Giorno per giorno – 19 Dicembre 2020

Carissimi,
“Al tempo di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni” (Lc 1, 5-7). “Al tempo di Erode”: Luca situa storicamente il fatto che si appresta a narrare. E, tuttavia, per lo statuto speciale che riveste ogni libro della Bibbia, non si tratta [solo] di un avvenimento del passato, ma di una parola che interpella il nostro presente, dice, cioè, anche di noi, nel concreto contesto, di luogo e di tempo, in cui si svolge la nostra esistenza. Come vivere, aiutati dalla liturgia, questi ultimi giorni del tempo di Avvento? Come specchiarci nel racconto che abbiamo ascoltato e nei suoi personaggi? I cui nomi, paradossalmente, dicono il contrario dell’esperienza fino ad allora vissuta: Zaccaria (“Dio si ricorda”) e Elisabetta (“Dio è la mia pienezza”). Dato che la loro sterilità parrebbe segnalare piuttosto la dimenticanza di Dio e il mancato compimento della promessa. Nonostante la loro giustizia, secondo la legge. Fedele nel presentare la sua offerta al tempio, Zaccaria resiste a credere alla Parola che gli prospetta il darsi di un futuro che reputa umanamente impossibile. Come, in ogni tempo, viene da dubitare della possibilità di una salvezza che cambi di segno alla storia umana, tanto sono disperanti i segnali che ci giungono da essa. E, tuttavia, Dio sceglie di dirla, sì, la sua salvezza, ma nei sotterranei della storia, nell’apparente insignificanza di eventi che accadono alla periferia del mondo. Come nella vicenda dei due vecchi di cui parla il vangelo, lui della classe di Abia (“Il Signore è Padre”), cui è dato in dono un figlio, Giovanni (“Il Signore è benigno”), di cui non è rimasta traccia in nessun libro di storia, ma che, a duemila anni di distanza, parla ancora al nostro cuore della necessità di “ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” (v. 17). Sapendo che questo non trasformerà d’incanto, come anche allora, la storia scritta dai potenti della terra, che continuerà a grondare di sangue, ma ci disporrà a trasformarci noi in “una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei nostri cuori” (2 Cor 3, 3). Che il buon Dio saprà, a suo tempo, come utilizzare.

Oggi, facciamo memoria di due religiose francesi e di una madre di famiglia argentina, sequestrate a Buenos Ayres assieme ad un gruppo di simpatizzanti del gruppo delle “madri della Piazza di Maggio”, tra l’8 e il 10 dicembre 1977, che mai fecero ritorno a casa. Si tratta di Alicia Domon, Léonie Duquet e Azucena Villaflor, martiri della solidarietà. In loro riassumiamo i circa trentamila desaparecidos degli anni bui della dittatura argentina. Il nostro calendario ecumenico ci porta anche la memoria di Abū Hāmid al-Ġazālī, mistico islamico.

Alice Domon era nata a Charquemont (Alto-Doubs), in Francia, il 23 settembre 1937, da una famiglia di sette figli. La vocazione religiosa la spinse ventenne ad entrare nell’Istituto delle Missioni straniere di Notre Dame de la Motte, a Tolosa. Nel 1967 s’imbarcò per l’Argentina. In un primo tempo svolse la sua missione tra bambini handicappati psichici, poi, nel 1969, lei ed altre suore della sua congregazione chiesero di lasciare le comodità del convento per condividere le condizione di vita delle baraccopoli urbane. Alicia cominciò a mantenersi lavorando come domestica part-time, dedicando il resto della giornata al servizio dei vicini. Per un certo tempo, si trasferì nella provincia nordestina di Corrientes, dove si occupò attivamente dei problemi di salute e di istruzione della popolazione locale e accompagnò i movimenti e le manifestazioni di lotta di contadini e braccianti. Tornata a Buenos Ayres, subito dopo il golpe militare, Alicia si legò al Movimento delle Madri della piazza di Maggio, che reclamavano notizie dei loro congiunti desaparecidos. L’8 dicembre 1977, uscendo dalla chiesa di Santa Cruz, dove si era tenuta una riunione preparatoria per la celebrazione della Giornata dei Diritti Umani, Alicia e altre otto persone venivano sequestrate da un gruppo di uomini armati in abiti civili. Léonie Duquet, più anziana di Alicia, era nata nel 1916 a Combe-la-Motte, nei pressi di Morteau, ed aveva fatto la sua professione religiosa nel 1936. Nel 1949 aveva raggiunto l’Argentina, dove per molti anni svolse l’attività di infermiera all’ospedale di Cordova. Suor Léonie Duquet, con cui Alicia abitava all’epoca, fu arrestata nella sua residenza di Buenos Ayres, il 10 dicembre 1977, lo stesso giorno in cui sparì anche la fondatrice del gruppo delle Madri, Azucena Villaflor. Testimonianze raccolte in seguito hanno chiarito che le religiose e le altre persone furono sottoposte a interrogatori, violenze e torture, per essere infine caricate nei famigerati voli della morte e gettate ancora vive in mare. Una decina di giorni dopo il sequestro, alcuni cadaveri furono sospinti dalle onde sulla battigia di una località a circa 38o chilometri a sud di Buenos Ayres e furono prontamente sepolti in una fossa comune. A fine agosto 2005, i resti di due di essi furono riconosciuti, attraverso l’esame del dna, come appartenenti a Léonie Duquet e a Azucena Villaflor. Il corpo di Alicia Domon non fu mai ritrovato.

