Giorno per giorno – 17 Novembre 2020

Carissimi,
“Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: È andato ad alloggiare da un peccatore!” (Lc 19, 5-7). Nel capitolo che precede quello che si è cominciato a leggere stamattina, Gesù aveva affermato sconsolatamente: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!” (Lc 18, 25). Ora, il racconto di Zaccheo vuol essere la riprova di ciò che Gesù aveva subito aggiunto: “Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (v.27). Se non proprio per il cammello, almeno per il ricco. Come aveva scoperto in tempo l’amministratore disonesto della parabola (Lc 16, 1-9), che abbiamo meditato una decina di giorni fa. Anche perché Dio vuole che tutti, ma proprio tutti si salvino, oltre che i peccatori riconosciuti, che sono salvati, per così dire, di diritto divino, dato che Gesù si dice inviato proprio per loro, anche per coloro che non si riconoscondo bisognosi di salvezza, o perché la ritengono già raggiunta, per proprio merito, come i religiosi, o perché la scambiano per la prosperità che godono già qui ed ora, come appunto, i ricchi. Capita, dunque che Zaccheo si renda conto che la ricchezza non basta a renderlo felice e voglia vedere con i suoi propri occhi in cosa consista il regno di Dio. O, anche, chi e come sia davvero Dio. E, nel suo nome, Zaccheo, “puro” (lui impuro per eccellenza) – sempre che non glielo abbia affibbiato Gesù, provocatoriamente al momento, a scandalo dei devoti -, c’era inscritto il suo destino, dato che proprio Gesù aveva affermato solennemente, nel discorso del monte: “Beati i puri, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8). Dove la purezza, come scoprirà da lì a poco lo stesso Zaccheo, è frutto della condivisione dei beni (cf Lc 11, 41). Lo scopre, Zaccheo, chi è Dio. Colui che, incurante del disprezzo, o forse proprio per questo, che l’accompagna, si ferma sotto l’albero su cui si è arrampicato, lo squadra, lo avvolge con uno sguardo d’amore e gli fa: Sai, Zaccheo, oggi voglio proprio fermarmi a casa tua. Ed è, per Zaccheo, la fine del mondo. L’inizio della sua conversione personale e inaugurazione di relazioni nuove con il mondo che lo circonda, a prefigurare in qualche modo quel regno che Dio vorrebbe esteso a tutta l’umanità. Stamattina, ci dicevamo che tutti noi siamo, possiamo essere Zaccheo, scovati da Dio, se glielo permettiamo, sull’albero in cui siamo nascosti nella speranza di capire qualcosa di più di Dio e della vita, e Lui che ci dice: Scendi che, oggi, voglio stare da te. Da me, così come sono? Come altro se no? E sarà un giorno nuovo.

Oggi è memoria del martirio di Roque González de Santa Cruz, Alfonso Rodrígues e Juan de Castillo, gesuiti, vittime innocenti della reazione indigena alla brutalità della violenza coloniale. Ricordiamo anche Jacob Böhme, mistico della Chiesa della Riforma, e Grace Akullo e compagne/i, martiri della carità, durante l’epidemia di ebola, in Uganda.

Figlio di genitori spagnoli, Roque González nacque nell’anno 1576 a Asunción, che in quel tempo era capitale di tutta la immensa provincia del Rio de la Plata. Ordinato sacerdote a ventidue anni, dopo circa dieci anni entrò nella Compagnia di Gesù, affascinato dal lavoro missionario che i gesuiti svolgevano tra gli indios. Il suo contatto e il suo inserimento tra le popolazioni indigene furono facilitati per il fatto di aver studiato, da bambino, una lingua difficile come il guaranì. Fu lui che praticamente organizzò le celebri reducciones del Paraguay, una proposta originale di evangelizzazione, basata sul tentativo di conciliare cultura indigena e cultura cristiana in un lento processo di acculturazione. Questo sistema, di cui oggi siamo in grado di cogliere i limiti, mirava comunque a proteggere gli indios dalle conseguenze funeste della conquista e dell’occupazione di quei territori da parte di colonizzatori avidi di ricchezze e di guadagno facili. Odiati da questi, i gesuiti dovettero affrontare anche l’ostilità di alcuni capi indigeni che vedevano in loro gli alleati dei crudeli sfruttatori della loro gente. Fu così che Roque cadde vittima di una violenza da cui aveva salvato molti indios indifesi. Con lui, ucciso il 15 novembre, furono martirizzati altri due giovani gesuiti, Alfonso Rodríguez (1598-1628), spagnolo di Samora e, due giorni più tardi, il 17 novembre, Juan de Castillo (1596-1628), anche lui spagnolo di Belmonte, Cuenca.

