Giorno per giorno – 16 Gennaio 2021

Carissimi,
“Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: Seguimi. Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano” (Mc 2, 14-15). Dici a me?, deve essersi espresso, o aver solo pensato un attimo, come tutta risposta, Levi a quella chiamata e soprattutto a quello sguardo, così diverso da quelli pieni di disprezzo o di livore che gli riservavano, in qualche modo a giusto titolo, le persone a cui estorceva le imposte a favore dell’occupante romano. Sì, chiamava proprio lui. Scandalosamente, agli occhi degli osservanti della Legge. E il racconto prosegue che erano molti della stessa o anche peggiore risma che seguivano Gesù, attratti da qualcosa, a definirla amore non si sarebbero mai azzardati, ma comunque almeno benevolenza, inconcepibile anche solo questa, ma era molto di più, da chi se ne sentiva raggiunto. E stavano a tavola con lui, senza sentirne vergogna. Certo, loro potevano non esserne degni, ma li faceva degni lui, come fossero, ed erano, i suoi amici migliori. La chiesa poi, col tempo, ha un po’ spesso dimenticato questo atteggiamento di Gesù, che è la sostanza del Vangelo, e anche se alla mensa eucaristica fa ripetere agli astanti il loro “Signore, non son degno..”, si preoccupa in realtà che siano più degni di coloro che il giudizio comune ne tiene lontani. Ma così, falsifica il gioco. Gesù, alla sua mensa, vuole i peccatori, quelli veri, che, sentendosi accolti, lo seguiranno alla lunga anche nella pratica. Della comprensione, della benevolenza, dell’amore, verso chi ancora non ce la fa.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Roberto de Nobili, missionario e sannyasi gesuita, e di Achaan Chah, monaco e maestro buddhista.

Roberto de Nobili era nato nel 1577 a Montepulciano, in Toscana, ed era entrato ventenne nella Compagnia di Gesù, a Napoli. Terminati gli studi, nell’ottobre 1604, partì come missionario alla volta dell’India, sbarcando nella città di Goa, il 20 maggio 1605. Ben presto, il missionario si rese conto della diffidenza e dell’ostilità che circondava l’azione dei missionari europei, sommariamente identificati come agenti della penetrazione coloniale. Sulla falsariga di quanto aveva compiuto, in Cina, il suo confratello Matteo Ricci (1552-1610), de Nobili fece sua la sfida dell’inculturazione del messaggio cristiano. Recatosi nella citta di Madurai, studiò le lingue tamil, telugu e sanscrito, fino a dominarle completamente e prese poi ad approfondire la cultura e la religione hindu, guadagnandosi via via il rispetto e la considerazione dei bramini locali. Col permesso dei superiori, lasciò la tonaca nera per vestire la tunica rosso-ocra dei santoni hindu; prese ad abitare in una semplice capanna e adottò la dieta semplice e vegetariana, caratteristica del luogo. Ma, più ancora, smise di ricorrere a concetti e terminologia mutuati dalla filosofia greca, per assumere quelli della filosofia e religione indiane. Questo non mancò di procurargli qualche fastidio e perfino qualche fulmine ecclesiastico di troppo. Ma, tutto è bene quel che finisce bene, e il nostro con ostinazione profetica, non si lasciò intimorire. Appellatosi a Roma, si vide resa giustizia dal papa Gregorio XV, nel 1621. Scrisse numerosi trattati in tamil, telegu e sanscrito. Dopo una vita spesa nella preghiera, nello studio e nel dialogo, de Nobili morì quasi cieco, a Mylapore, il 16 gennaio 1656. Tre anni dopo la sua morte, l’ufficio di Propaganda Fide richiamava in qualche modo l’esperienza del gesuita, affermando senza ambiguità che i missionari europei non dovevano portarsi appresso i bagagli culturali di Francia, Spagna o Italia o di qualsivoglia altra parte d’Europa, ma solo la Fede, che non rifiuta, né intende pregiudicare, riti e costumi delle popolazioni evangelizzate.

Achaan Chah nacque il 17 giugno 1918, in una famiglia agiata di un villaggio agricolo, nella Tailandia nordorientale. Novizio all’età di nove anni, ricevette l’ordinazione monastica a vent’anni, decidendo così di seguire l’austera vita dei monaci della foresta, nell’ambito della tradizione buddhista therevada. Un influsso indelebile ebbe sulla sua vocazione la figura di Achaan Mun, che lo guidò sulla via della meditazione. Divenuto lui stesso maestro di meditazione, nel 1954 si stabilì in un bosco nei pressi della città natale, dove diede vita al Wat Pah Pong, il primo monastero della foresta, da cui sarebbero sorti negli anni successivi altri ottanta monasteri simili, sparsi in tutta la Tailandia. Spese la vita nella povertà, insegnando a combattere l’avidità, l’avversione, l’illusione, con pazienza e perseveranza. Achaan Chah morì il 16 gennaio 1992 in seguito ad una lunga malattia. Un milione di persone, giunte da tutto il paese, seguì i suoi funerali.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 4, 12-16; Salmo 19; Vangelo di Marco, cap.2, 13-17.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche di Eretz Israel e della diaspora.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un insegnamento di Achaah Chah, tratto dal suo libro “Everything Is Teaching Us”, che troviamo in traduzione italiana nel sito Santacittarama sotto il titolo “Essere accurati” e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Praticare la meditazione e creare meriti e virtù non sono cose molto difficili, purché le comprendiamo bene. Cos’è un’azione negativa? Cos’è il merito? Merito è qualcosa di buono e di bello, non fare del male a noi stessi e agli altri, col pensiero, la parola e l’azione. Allora, c’è felicità. Non si crea niente di negativo. Il merito è questo. Questa è la bravura. Lo stesso vale per le offerte e la carità. Quando diamo, cosa cerchiamo di dare via? Il dare ha lo scopo di distruggere l’auto-importanza, la credenza in un sé oltre che l’egoismo. L’egoismo è un’intensa, estrema sofferenza. Le persone egoiste vogliono sempre essere migliori degli altri e avere più degli altri. Un semplice esempio è che dopo aver mangiato non vogliono lavarsi i piatti. Lo fanno fare a qualcun altro. Se mangiano in un gruppo lo lasciano fare agli altri. Appena finito di mangiare, se ne vanno. Questo è egoismo, non si è responsabili, e si scarica un peso sugli altri. È l’equivalente di una persona che non si cura di se stessa, che non si aiuta e in realtà non si ama. Nel praticare la generosità, cerchiamo di ripulire il cuore da questo atteggiamento. Questo si chiama creare meriti attraverso il dare, per avere una mente compassionevole e aver cura di tutti gli esseri viventi senza eccezioni. Se riuscissimo a essere liberi anche solo di questo, dell’egoismo, saremmo come il Buddha, che non cercava il suo vantaggio, ma il bene di tutti. Se noi seguiamo il sentiero e nel nostro cuore crescono frutti come questo, certamente possiamo progredire. Con questa libertà dall’egoismo, tutte le nostre attività, le azioni virtuose, la generosità e la meditazione condurranno alla liberazione. Chiunque pratichi così sarà libero e andrà oltre, oltre ogni convenzione e apparenza. (Ajahn Chah, Essere accurati).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Gennaio 2021ultima modifica: 2021-01-16T22:53:18+01:00da fraternidade
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