Giorno per giorno – 18 Gennaio 2021

Carissimi,
“Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano? Gesù disse loro: Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare” (Mc 2, 18-19). Era stato lo stesso Giovanni a dire di Gesù: “Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra grandemente alla voce dello sposo; perciò la mia gioia è completa. Bisogna che egli cresca e che io diminuisca” (Gv 3, 29-30). E, tuttavia, buona parte dei suoi discepoli, più che guardare a Gesù come figura del compimento della promessa, avrebbero visto a lungo la presenza del suo gruppo in termini di competizione, contrapponendo l’austera pratica del profeta alla gioiosa libertà che caratterizzava la missione di questo. Viene da pensare che anche capovolgendo le parti, come avviene per certa politica di bassa lega e per carta dialettica religiosa in cerca di rissa, si sarebbe trovato comunque il modo di recriminare. Ciò che Gesù contesta è una pratica religiosa staccata dalla vita, intesa come una sorta di officina meritocratica che ci distingue dagli altri e ci ottiene uno sguardo preferenziale da parte di Dio. La buona notizia incarnata da Gesù è invece lo sguardo amante di Dio su tutti i suoi figli e figlie, tradotto qui nell’immagine dell’amore dello sposo per la sposa, nella misura illimitata, incondizionata e gratuita del dono di sé. Che dovrebbe introdurci ad una nuova economia nelle relazioni umane, ben oltre le norme dell’antica Legge. Digiuno, se ci deve essere, si farà, se e quando “lo sposo sarà tolto” (cf v.20), che non è tanto un riferimento al Venerdì santo, quanto il venir meno nell’insieme della società di condizioni minime che credibilmente affermino la verità di quell’amore che ci è stato promesso, e sarà allora un digiuno di solidarietà con chi ne è privato dall’ingiustizia, dall’oppressione, dall’intolleranza, dalla violenza, dalla disciminazione in tutte le loro forme. Come a dire che non si ha diritto ad essere felici (il banchetto dello Sposo) finché la società sceglie di essere un grande fabbrica di infelicità (“quando lo Sposo è tolto”).

Oggi, il nostro calendario ci porta la memoria di Sergio Berten e compagni, martiri della solidarietà in Guatemala, e di Mahmoud Mohamed Taha, il Gandhi sudanese. Nell’emisfero Nord, primo giorno dell’Ottavario di preghiere per l’unità dei Cristiani.

Sergio Berten era nato nel 1953 in Belgio ed era entrato ancor giovane nella Congregazione del Cuore Immacolato di Maria. Ventiduenne chiese ed ottenne di recarsi come missionario in Guatemala. Lavorava nella costa meridionale, animando le comunità di Puerto San José, Santa Lucía Cotzumalguapa e Tiquisate. La sua opzione per i poveri fu subito chiara. Nella realtà di miseria e ingiustizia in cui vivevano i contadini, fu portato a scoprire sempre più nitidamente in ciascuno di loro il volto sofferente di Cristo. La Parola di Dio nella Bibbia divenne per lui sempre più trasparente, illuminandolo nel cammino e dandogli la forza per seguire ogni giorno più radicalmente Gesù. Condividendo la vita dei poveri, approfondì nel dialogo con essi la riflessione sui passi che la situazione di miseria e di oppressione esigeva in vista di un cambiamento reale. Cosciente del pericolo di morte che correva a causa del suo impegno, al fine anche di proteggere i suoi compagni di congregazione religiosa e i contadini più impegnati, Sergio decise di continuare il suo lavoro in clandestinità. Questo non impedì che, il 18 gennaio 1982, fosse sequestrato con altri otto giovani contadini in una strada di Città del Guatemala. Sparendo con loro nel nulla, martiri tutti della giustizia e della solidarietà.

Mahmoud Taha era nato verso il 1911 a Rufa‘a, una cittadina sulla riva orientale del Nilo Azzurro, nel Sudan centrale. Rimasto orfano, aveva comunque potuto continuare gli studi, fino a laurearsi in Ingegneria nel 1936, dedicandosi successivamente alla libera professione. Fin da giovanissimo aveva partecipato alla lotta per l’indipendenza nazionale e nel 1945 fu tra i fondatori del Partito Repubblicano, una formazione islamica di orientamento modernista, che, negli anni successivi, si propose di rendere possibile nella società islamica, a partire dalla rivelazione coranica, l’effettiva partecipazione popolare alla vita politica, una completa libertà religiosa, la reale eguaglianza di diritti tra uomo e donna. Fedele alla sua coscienza religiosa, contrario ad ogni violenza, Taha fu ripetutamente arrestato e torturato, prima di essere impiccato a Khartoum, il 18 Gennaio 1985, in seguito alle pressioni dei “Fratelli musulmani” che giudicavano eretiche le sue tesi a favore di un Islam non-violento. Affrontò la morte con grande serenità, sorridendo alla folla che, venuta per assistere all’esecuzione, circondava il patibolo, cantando canti religiosi. Subito dopo l’impiccagione, il corpo fu portato in elicottero nel deserto, dove venne sepolto in una località rimasta sconosciuta. Dopo la caduta del dittatore Nimery, nell’ottobre 1985, fu richiesta la revisione del processo. Con sentenza datata 18 novembre 1986, la Suprema Corte definì nulli il processo, i procedimenti di ratifica e l’esecuzione di Mahmoud Taha. Piuttosto tardivamente.

