Giorno per giorno – 25 Ottobre 2020

Carissimi,
“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 37-40). È la risposta di Gesù al teologo che gli aveva chiesto quale fosse il più grande comandamento della Legge, ricavabile dall’interminabile lista di 613 precetti (248 obblighi, pari al numero delle ossa del corpo umano, e 365 divieti, tanti quanti i giorni dell’anno), meticolosamente ricavata dai maestri da quanto enunciato nei libri della Torah. Perduti tra i tanti, Gesù enuclea questi due comandamenti che vuole inseparabili, affermando che da essi dipende tutta la Scrittura (“la Legge e i Profeti”). Sono, cioè, essi che determinano il peso, e quindi l’obbligatorietà o non, di tutti gli altri. (Ce n’è infatti di terribili, che dicono il contrario dell’amore di Dio e del prossimo). Quanto al Dio che siamo chiamati ad amare con tutto il cuore, con tutta la nostra persona (o “il nostro io”, o “la nostra vita”, che traducono il nepesh dell’ebraico meglio di “anima”) e con tutta la nostra mente è, naturalmente, non una qualsiasi immagine o nostra proiezione di dio, ma il Padre che ci si è rivelato in Gesù e che ci ha preceduti nell’amarci, noi e tutti, come figli, nel Figlio, attraverso l’unico Spirito, che ci introduce alla vita divina. Che noi testimoniamo e in cui dimostriamo di credere nell’unica maniera possibile: amando i fratelli, a partire dagli ultimi e più deboli (lo straniero, la vedova, l’orfano, l’indigente, della prima lettura), così come Dio, dalle origini, ha riservato uno sguardo di preferenza ad Abele, ma, in seguito, allo stesso Caino, tenuto al riparo dalle vendette che avrebbero potuto seguire al suo gesto fratricida. E, soprettutto, come Cristo dalla croce, ha riscattato coloro che, pur assassini, erano crocifissi con lui, e ha perdonato ai suoi crocifissori, dando così compimento alla volontà del Padre che “vuole che nessuno si perda” (Mt 18, 14).

I testi che la liturgia di questa XXX Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap. 22,20-26; Salmo 18; 1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap. 1,5-10; Vangelo di Matteo, cap. 22,34-40.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi facciamo memoria di Henri Perrin, preteoperaio, e di Antonio Llidó, prete al servizio degli ultimi, martire in Cile.

Nato il 13 aprile 1914, Henri Perrin fece parte del gruppo di giovani preti che, durante la II Guerra mondiale, scelsero di accompagnare i lavoratori francesi inviati a lavorare nelle fabbriche tedesche. Lì, lavorò con i suoi connazionali, operando nello stesso tempo come cappellano clandestino. Scoperto, fu imprigionato per un breve periodo e poi rimpatriato. L’esperienza tuttavia lo segnò irreversibilmente. Scoprì infatti la distanza che separava la chiesa dalla classe lavoratrice e, presto, con altri preti che la pensavano uguale, decise che era ora di restituire la chiesa ai poveri e i poveri alla chiesa. Nacque così, nel 1947, con l’approvazione dei vescovi francesi, l’esperimento dei preti-operai. Perrin fu assunto in una fabbrica di plastica. Non rivelò subito la sua identità. Quando comunque i compagni seppero che era prete, la sua maniera d’essere ne aveva già conquistato rispetto, simpatia e cameratismo. Non sarebbe durata a lungo. Il Vaticano nel 1949 emise un decreto che condannava l’adesione dei cattolici ai partiti comunisti e alle organizzazioni ritenute fiancheggiatrici, compresi i sindacati. I vescovi francesi, finché poterono, tergiversarono. Si rendevano infatti conto dell’importanza che la figura dei pretioperai rivestiva nel processo di evangelizzazione del mondo del lavoro e di ri-evangelizzazione della stessa chiesa. E sapevano che non c’era verso di stare in quel mondo, senza assumerne le lotte e gli strumenti organizzativi. Tuttavia, all’inizio del 1954, le insistenti pressioni di Roma posero fine all’esperimento. Molti obbedirono e lasciarono le fabbriche, altri ritennero questo passo un tradimento dei poveri e del Vangelo. Restarono e subirono i provvedimenti ecclesiastici. Lui, il nostro prete, amareggiato, deluso, indignato, non ebbe neppure tempo di decidere. Morì in un incidente di moto, poco più che quarantenne, il 25 ottobre dello stesso anno. Poi sarebbe arrivato il Concilio Vaticano II. E le stagioni successive.

