Giorno per giorno – 23 Ottobre 2020

Carissimi,
“Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Arriva la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Farà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 54-57). Oggi come oggi, sembra più facile che mai prevedere i cambiamenti climatici, perfino a lungo termine. Le stazioni metereologiche ci informano del tempo che avremo anche con quindici giorni d’anticipo (che poi ci azzecchino sempre è un altro discorso). Resta comunque il rimprovero di Gesù sulla nostra incapacità di giudicare cosa sia giusto qui ed ora. Il discorso, rivolto ai discepoli di ogni tempo e luogo, prendeva le mosse dall’iniziale “Guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia” (Lc 12, 1). In cosa consista questa loro (e non solo loro) ipocrisia, i vangeli lo descrivono via via, ogni volta che li fanno entrare in scena. Quel che è certo è che essi si considerano giusti; sono praticanti della lettera della Legge nei suoi minimi dettagli, ma dimentichi dello spirito che la dettò; si reputano meritevoli della ricompensa divina; vivono separati dalla massa comune di coloro che considerano peccatori, a cui guardano con sdegno e disprezzo; coltivano il desiderio di essere ammirati dagli altri, e sono facili ad esibirsi in pratiche religiose. Ogni volta che cadiamo in simili comportamenti, ci allontaniamo dalla possibilità di giudicare il nostro tempo e di compiere le scelte necessarie per testimoniare il regno di Dio che Gesù in prima persona ha incarnato. Al suo rimprovero, Gesù fa seguire una breve parabola, quella dei due avversari che si stanno recando dal magistrato, perché giudichi della loro lite (cf Lc 12, 58-59), delle cui motivazioni, né di chi possa avere torto o ragione, nulla sappiamo. Questo per dire che il vero torto sta nella loro inimicizia e nel loro contendere. L’invito pressante – che Matteo colloca nel Discorso della Montagna (cf Mt 5, 25-26) -, è allora finalizzato ad una tempestiva riconciliazione, capace di restituire alla dimensione fraterna i due contendenti. Questo è, dunque, il criterio che deve orientare il nostro giudizio: non l’orgogliosa presunzione (intellettuale, morale, religiosa) di essere nel giusto, cosa che, nel disprezzo dell’altro, ci consegna alla logica dell’inimicizia (negazione della verità di Dio), ma il riscoprirsi fratelli e sorelle, figli e figlie dell’unico Padre, che ci ha usato misericordia (amore materno) per primo e che ci chiede, perciò, di testimoniarla, questa stessa misericordia, in ogni circostanza, lungo il cammino della vita. È questo che fa del nostro agire il riflesso dell’unica verità.

Il calendario ci porta oggi le memorie dello staretz Ambrogio di Optina, “fatto tutto a tutti”; di Vilmar José de Castro, maestro e catechista, e di Nativo da Natividade de Oliveira, sindacalista, entrambi martiri in Brasile.

Alexander Mikajlovic Grenkoff era nato il 21 novembre 1812 in una famiglia del clero minore. Suo padre era infatti lettore nella parrocchia di un villaggio nel governatorato di Tambov. Conclusi gli studi in seminario, il giovane scoprì che la carriera ecclesiastica non era fatta per lui. Se ne tornò perciò a casa e per qualche tempo insegnò nella locale scuola elementare. Ma, via via, sentì crescere in lui la vocazione monastica, sicché, nell’autunno del 1839, chiese ed ottenne di entrare nel monastero di Optina. Qui vestí l’abito, assumendo il nome di Ambrogio. Ordinato diacono e poi prete, dovette limitare le sue attività a causa delle precarie condizioni di salute. Sfruttando le sue conoscenze di greco e latino, curò per alcuni anni l’edizione di testi patristici. L’attivita di carattere erudito tuttavia non gli era particolarmente congeniale, venne perciò dedicando sempre più tempo alla direzione spirituale (starcestvo), profondamente radicata in una vita di preghiera e di ascesi. E continuò così per tutta la vita. Ogni volta più malconcio, ogni volta più ricercato dalla gente, ogni volta più dolce, dedicato, identificato con quanti ricorrevano a lui per parlargli e riceverne il consiglio. Nell’estate del 1890, per l’aggraversi delle sue condizioni di salute, si trasferì a Sciamordino, nel monastero femminile, da lui fondato nel 1884. Continuò tuttavia a ricevere visitatori da mattina a sera, ininterrottamente. All’inizio di ottobre ci si rese conto che la fine si approssimava. Il 10 Ottobre 1891 (23 ottobre secondo il calendario gregoriano), alle 11,30, terminate le preghiere del trapasso, Ambrogio sollevò il braccio, fece il segno dalla croce e si spense. Sulla lapide della sua tomba furono incise le parole dell’apostolo Paolo: Sono stato debole con i deboli, al fine di guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti per salvarne in ogni modo qualcuno”.

