Giorno per giorno – 26 Ottobre 2020

Carissimi,
“Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: Donna, sei libera dalla tua infermità, e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio” (Lc 13, 10-13). A dire il vero, l’originale suona: “sei stata liberata” e c’è una certa differenza. Come abbiamo già rilevato altre volte, sembra proprio che Gesù scelga provocatoriamente di operare di sabato, perché era proibito. Dalla legge di Dio, mica da una legge qualsiasi. O da come, via via, si era venuti interpretando la legge e immaginando Dio, sulla scorta della tentazione del serpente, nel racconto genesiaco, che lo disegna come figura di un potere, da cui vuole tenere lontano l’uomo, piuttosto che come espressione di quel dono incondizionato, che l’uomo aveva fino ad allora sperimentato. Il sabato in questo caso è la legge, cioè la stessa religione, in un determinato modo di viverla, che opprime, piega e schiavizza, tanto quanto il peccato che essa denuncia e condanna, anzi forma anche più grave del peccato. La reazione del capo della sinagoga (il leader religioso) all’operato di Gesù, che fa sapere alla donna di essere già stata liberata, per cui può mettersi ritta, a testa alta, riscattata al suo ruolo di “figlia di Abramo”, ma è molto di più, “figlia di Dio”, è rivelativa dell’uso diabolico che si fa della religione, non annuncio e testimonianza gioiosa della preoccupazione e della cura che Dio ha per la felicità dei suoi figli e figlie, ma imposizione severa e corrucciata di pesi insopportabili, senza che ci si senta in dovere di aiutarli a portare “nemmeno con un dito” (cf Lc 11, 46). Succede anche oggi: quando il Vangelo ritrova (e dovrebbe essere sempre per non smentirsi) il suo carattere di annuncio gioioso dell’identità di figli di Dio, fatta conoscere a gruppi e persone, che si pensavano escluse, immancabilmente si alzano i mugugni, le proteste e le denunce di chi, arrogandosene il monopolio, presume determinare limiti e confini del benvolere di Dio. Gesù non ci sta. Non c’è stato di vita o condizione sociale, morale, religiosa, confessionale, che siano sottratti alla sua azione “storicamente” salvifica. Persino, alla fine, quando accetteranno di lasciarsi convertire, quella di quanti si considerano buoni e migliori degli altri. Insomma, c’è speranza per tutti, anche per noi.

Oggi è memoria di William Temple, pastore e testimone di ecumenismo, e di Hubert Luis Guillard, martire della solidarietà in Colombia.

William Temple, figlio di Beatrice e Frederick Temple, era nato il 15 Ottobre 1881, a Exeter, città di cui il padre era a quel tempo vescovo, prima di diventare, nel 1897, primate della Chiesa d’Inghileterra. Dopo gli studi a Oxford, William decise di seguire le orme paterne; fu, così, ordinato diacono nel 1909 e presbitero nel 1910. Il suo impegno ecclesiale fu sempre accompagnato da una profonda attenzione al mondo dei poveri. Nel 1908 era divenuto presidente dell’Associazione per l’istruzione dei lavoratori e nel 1918 aderì al Partito laburista, all’attuazione del cui programma si dedicò sempre attivamente. Sposatosi nel 1916 con Frances Anson, divenne, nel 1921, vescovo di Manchester, dove si fece conoscere, ammirare e amare, per la sua spiritualità, ma anche per la semplicità, l’umorismo, l’affabilità che lo caratterizzavano. Risalgono a quegli anni due tra i suoi maggiori lavori teologici: La Mente Creatrice e Cristo, la Verità. Nel famoso sciopero generale del 1926 si fece mediatore tra le parti in conflitto e contribuì al raggiungimento di una soluzione gradita a tutti. Nel 1928 fu nominato arcivescovo di York. Dopo che il Fronte Cristiano Unito conquistò l’appoggio di numerosi leader di chiesa, quando ne percepì la deriva reazionaria, Temple non esitò, nel 1937, a denunciarne pubblicamente errori e manovre. Promotore del Consiglio britannico delle Chiese, Temple presiedette nel 1937, a Edimburgo, la seconda conferenza internazionale di Fede e Costituzione, in cui propose di creare un Consiglio Mondiale delle Chiese, che avrebbe trovato realizzazione qualche anno dopo la sua morte. Temple divenne arcivescovo di Canterbury nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale. Notevole fu il suo zelo per recar sollievo ai rifugiati ebrei, sfuggiti alle persecuzioni hitleriane e il suo appoggio ad una pace negoziata. La sua ultima apparizione in pubblico fu ad un ritiro del clero, che volle ugualmente predicare, nonostante le cattive condizioni di salute. William Temple morì il 26 ottobre 1944 a Westgate-on-Sea, nel Kent. Il calendario della Chiesa d’Inghilterra lo ricorda il 6 novembre, giorno anniversario del suo battesimo.