Antonio Llidó era nato a Xábia (Alicante, Spagna), il 29 aprile 1936. Terminati gli studi di Magistero, entrò in seminario nel 1957 e fu ordinato prete nel 1963. I villaggi alicantini di Quatretondeta e Balones (settecento anime in tutto) furono la sua prima destinazione. Lì, con l’aiuto di un maestro e di un gruppo di giovani universitari, elaborò uno straordinario progetto sociale, pedagogico e pastorale, che permise di accompagnare negli studi quaranta ragazzi senza futuro fino alla soglia dell’università. Nel 1967, per aver rifiutato di votare all’ennesimo referendum franchista e dopo aver firmato un manifesto di protesta contro la repressione degli studenti antifascisti, venne mandato per castigo dal suo vescovo come cappelano all’ospedale della marina militare, a El Ferrol. Naturalmente non durò molto. Nel 1969, decise di partire missionario per il Cile, stabilendosi nella città di Quillota, nella diocesi di Valparaiso, dove gli fu affidata la cura della chiesa della Madonna degli Abbandonati e della Medaglia Miracolosa. Conobbe livelli di miseria che gli parvero intollerabili. Scoprì che in una baraccopoli di sole dieci case abitavano 115 bambini. Con un confratello organizzò una manifestazione di protesta contro la costruzione di una nuova palestra in un esclusivo collegio marista della città, che doveva sorgere a poche centinaia di metri da un’altra palestra di un altrettanto esclusivo istituto religioso. Questo gli procurò naturalmente l’inimicizia dei religiosi e del vescovo locale. Era solo l’inizio del suo impegno a fianco dei poveri e delle forze politiche che ne portavano avanti le aspirazioni. Il vescovo gli impose di far ritorno in Spagna, ma Llidó non potè accettare di abbandonare i già abbandonati da tutti. Questa fedeltà gli costò la sospensione a divinis. L’11 settembre 1973, un sanguinoso golpe militare pose precocemente fine al governo di Unità popolare di Salvador Allende, che aveva sollevato tante speranze, e Llidó entrò in clandestinità. Il 1º Ottobre 1974 venne scoperto e arrestato da agenti della DINA, la famigerata polizia segreta di Pinochet. Secondo le testimonianze raccolte, benché ripetutamente torturato, riuscì a mantenersi saldo e imperturbabile, continuando a infondere coraggio agli altri detenuti. Se ne persero definitivamente le tracce il 25 ottobre dello stesso anno, quando la polizia segreta lo prelevò dal carcere di Quatro Álamos, senza destinazione conosciuta.

Prendendo spunto dalla memoria di Henri Perrin, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura una riflessione di tre pretioperai, che troviamo sotto il titolo “La condizione operaia condizione d’ingiustizia” in La Voce dei Poveri, del settembre 1971. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il grosso del mondo operaio e salariato è fatto di un intero popolo sfruttato: uomini e donne (con le loro famiglie alle spalle) che sono derubati della loro dignità, della libertà, del rispetto, dei frutti delle loro fatiche quotidiane. La fabbrica, l’azienda, il laboratorio è di loro, proprietà comune, e attraverso di loro è dell’intera comunità umana che essi sono chiamati a servire e a far sviluppare. Invece che primi artefici del lavoro, essi si ritrovano ad essere numeri di un sistema che sfugge loro di mano e finisce per schiacciarli fisicamente e moralmente e spesso li rende complici del sistema che li sfrutta a causa dell’attrattiva potente del “dio quattrino”. La nostra scelta [di preti operai] è di stare con loro, di vivere come loro, di essere di loro: tra chi sfrutta e chi è sfruttato la scelta cristiana è chiara e indiscutibile. Vogliamo assumerci il peso di questa condizione per mettere dentro questo popolo di cui siamo orgogliosi di poter far parte la forza del lievito di Cristo, la spinta rivoluzionaria dell’amore di Dio, il soffio della Libertà e della Giustizia di colui che è Padre di tutti e vuole tutti fratelli. (Mario, Giuseppe e Beppino, La condizione operaia condizione d’ingiustizia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-25T22:30:48+01:00da fraternidade
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