Giorno per giorno – 15 Gennaio 2021

Carissimi,
“Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2, 3-5). Stamattina, ci si chiedeva chi dei protagonisti del racconto potremmo impersonare noi, se il paralitico, il gruppetto di amici, la folla, o gli scribi che si mettono a mormorare, appena udita la parola di perdono di Gesù (cf v. 6). Forse uno, forse, di volta in volta, tutti, dentro o fuori di noi. Come, è presto detto. Prima dovremmo definire di che paralisi si tratta, se nostra o di altri, che cosa, eventualmente, impedisce di andare, e dove. O di operare, e cosa. O anche di cambiare, e come. E se è di altri, cosa possiamo decidere di fare come amici, o come la piccola comunità (o la famiglia) che siamo. La cosa più importante sarebbe di non essere come quella folla (di devoti? curiosi? abitudinari?), che è di ostacolo all’incontro con Gesù e la sua parola che libera. O come gli scribi (benpensanti, moralisti, legalisti), che, seduti comodamente nei loro scranni ai primi posti, legiferano, giudicano, condannano, ignorando ogni atteggiamento di perdono. Ora, la paralisi (anche nostra?) potrebbe essere proprio questa degli scribi, o anche quella di cui è espressione la folla, questa e quelli, anche se in modo diverso, di impedimento a conoscere l’agire di Gesù, a cui tutti siamo chiamati, per essere con lui figli del Padre. Nel qual caso il paralitico sarebbe la nostra immagine speculare, nostro perciò il suo bisogno di essere perdonato e guarito. Che questo si compia, e presto.

Oggi è memoria di don Zeno Saltini, profeta di una società fraterna, e di Olivier Clément, teologo ortodosso e testimone di ecumenismo.

Zeno Saltini era nato, nono di dodici fratelli, il il 30 agosto 1900, a Fossoli di Carpi (Mo). A quattordici anni, lasciati gli studi, scelse di lavorare nei poderi della famiglia, entrando così in contatto con la dura realtà dei braccianti. Dopo il servizio militare, l’intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore, lo portò a laurearsi in legge, e poi a decidere di farsi prete, per cercare piuttosto di prevenire che ci fossero quelli che finiscono in galera. Quando, nel 1931, celebrò la sua prima messa, adottò come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere. Sarà il primo di molti. Dieci anni dopo, una ragazza fuggita di casa accettò di diventare la mamma “di vocazione” dei più piccoli tra gli ospiti di quella strano prete. Anche lei seguita da molte altre. Alla fine della seconda guerra mondiale (durante la quale molti componenti integrarono le file della resistenza antinazista), occupato il campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, don Zeno e i suoi costruirono la loro città. Accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formarono le prime famiglie di sposi, che chiesero a don Zeno di accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli come quelli che sarebbero nati dal loro matrimonio. Nacque così Nomadelfia, che significa “Dove la fraternità è legge”. Le pressioni politiche dei partiti di destra e la difficile situazione economica degli anni che seguirono portarono al tentativo di “abolire” Nomadelfia. Il Sant’Ufficio ordinò a don Zeno di lasciare. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiarono a Grosseto, in una grande tenuta da bonificare, frutto di una donazione. Per restare fedele alla sua famiglia, il prete chiese ed ottenne dal Papa, nel 1953, la rinuncia all’esercizio del sacerdozio. Anni più tardi, quando, nel 1961 i nomadelfi si diedero una nuova Costituzione come associazione civile, don Zeno chiese alla Santa Sede di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Il 22 gennaio 1962 celebrò la sua “seconda prima messa”. Il papa, ricevendo i Nomadelfi, nell’agosto 1980, per una serata di festa, disse: “Se siamo chiamati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Qualche mese dopo, don Zeno, colpito da infarto, moriva a Nomadelfia. Era il 15 gennaio 1981.

Olivier Clément nacque ad Aniane, in Llenguadoc (Francia), il 17 novembre 1921, e crebbe in una famiglia agnostica. Dopo gli studi all’Università di Montpellier, cominciò ad interessarsi alla storia del cristianesimo e alle chiese orientali. Più tardi, sotto l’influenza degli scritti di Berdiaev e di Looskij, del quale divenne allievo ed amico, si convertì al cristianesimo, chiedendo ed ottenendo di essere battezzato nella parrocchia francofona del Patriarcato di Mosca a Parigi. Insegnò per molto tempo storia al Lycée Louis-le-Grand a Parigi e fu professore all’Istituto di Teologia Ortodossa San Sergio, affermandosi come uno dei teologi più stimati dell’Oriente ortodosso e, certo, uno tra i più attenti agli interrogativi della modernità, cui cercò di rispondere con una riflessione insieme profonda e poetica, in una ripresa sempre creativa e innovatrice della tradizione. Dal 1967 al 1997, fu membro del comitato misto di dialogo teologico cattolico-ortodosso e degli incontri bilaterali fra ortodossi e protestanti. Negli ultimi decenni è stato interlocutore di grandi figure della vita delle chiese dell’ultimo secolo; tra gli altri: il Patriarca Atenagora di Costantinopoli, Giovanni Paolo II, il prete e teologo rumeno Dumitru Stăniloae, l’archimandrita Sofronio del monastero di Maldon (Gran Bretagna), Frère Roger Schutz di Taizé. Ma, più ancora, ha avuto un ruolo determinante e significativo nell’orientare e aiutare la ricerca di senso, il cammino di fede, il desiderio di dialogo, di molti altri. Clément si è spento a Parigi, il 15 gennaio 2009.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.4, 1-5.11; Salmo 78; Vangelo di Marco, cap. 2, 1-12.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fratelli della Umma islamica.

Oggi ricordiamo anche la nascita di Martin Luther King Jr., pastore battista, apostolo della resistenza non violenta, eroe e paladino degli ultimi ed emarginati, assassinato il 4 aprile 1968. Pur facendone memoria nella data della morte, scegliamo di congedarci lasciando a lui la parola anche in questo giorno, con una citazione tratta da “Il sogno della nonviolenza” (Feltrinelli). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Fino a quando esisterà la povertà nel mondo, io non potrò essere ricco, anche se possedessi miliardi di dollari. Fino a quando le malattie imperverseranno e milioni di uomini in questo mondo avranno un’aspettativa di vita di ventotto o trent’anni, non potrò godere di buona salute, anche se il risultato del check-up fatto alla Mayo Clinic fosse positivo. Io non potrò mai essere ciò che dovrei essere fino a quando anche l’altro non lo sarà. Il nostro mondo è fatto così. Nessun individuo o nazione può vantarsi di essere indipendente. Dipendiamo tutti gli uni dagli altri. (Martin Luther King Jr, Il sogno della nonviolenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Gennaio 2021ultima modifica: 2021-01-15T22:51:53+01:00da fraternidade
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