Abū Hāmid Muhammad ben Muhammad al-Ġazālī era nato a Tus (nell’attuale Iran) nel 1058 Fu professore di filosofia, teologia e diritto a Baghdad. A trentasette anni, nonostante il successo e la stima conquistata negli ambienti accademici, conobbe una profonda crisi spirituale, che descrisse in questi termini: “Ho esaminato le motivazioni che mi guidavano nel mio insegnamento e ho capito che non si trattava di un semplice desiderio delle cose di Dio, ma che l’impulso che mi muoveva era il desiderio di conquistare una posizione influente e il riconoscimento pubblico”. Questa presa di coscienza lo spinse ad abbandonare il mondo per diventare un sufi pellegrino. Dopo undici anni passati in meditazione e in ritiro, si lasciò convincere dal Sultano dell’epoca a tornare ad insegnare nella città di Baghdad. Ma solo per poco tempo. Ben presto decise infatti di ritirarsi nella città natale, dove visse gli ultimi tempi della sua vita con pochi discepoli in un convento sufi, dove morì il 19 dicembre 1111 (15 Jumaada Thaani 505). Le sue numerose opere, tra cui la più famosa è Il Ravvivamento delle Scienze della religione, sono notevoli per vigore e sottigliezza dottrinale, nonché per il grande spirito di tolleranza.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Giudici, cap. 13,2-7.24-25a; Salmo 71; Vangelo di Luca, cap.1, 5-25.

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Per stasera è tutto, noi ci si congeda con una citazione di Abū Hāmid al-Ġazālī, tratta dal suo “L’amore di Dio” (EMI). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sappi che l’amore è cosa lodevole e la sua manifestazione esteriore è anche cosa lodevole. Ciò che è basimevole è farne ostentazione, quando vi si include il proclamarlo e il farsene vanto. Il dovere dell’amante di Dio è che siano le sue opere e i suoi stati spirituali a parlare del suo amore segreto, piuttosto che le sue parole e le sue opere esteriori. Egli deve manifestare il suo amore senza avere l’intenzione di manifestarlo, né di manifestare l’opera che indica il suo amore. Anzi l’intenzione dell’amante dev’essere quella di informarne soltanto il Beneamato. Quanto alla sua volontà di informarne altro da Lui, questo sarebbe attribuire a Lui dei soci nell’amore e corrompere il suo significato. Come si riporta nel Vangelo: “Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua destra e Colui che vede nel segreto ti ricompenserà pubblicamente. E quando digiuni, lavati il viso e profumati la testa, affinché nessun altro, tranne che il tuo Signore, ne sappia qualcosa”. […] Una delle cause per cui l’ostentazione dell’amore è detestabile è questa: che se l’amante è un iniziato e conosce gli stati degli Angeli, il loro amore eterno e il desiderio appassionato con il quale giorno e notte glorificano Dio, senza cessare né disubbidire a Dio in ciò che ha comandato loro; sente allora disdegno per se stesso e per la manifestazione del suo amore, perché saprà prontamente che è tra i più vili amanti di Dio nel Suo regno, e che il suo amore è il più imperfetto amore d’ogni amante di Dio. (Abū Hāmid al-Ġazālī, L’amore di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Dicembre 2020ultima modifica: 2020-12-19T22:55:30+01:00da fraternidade
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