Jacob Böhme nacque il 24 aprile 1575 ad Altseidenberg, nella Lusazia, regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Appartenente ad una famiglia di contadini relativamente agiata, ricevette una rigida educazione protestante. Curò lui stesso, da autodidatta, la sua formazione culturale, aiutandosi soprattutto con la lettura di testi della tradizione mistica tedesca. A quattordici anni, fu avviato al mestiere di ciabattino e in seguito impiantò la sua attività nella cittadina di di Görlitz, dove, nel 1594, sposò Catharina Kunschmanns, con cui visse fino alla morte e che gli generò figli e figlie. Nel 1600, Böhme ebbe un’intensa esperienza mistica, che si ripeterà nel 1610 e un’ultima volta sette anni più tardi. Tali esperienze furono da lui vissute come rivelazione dell’essenza divina. Nel 1612 scrisse la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang , l’Aurora Nascente. La diffusione del manoscritto provocò le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che l’accusò di eresia, facendolo arrestare. Rimesso in libertà, Böhme visse gli anni successivi, subendo di volta in volta l’ostracismo dei suoi oppositori o le pressioni dei suoi sostenitori, che insistevano perché riprendesse a scrivere. Cosa che egli fece negli ultimi anni della sua vita. Jacob Böhme morì il 17 novembre del 1624. La chiesa luterana, superate le antiche diffidenze, ne fa oggi memoria come di un suo figlio devoto.

Grace Akullo era nata nel 1973 in Uganda da una famiglia lango, profondamente cristiana ed anche lei, diplomatasi infermiera professionale nell’ottobre del 1999 e prestando servizio al St. Mary Hospital di Lachor, nel distretto di Gulu (Uganda settentrionale), viveva con giovanile entusiasmo la sua fede, partecipando attivamente all’azione missionaria nell’ambiente ospedaliero e animando la liturgia, soprattutto con il canto. Sposata e madre di due figli, alla fine d’agosto del 2000, al rientro da un ritiro spirituale di tre giorni confessò di aver scoperto la sua vocazione: essere evangelizzatrice nel mondo della sofferenza, per mostrare agli ammalati l’amore e la compassione del Padre. Gliene fu data ben presto l’occasione. A fine settembre di quello stesso anno scoppiò infatti l’epidemia di ebola e Grace, con alcune altre infermiere e infermieri, si offrì come volontaria per lavorare nel reparto infettivi, consapevole lei e gli altri di mettere così a repentaglio la loro vita. Caddero in tal modo, sul fronte della carità: Christine Ajok, 20 anni; Daniel Ayella Oboke, 24 anni; Monica Aol, 20 anni, Margaret Adata, 42 anni, madre di dieci figli, Florence, madre di una bambina, suor Pierina Asienzo, 45 anni, delle Little Sosters of Mary Immaculate, e Simon Ajok. I cui nomi e la cui testimonianza uniamo idealmente a quella di Grace Akullo, morta come oggi, il 17 novembre del 2000. Come scriverà in seguito, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu: “La loro testimonianza di amore e di servizio fino all’estremo sacrificio e la loro fede in Cristo è una sfida per tutti noi. Come Dio ha rivelato la sua potenza che ha trasformato la debolezza umana dei nostri fratelli, lo può fare anche in tutti noi. Tocca a ciascuno di noi, nella sua libertà, accettare la sfida. Così possiamo cambiare il mondo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap. 3,1-6.14-22; Salmo 15; Vangelo di Luca, cap.19, 1-10.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una citazione di Jacob Böhme, che troviamo in rete nel blog “Mistica.info” e che è, così, per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il ragionamento (superficiale) rappresenta Dio come un essere spietato, e insegna che Egli ha gettato la Sua ira sull’uomo, maledicendolo e condannandolo alla morte, poiché Gli aveva disubbidito. Non dovete credere a ciò. Dio è amore e bontà, in Lui non esiste un pensiero adirato. L’uomo sarebbe felice se non si fosse punito da solo. (Jacob Böhme)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Novembre 2020ultima modifica: 2020-11-17T22:16:53+01:00da fraternidade
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