Giorno per giorno – 05 Febbraio 2021

Carissimi,
“Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!” (Mc 6, 14a. 16b). La missione dei Dodici ottenne, tra l’altro, come risultato di richiamare l’attenzione del Potere sull’annuncio e l’operato di Gesù. L’evangelista, prendendo spunto da questa annotazione, inserisce qui il racconto delle circostanze in cui avvenne l’esecuzione del Battista. Anticipazione del destino che toccherà a Gesù e a molti di coloro che saranno da lui chiamati e inviati a testimoniare la buona notizia del Regno, che germina in frutti di pace, giustizia e libertà. La morte di Giovanni si consuma nella connivenza di quanti godono dei benefici di un potere iniquo, che privilegia pochi a scapito dei più, ma anche nel forzato silenzio e in gran parte nell’indifferenza di coloro a difesa dei quali si era levata la voce del profeta. L’adulterio da questi denunciato è infatti assai più di quello compiuto nei riguardi di una persona, è quello consumato ai danni di un intero popolo, quando chi governa dimentica che, in una prospettiva eticamente corretta, il potere gli è dato per tutelare la vita e l’armonico sviluppo di quello, non per esercitarlo arbitariamente a proprio vantaggio. Certo, spesso è difficile, anche per chi ha una coscienza religiosa, sottrarsi agli inganni o alle lusinghe di un potere che usa di ogni mezzo per acquisire quei margini di consenso che, al di là del ricorso alla forza e all’intimidazione, gli consentano di perpetuarsi. Per questo siamo chiamati a esaminarci attentamente, per registrare cedimenti, omissioni, silenzi, se non proprio connivenze, che possono caratterizzare i nostri comportamenti di fronte agli abusi di un Potere, che, qui da noi ma non solo, proprio come alla corte di Erode, allestisce i suoi banchetti di morte, contando nondimeno sul consenso di consistenti frange di farisei, annidati nelle loro chiese. Che il buon Dio ci infonda luce e coraggio sufficienti per non rinunciare a testimoniare il suo Vangelo.

Il nostro calendario ricorda oggi Pedro Arrupe, gesuita, profeta di una Chiesa al servizio degli ultimi e degli esclusi, e Andrea Santoro, testimone del dialogo interreligioso e martire in Turchia.

Pedro Arrupe era nato a Bilbao, nel Paese Basco, il 14 Novembre 1907. A diciannove anni, interruppe gli studi di medicina all’Università di Madrid per entrare nella Compagnia di Gesù. Ordinato sacerdote il 30 luglio 1936 in Olanda, si recò negli Stati Uniti per concludere gli studi di teologia e nel 1938 fu inviato in Giappone, dove restò per ventisette anni. Rettore del noviziato di Nagatsuka, alla periferia di Hiroshima, fu testimone dell’esplosione atomica, il 6 agosto 1945. Fu provinciale della provincia nipponica dal 1958 fino al 22 maggio 1965, quando fu eletto generale della Compagnia di Gesù, potendo così partecipare ai lavori conclusivi del Concilio Vaticano II. Dal 1967 fu, per cinque mandati consecutivi, Presidente dell’Unione dei Superiori Generali degli ordini religiosi. Venne anche nominato membro della Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e del Consiglio Generale della Commissione per l’America Latina. La riflessione che svolse aiutò in maniera determinante i gesuiti a capire la loro missione come un servizio alla fede che esige la lotta per la giustizia. I suoi innumerevoli viaggi gli permisero di rendersi conto che una delle ragioni dell’incredulità contemporanea è rintracciabile nello scandalo dell’ingiustizia sociale, davvero eclatante in numerosi paesi del Sud del mondo. Le incomprensioni di cui fu ripetutamente vittima negli ultimi tempi del pontificato di Paolo VI e all’inizio di quello di Giovanni Paolo II, a causa dell’impulso nuovo e del rinnovamento coraggioso impressi alla maniera d’essere dell’Ordine, lo portarono, nel maggio del 1980, alla decisione di dimettersi, ma il papa gli chiese di soprassedere. Dopo un’emorragia cerebrale che lo aveva colpito il 7 agosto 1981, costringendolo all’inattività, il 3 settembre 1983, la 33ª Congregazione Generale della Compagnia ne accolse le dimissioni. Padre Arrupe morì a Roma il 5 febbraio 1991.