Vilmar José de Castro era nato nel 1959 in una famiglia di piccoli agricoltori di Caçu, nel Sud-est goiano. Maestro rurale, era agente di pastorale della diocesi di Jataí, membro della Commissione Pastorale della Terra, integrante della Scuola Biblica regionale. Fu assassinato il 23 ottobre 1986 tra Caçu a Itarumã, sulla strada che percorreva ogni giorno per recarsi a scuola. Vilmar aveva rappresentato la sua diocesi al 6º Incontro Nazionale delle Comunità ecclesiali di Base, che si era svolto pochi mesi prima a Trindade. Durante la celebrazione dei martiri, quanti dei presenti avevano ricevuto minacce di morte furono invitati ad alzarsi. Vilmar era tra loro. Di fatto, da quando la UDR, il nuovo sindacato dei latifondisti, aveva cominciato a operare a Caçu, il nome di Vilmar era fatto spesso, in maniera non propriamente benevola, dai grandi proprietari. Che aspettarono solo l’occaisone giusta per colpirlo ed eliminarlo. Subito risaputa da tutti fu la complicità e la copertura offerta nella perpetrazione del delittto dalla famiglia Teixeira, una famiglia di latifondisti della zona. Con Vilmar si volle colpire la voce della Chiesa, “colpevole” di una pastorale a favore dei contadini senza terra, dei piccoli produttori e dei lavoratori urbani, che metteva in pericolo i loro interessi economici.

Nativo da Natividade de Oliveira era nato a Doresopolis, in Minas Gerais, il 20 novembre 1953, da Laurita de Oliveira e Benedito Rodrigues de Oliveira. Nel 1961, la famiglia si era trasferita nella zona rurale del municipio di Carmo do Rio Verde (Goiás), dove nel 1967 dona Laurita morì. Nel 1972 Nativo sposò Maria di Fátima Marinelle, da cui ebbe due figli: Luciene ed Eduardo. Attivo nelle comunità ecclesiali di base, nel 1975 conobbe dom Tomás Balduino, allora vescovo di Goiás, che lo convinse a dedicarsi al lavoro di coscientizzazione e organizzazione sindacale. Impegno che egli assunse, almeno inizialmente, senza troppa fortuna, dovendosi scontrare con la difficile situazione politica, con l’atteggiamento minaccioso del padronato e con la paura dei lavoratori rurali. All’inizio degli anni 80, insieme ad Adão Rosa e altri compagni, Nativo, pur continuando il suo lavoro nei campi, collaboró alla fondazione del Partito dei Lavoratori (PT) nello Stato di Goiás e delle Conferenze della Classe Lavoratrice (CONCLAT), che costituirono l’embrione della Centrale Unica dei Lavoratori (CUT), che lo vide tra i suoi quadri dirigenti in Goiás. L’organizzazione sindacale cominciò progressivamente a prendere piede e a conquistare la fiducia dei lavoratori. Ma questo determinò la rabbiosa reazione dei potentati locali. Il 1984, con la fine della dittatura, segnava l’inizio di una nuova stagione politica per il Brasile. L’anno seguente, le elezioni delle rappresentanze sindacali segnarono una netta vittoria del sindacato guidato da Nativo. Era evidentemente troppo. Il 23 ottobre 1985, alle 19,30, veniva ucciso con cinque colpi di fucile davanti alla sede del Sindacato dei Lavoratori rurali di Carmo do Rio Verde. Il pistoleiro, Júlio Santana, confesserà in seguito che il delitto era stato commissionato dal sindaco della città, Roberto Pascoal Liérgio, e dal presidente del sindacato dei Proprietari rurali, Geraldo dos Reis Oliveira. Che restarono impuniti.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 1-6; Salmo 24; Vangelo di Luca, cap.12, 54-59.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Bene, prendendo spunto dalla memoria di Ambrogio di Optina, vi proponiamo, nel congedarci, un testo che ne dice la maniera d’essere. Lo troviamo, tradotto dal russo, nel sito di spiritualità ortodossa “Nati allo Spirito”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Padre Amvrosij insegnava a vivere ma non assillava la gente con rimproveri. Spesso, però, un suo ammonimento restava nella mente della gente per sempre e diventava per loro una regola di vita […] Valutando bene ogni azione e ogni intenzione mediante una corrispondente parola della Legge, tutto diventava chiaro. Credo che, quando le persone andavano da lui con i loro peccati, non li tediasse con ramanzine perché credeva molto fortemente nella grazia rinnovatrice e in quella scintilla di Dio che è capace da sola di tormentare l’anima facendola soffrire per ogni falsità. Nutriva nell’uomo non già la disperazione, come conseguenza di una particolare colpa, ma un sentimento generale di pentimento e di umiltà, consapevole che senza l’ausilio speciale di Dio tutti i nostri migliori sforzi sono vani, che la nostra lotta non è già uno strumento, ma una condizione di salvezza. Ciò che, però, chiedeva con inflessibilità era la totale sottomissione alla Chiesa. (Amvrosij di Optina, Credere nella grazia rinnovatrice e nella scintilla di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-23T22:26:56+02:00da fraternidade
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