Giorno per giorno – 07 Febbraio 2021

Carissimi,
“Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano” (Mc 1, 32-34). Il vangelo di questa domenica si era aperto con il racconto di un miracolo piccolo piccolo: la guarigione da parte di Gesù della suocera di Simon Pietro da una semplice, ma fastidiosa febbre che l’aveva costretta a letto. Ora, come diceva, stamattina, padre Geraldo nella sua omelia, la donna avrebbe potuto godersi la sua bella convalescenza, rilassandosi in giardino, immaginiamola così, all’ombra di un albero frondoso, al venticello fresco della primavera. E, invece, no. Lei si mise subito a servire quegli uomini che il genero si era portati dietro fino a casa. Gesù deve averla guardata ammirato. E deve aver pensato: questa è la vocazione dell’uomo, o, almeno, così vorrei che fosse la mia comunità. Libera da ogni febbre, soprattutto del potere, mossa solo dall’amore, pronta a servire. Che, poi, è così che è Dio. E, ovviamente, suo figlio. Infatti, tanto per non smentirsi, verso sera, dopo il tramonto, egli comininciò a prendersi cura, senza risparmio, di tutti i malati che la gente del posto gli aveva portato. Guarendone molti, e liberandone altri da influenze cattive. E noi, ha chiesto a questo punto padre Geraldo, cosa facciamo di ogni nuovo giorno che ci è dato? Guariti, graziati, liberati, che si sia, in vista di che cosa scegliamo di viverlo? Per goderci egoisticamente la vita, magari, per dirne una, agendo irresponsabilmente in questo tempo di pandemia, visto che non si tratta solo di una febbriciattola, come pretendeva fino a poco tempo fa l’inquilino del Planalto, o per seguire l’esempio di Gesù e della suocera di Pietro, prendendoci cura degli altri, soprattutto dei più vulnerabili, a misura di ciò che ci è possibile?

I testi che la liturgia di questa 5ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap. 7,1-4.6-7; Salmo 147; 1ª Lettera ai Corinzi, cap. 9,16-19.22-23; Vangelo di Marco, cap.1, 29-39.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Oggi il nostro calendario ci ricorda il martirio di Sepé Tiaraju e del suo popolo guaraní; il metropolita Vladimir di Kiev con tutti i nuovi martiri del XX secolo in Russia e Ucraina; e Andraus El Samu’ili, monaco copto e mistico.

Nei secoli XVII e XVIII, i missionari gesuiti, al fine di sottrarre le popolazioni indigene alla schiavitù e allo sfruttamento da parte dei bianchi, crearono nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina numerose comunità agricole (reducciones), basate sulla proprietà collettiva della terra e delle macchine, dotate di ampi margini di auto-gestione amministrativa e, soprattutto, tenute separate dal mondo dei colonizzatori. Questo, per proteggerne in primo luogo l’incolumità, ma anche per fornir loro quell’istruzione intellettuale, religiosa, tecnica e associativa che, nella visione dei missionari, doveva più facilmente garantirgli la sopravvivenza. Si trattò, dunque, di un’esperienza improntata all’ideale di un comunitarismo egualitario che risaliva al cristianesimo primitivo. Nel 1732 si contavano una trentina di “reducciones” per un totale di circa 150.000 abitanti. Alla metà del secolo le autorità coloniali, preoccupate per il significato sociale, trasgressivo dell’ ordine esistente, che le “reducciones” andavano assumendo e per il potere alternativo che i gesuiti vi avevano costruito, posero fine con la forza all’esperimento. È in questo contesto che, nel 1753, Sepé Tiaraju prese l’iniziativa dell’insurrezione indigena della “riduccion” guaranì di São Nicolau, la prima a resistere all’ordine di evacuazione e trasferimento sull’altro lato del fiume Uruguay. A São Miguel (Rio Grande do Sul), Sepé guidò l’attacco ai carri che trasportavano le suppellettili della Chiesa, obbligando la comitiva a far ritorno alla missione. Per tre anni fu la figura centrale della resistenza agli imperi portoghese e spagnolo. Il 7 febbraio 1756 morì combattendo sull’ Arroio Caiboaté. In una scaramuccia, il suo cavallo cadde ed egli fu ferito da un soldato con una lancia. Prima di riuscire ad alzarsi fu ucciso con un colpo di pistola dal governatore di Montevideo che comandava la truppa.