Hubert Luis Guillard era un prete belga della Congregazione dei padri assunzionisti. Era giunto in Colombia nel 1965, per insegnare in un collegio della sua congregazione, poi, però, si era trasferito in un quartiere povero della periferia di Medellin, dove aveva contribuito a creare una scuola, un ambulatorio e un giardino d’infanzia. Nel 1970, recatosi a Cali, si era stabilito in una baraccopoli e, anche in questo caso, assieme agli abitanti del posto aveva costruito una scuola e un ambulatorio, dedicando poi tutti i suoi sforzi alla creazione di un centro di formazione per la promozione di microimprese, come soluzione al problema della disoccupazione. Nel distretto di Aguablanca, un conglomerato di 23 quartieri totalmente trascurato dalle autorità, senza luce, acqua e fognature, dove frequenti erano inondazioni, incendi ed epidemie, aveva organizzato la parrocchia di El Vergel, come primo nucleo di un’organizzazione popolare che venne via via rafforzandosi. La sera del 10 aprile 1985, tornando con due laici da una riunione al Centro parrocchiale, fu accolto dall’imboscata di una pattuglia dell’esercito. Cinque proiettili lo raggiunsero al cervello. Resterà più di sei mesi in coma, venendo a mancare il 26 ottobre. Aveva 49 anni.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 32-5,8; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.13, 10-17.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria di Hubert Luis Guillard, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura una pagina del teologo salvadoregno Jon Sobrino, tratta dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La storia non è soltanto negatività; esige, pertanto, fedeltà nei suoi aspetti oscuri e dal prezzo elevato. Paolo afferma anche che la creazione vive della speranza della liberazione da ogni schaivitù e corruzione. Nella realtà stessa vi è un aspetto di promessa e di speranza, non ridotte al silenzio dall’esperienza di secoli. La realtà stessa, malgrado la sua lungo storia di fallimenti e miseria, pone sempre di nuovo l’esigenza e la speranza della pienezza. Sempre sorge un nuovo esodo, un nuovo ritorno dall’esilio, una liberazione dalla prigionia, anche se nemmeno questi sono mai definitivi. Sempre si trova un portavoce, un Mosè, un nuovo Mosè, ad annunziare una nuova terra e un nuovo cielo, una vita più umana, un homo vivens. L’onestà verso la realtà è allora speranza, richiesta dall’indirizzo che la realtà vuol seguire. Ma si tratta di una speranza attiva, che non si limita ad attendere, di un aiutare la realtà a diventare quel che vuol essere. Questo è l’amore. Speranza ed amore sono due facce della stessa medaglia: la convinzione, tradotta in pratica, delle possibilità della realtà. Entrambe le cose si alimentano a vicenda. Un mondo giunto ad essere un focolare per l’uomo (E. Bloch) lo si attende soltanto nella misura in cui l’uomo mette mano all’opera di costruzione di quel focolare. Un mondo che abbia vita lo si attende solo dando vita al mondo. Questo impegno di umanizzare l’uomo, di farlo vivere, non è soltanto un’esigenza arbitraria, e neppure il più eccelso dei comandamenti, promulgato da Gesù o da qualcun altro, ma che potrebbe anche non essere stato promulgato. È la più compiuta sintonia con la realtà; per questo umanizzare l’uomo, l’amore, è il compito supremo, che ha in se stesso la propria giustificazione, che non ha limiti. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-26T22:27:28+01:00da fraternidade
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