Oggi, nell’emisfero Nord, si apre l’Ottavario di preghiere per l’unità dei Cristiani. Esso ebbe origine per iniziativa di due ministri anglicani: l’inglese Spencer Jones e l’americano Paul James Francis Wattson (che sarebbe poi divenuto cattolico). Nel 1907, Jones suggerì l’istituzione di una giornata di preghiera, il 29 giugno di ogni anno, per il ritorno di tutti i cristiani all’unità con la chiesa di Roma. L’anno dopo, Wattson propose un’ottava di preghiere (dal 18 al 25 gennaio) col fine di ottenere da Dio “il ritorno di tutte le altre pecore all’ovile di Pietro, l’unico pastore”. Più rispettoso dell’identità delle singole chiese, il prete cattolico Paul-Irénée Couturier, nel 1935, trasformò questa manifestazione nella “Settimana universale di preghiera per l’unità dei cristiani”, che aveva come finalità quella di pregare per la santificazione di tutti i battezzati e per la realizzazione dell’unità “con i mezzi che Dio vorrà e nel modo che Egli vorrà”. Dal 1966 il tema e i testi per la Settimana sono decisi e preparati insieme da una speciale commissione del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dal Segretariato (in seguito, Pontificio Consiglio) per l’unità dei cristiani.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 5, 1-10; Salmo 110; Vangelo di Marco, cap. 2, 18-22.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddista.

A quanti ci scrivono preoccupati dalle notizie sulla pandemia che vi giungono dal Brasile (come noi lo siamo per quel che ci arriva dall’Italia e dal resto del mondo), possiamo confermare che la situazione continua ad essere particolarmente drammatica a Manaus, in Amazzonia (a oltre 3000 chilomentri da qui), e assai pesante, comunque anche nel resto di questo Paese che ha le dimensioni di un continente. Anche per colpa del nefasto sgoverno di Brasilia. Qui, a Goiás, con i suoi 23 mila abitanti, fino a ieri i casi confermati dall’inizio della pandemia erano 472, i guariti 415, i morti 20, i restanti in trattamento, chi domiciliare, chi ospedaliero. Tra chi non ce l’ha fatta, dei nostri conosciuti, c’è stato Moraes, marito di dona Dináira e papà di Larissa, della comunità dell’Aeroporto, deceduto dopo tre settimane in terapia intensiva, lo scorso dicembre. Oggi, poi, padre Carlos, del gruppo della Fraternidade sacerdotal Jesus Caritas, che sta facendo il mese di Nazareth in monastero, è stato ricoverato nell’UTI dell’ospedale São Pedro, con diagnosi di Covid. Questo porterà di nuovo alla sospensione delle celebrazioni per qualche tempo. Collochiamo nella preghiera ogni situazione di sofferenza, invocando luce e senso di responsabilità per tutti.

Prendendo spunto dall’Ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani, vi proponiamo, nel congedarci, una citazione del pastore e martire sotto il nazismo Paul Schneider. Che è, così, per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La preghiera fa degli uomini degli esseri umani che si piegano solo dinanzi a Dio, e che confessano Dio dinanzi al mondo. La preghiera è la forza di Dio per il combattimento della vita e della fede. Questo è veramente tutto il contenuto della nostra fede cristiana: che Gesù Cristo con la sua morte salvifica ha riportato per noi la vittoria e, con la vita che ha riacquisito per sé nella resurrezione e ascesa al cielo, è divenuto nostro Signore; dunque la nostra vita terrena appartiene a lui tanto quanto gli deve appartenere la nostra morte, ed egli richiede la nostra ubbidienza piena e totale, tanto quanto, nella sua passione e morte, ci donò il perdono dei nostri peccati. In questa signoria di Gesù Cristo che domina chiara e inequivoca la sua comunità, nell’unica signoria di Gesù Cristo e in essa soltanto, tutte le differenze tra i cristiani, comprese quelle in campo dottrinale, in cui essi non si comprendono e si dividono gli uni dagli altri, vengono abolite. È Gesù Cristo l’unità e la libertà della propria comunità. I criteri per l’unità e i criteri dell’amore cristiano, non dobbiamo farceli dire e prescrivere da coloro che non credono in Cristo come Figlio di Dio e Signore della chiesa. (Paul Schneider, Sermoni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Gennaio 2021ultima modifica: 2021-01-18T22:12:52+01:00da fraternidade
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