Basil Nikiforovich Bogoyavlensky (che assunse in seguito il nome di Vladimir) era nato il 1° Gennaio 1848 nella famiglia del prete Niceforo, nel villaggio di Malaya Morshka, distretto di Morshansky, provincia di Tambov, in Russia. Frequentata la scuola teologica di Tambov e proseguiti brillantemente gli studi nella Facoltà teologica di Kiev, fu per sette anni professore in seminario, si sposò e fu ordinato prete il 13 gennaio 1882. L’8 febbraio 1886, dopo la morte della moglie e dell’unico figlio, entrò nel monastero della Santa Trinità di Kozlov, di cui fu nominato archimandrita. Il 21 maggio 1889 fu consacrato vescovo di Starorussk e, successivamente, esarca di Georgia, metropolita di Mosca, poi di Petrogrado e infine di Kiev. Ovunque, durante il suo ministero pastorale, si preoccupò di proteggere la sua gente, di combattere l’antica piaga dell’alcolismo, di offrire ai fedeli la luce di un genuino insegnamento cristiano. Nelle vicende drammatiche che accompagnarono la rivoluzione bolscevica, seppe mantenersi pastore di pace e di amore, fedele, onesto, tutto dedito a Cristo e alla Chiesa. La notte del 25 gennaio 1918 (7 febbraio nei calendario gregoriano), un gruppo di bolscevichi entrò nelle grotte della Laura di Kiev e arrestò il metropolita. Lungo la strada fu sommariamente processato e condannato a morte. Prima di morire volle benedire i suoi uccisori. Fu il primo di un numero incalcolabile di vittime, soprattutto monaci, preti e vescovi, che nei decenni successivi furono perseguitati, incarcerati, deportati e uccisi.

Yusef Khalil Ibrahim era nato verso il 1887 nel governatorato di Bani Suef, in Egitto. A tre anni era divenuto cieco. Tredicenne, il padre l’aveva mandato al monastero di San Samuele, sull’altopiano del Qalamun, nel sud dell’Egitto, perché, alla scuola dei monaci, imparasse qualcose di utile per la vita. Yusef vi restò fino a ventidue anni, quando scoperta la vocazione monastica, chiese ed ottenne di farsi monaco. Fece dunque la sua professione religiosa e prese il nome di Andraus El Samu’ili. Da allora e fino alla morte la sua vita si svolse all’insegna dell’infanzia spirituale e della perfetta letizia, immersa nella preghiera, nell’abbandono alla volontà di Dio e nell’obbedienza ai fratelli, senza lamentarsi mai di nulla, in ogni circostanza. Lo chiamavano l’ “ospite celeste”, per dire che era già come un angelo. Morì il 7 febbraio 1989.

Se fosse, come è, fra noi, dom Helder Câmara compirebbe oggi 112 anni, essendo nato a Fortaleza il 7 febbraio 1909. Pur facendone memoria nel giorno della sua pasqua, il 27 agosto, scegliamo di prendere spunto da questa ricorrenza, per proporvi una sua citazione, tratta dal suo libro “Le conversioni di un vescovo” (SEI). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Senza umiltà e senza amore non si fa nemmeno un passo sul cammino del Signore. È con le piccole cose che Cristo fa grandi cose. Senza umiltà, si guarda in basso dall’alto della propria perfezione e non si capiscono, non si immaginano nemmeno le meraviglie che Cristo ricava dalla debolezza umana: e ciò è ridicolo. Bisogna amare le piccole umiliazioni. Una piccola umiliazione, per esempio, è quando ci si applica a un lavoro con tutta la propria cura, tutta la propria intelligenza, tutto il proprio amore e questo lavoro viene accolto con indifferenza, freddamente, come se non vi si fosse messo tutto il cuore. Succede. Il Signore mi ha fatto scoprire che non si giunge alla vera umiltà senza grandi umiliazioni, umiliazioni di prima grandezza. (Dom Helder Câmara, Le conversioni di un vescovo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-07T21:47:54+01:00da fraternidade
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