Giorno per giorno – 21 Ottobre 2020

Carissimi,
“Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 39-40). Torna anche oggi la domanda: come riempiamo il tempo dell’attesa? E in più: come sapere l’ora in cui può giungere il Figlio dell’uomo? Come ci relazioniamo a cose e persone? L’attesa, lo abbiamo già visto ieri, è l’attesa della venuta di Lui, il Figlio dell’uomo. Stamattina, ci dicevamo che c’è una lettura della Parola, con le immagini che essa a volte utilizza, ingenua e fantasiosa, ma alla fine innocua, che lascia le cose come stanno, o addirittura le peggiora, ricalcata pari pari sul linguaggio necessariamente allegorico cui ricorre la Scrittura per dire le cose ultime, o comunque sottratte all’immediatezza umana. E c’è invece una lettura che si fa carico di trasporre nella fatica del quotidiano il messaggio veicolato, spogliato del suo rivestimento simbolico, che si sforza di essere aderente al messaggio incarnato da Gesù, testimone inequivocabile dell’amore incondizionao del Padre. Così dimenticato dagli interessati propalatori di una religione del terrore (il “fermi tutti, Cristo sta tornando”, così caro a certa destra religiosa e anche non), perfettamente funzionale al mantenimento di equilibri sociali che garantiscano il [dis]ordine vigente. Detto questo, come che possa essere in futuro, il ritorno del Figlio dell’uomo si dà, è cioè testimoniato, ogni volta, nel momento presente. Nell’agire come l’amministratore fedele e saggio della parabola, proposta nel vangelo di oggi, che distribuisce a tutti, a tempo debito, la loro razione di cibo (cf Lc 12, 42). Espresssione della cura che tutti dobbiamo avere nei confronti di tutti. Il che può anche richiamare, nella sua versione sacramentale, l’Eucaristia, a patto che questa sia poi, subito, tradotta in una pratica di comunione, giustizia e solidarietà, nelle relazioni umane. Se no, sarebbe come prendere un cappuccino al bar.

Oggi, il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria dei Martiri ebrei dei pogrom nell’Impero russo.

Al fallimento della prima rivoluzione russa, nel 1905, fecero seguito in numerosi distretti dell’impero russo, dalla Polonia all’Oceano Pacifico, violenti pogrom contro la popolazione ebraica. Devastazioni e massacri di questo genere si erano già avuti nei quarantanni precedenti e, in tempi più ravvicinati, nel 1903, a Kišinev (oggi Chișinău, in Moldavia). Sebbene tali “spedizioni punitive” fossero accreditate come reazioni spontanee della popolazione verso gli usi religiosi ebraici, esse furono in realtà largamente sfruttate dal governo per convogliare verso l’intolleranza religiosa e l’odio etnico la protesta di contadini e lavoratori salariati sottoposti a dure condizioni di vita. Si calcola che negli ultimi dieci giorni di ottobre vi furono una cinquantina di “grandi” pogrom e circa seicento “piccoli” pogrom. I più sanguinosi si ebbero a Bogopol, Aleksandrovsk, Jusovka, Golta, Mariupol, Tomsk, Olviopol, ma soprattutto a Odessa, dove i morti furono almeno 800, migliaia i feriti, e migliaia le case di ebrei distrutte o saccheggiate. Testimoni oculari dichiararono che “gli autori delle devastazioni, brutalmente e indiscriminatamente, picchiavano, mutilavano e assassinavano ebrei inermi, uomini, donne e bambini. Scagliavano le loro vittimi fuori dalle finestre, violentavano, squarciavano il ventre alle donne gravide, massacravano bambini davanti ai loro genitori”. I pogrom erano spesso pubblicizzati con volantini di questo tenore: “Cari fratelli, nel nome del nostro Salvatore che ha versato il suo sangue per noi e nel nome del nostro amatissimo zar pieno di attenzioni per il suo popolo, gridiamo: “abbasso i Jid!”, addosso a questi aborti infami, a queste sanguisughe avide di sangue! Venite in nostro aiuto, lanciatevi sugli sporchi Jid, siamo già numerosi”. Furono gli ultimi pogrom nella Russia zarista che preferì optare negli anni successivi per la tattica dell’agitazione a freddo. Nel decennio 1906-1916 furono pubblicati 2837 libri ed opuscoli a carattere antisemita e il contributo finanziario dello zar Nicola II (canonizzato dalla Chiesa ortodossa nell’anno 2000) superò i 12 milioni di rubli.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.3, 2-12; Salmo (Is 12, 2-6); Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria dei Martiri ebrei dei pogrom nell’Impero russo, vi proponiamo una toccante citazione di Henri Marx, tratta dalla “Anthologie juive. Des origines à nos jours”, curata da Edmond Fleg. Noi la troviamo nel bel volume della Comunità di Bose “Il libro dei Testimoni” (Paulus). Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I soldati, per saccheggiare agevolmente il suo negozio, han legato il vecchio ebreo ai chiodi appesi al muro. La moglie e il bambino lo aspettano in un luogo sicuro. Egli ha freddo. Il suo dolore gli fa salmodiare un cantico. Ma i soldati, umiliati dal fervore dei suoi occhi socchiusi e della sua voce tremolante, desiderano un supplizio con cui lenta sarà la sua morte, per vincere nella sua carne lo spirito puro del sognatore… Gli bruciano i capelli, gli arpionano le pallide mani: un capo si accosta per sentirlo rantolare, e la sua frusta sferza gli occhi al moribondo. Ma lui pensa a coloro che senza timore se ne andranno verso l’Eden, verso Sion, verso la montagna santa, e pregheranno Adonai con il loro cuore umile e buono. (Henri Marx in E. Fleg, Anthologie juive. Des origines à nos jours).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-21T22:43:08+02:00da fraternidade
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