Andrea Santoro era nato il 9 settembre 1945 a Priverno in provincia di Latina, terzo figlio di una famiglia umilissima. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 18 ottobre 1970. Svolse la sua attività pastorale nei quartieri popolari della periferia di Roma, conosciuto per la sua passione e dedizione ai poveri e per la sua vita povera. Dopo due soggiorni di studio in Medio Oriente, dove ebbe modo di approfondire la spiritualità del piccolo fratello universale, Charles de Foucauld, nell’anno 2000, chiese ed ottenne dalla sua diocesi di essere inviato in Turchia come sacerdote “fidei donum”. Visse dapprima a Şanlıurfa (l’antica Edessa) e poi, dal 2003, a Trabzon (Trebisonda), dove venne coltivando l’amicizia con la gente del posto. Di cui, anche con l’aiuto della lingua turca, appresa a fatica, si sforzò di capire il mondo, la cultura e la fede. Non mancando di far conoscere, a chi lo desiderasse, la sua. Mantenne vive le relazioni con la chiesa d’origine, trasmettendo ad essa i frutti della sua singolare esperienza e contribuendo così a favorire concretamente il dialogo interreligioso. Il 5 febbraio 2006, mentre pregava nella chiesa di Trabzon, dopo aver celebrato l’Eucaristia domenicale, venne ucciso con due colpi di pistola. Per il delitto fu processato e condannato un giovane diciassettenne.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 13, 1-8; Salmo 27; Vangelo di Marco, cap.6, 14-29.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto. Noi vi si lascia al brano di una conferenza tenuta da Pedro Arrupe l’8 febbraio 1980 col titolo: “L’ispirazione trinitaria del carisma ignaziano”. Reperibile in rete, è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Gesù nella sua vita umana è l’elevazione a potenza infinita della capacità di spogliazione perché “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 7-8). In questa croce Gesù, la cui unica persona è divina ed eternamente generata dal Padre, sente la lacerazione della sua natura umana e invoca il Padre dal quale si sente abbandonato. La povertà di Cristo è così totale che ha bisogno della volontà del Padre per sussistere (cf Gv 4, 34). Il suo unico bene è la radicale dipendenza dal Padre. La sua ricchezza è la sua povertà, perché la sua sussistenza è la sua dipendenza. La povertà del Figlio di Dio consiste in questo duplice atteggiamento: ricevere tutto dal Padre e offrirgli tutto in azione di grazie. Noi stessi siamo dono del Padre a suo Figlio: “Quelli che tu mi hai dato” (Gv 17, 6), resi ricchi dalla sua povertà (cf 2 Cor 8, 9). Gesù è il primo povero e il povero per eccellenza: ci riceve dal Padre come fratelli e ci restituisce al Padre come figli. Come uomini, più ancora come religiosi, la nostra povertà teologica consiste nel ricevere questa povertà di Gesù, cioè aprirci al dono che ci fa Gesù. Ma queste considerazioni sulla povertà teologica non possono essere oppio soporifero che ci distragga dalla povertà reale. Cristo fu anche e in maniera eminente povero materialmente. […] Per noi gesuiti, che abbiamo scelto individualmente e collettivamente la sequela nel suo grado più alto, quello dell’ “offerta di maggiore valore e importanza”, questa povertà teologica ci conduce, di riflesso, alla povertà attuale. I termini usuali di “frugalità”, “livello proprio dei sacerdoti di specchiata onestà’, “vita propria dei poveri”, “solidarietà con i poveri”, acquistano, alla luce di questa povertà ed espropriazione totale trinitaria, un significato trascendente. Ugualmente appaiono con la loro tragica forza molte delle miserie del nostro tempo: l’invincibile miseria degli individui e dei popoli, la miseria spirituale dei non credenti, la miseria morale di chi rinnega nella propria vita quello che crede nell’oscurità del proprio cuore. Il Signore che ci ha redento in povertà può essere aiutato solo nella povertà e dalla povertà. (Pedro Arrupe, L’ispirazione trinitaria del carisma ignaziano, 93-95).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-05T22:02:21+01:00da fraternidade
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