbe fare qualche cosa”. Ma no! è il mondo così com’è quello a cui siete stati inviati, che Cristo ha amato, per cui è morto. (Marie-Dominique Chenu, Il Vangelo nel tempo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-11T22:21:07+01:00da fraternidade
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