Giorno per giorno – 16 Ottobre 2020

Carissimi,
“Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti” (Lc 12, 1-3). Il vangelo di ieri si concludeva con farisei e scribi che, uscito Gesù dalla casa dove era stato invitato a consumare un pasto che era finito per andare a tutti di traverso, “cominciarono a trattarlo ostilmente e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca” (Lc 11, 53-54). E quello di oggi si apre con “Radunatesi migliaia di persone (allusione forse ai futuri discepoli) che si calpestavano a vicenda (le lotte interne della chiesa?)” (v.1), Gesù cominciò a parlare ai discepoli, mettendoli in guardia sul lievito dei farisei, cui, più avanti, contrapporrà il lievito del regno di Dio (cf Lc 13, 21). In entrambi i casi, il lievito rappresenta ciò che, quasi invisibile e nascosto, porta la pasta a fermentare e crescere. Sotto quale segno, lo dirà concretamente la nostra vita: se dell’egoismo, del dominio e della sopraffazione, o del dono di sé, del servizio, della croce. Ora, la testimonianza della croce, condurrà quasi sempre a persecuzioni. E tuttavia non sono queste, né la morte a cui possono portare, che dobbiamo temere. Siamo in buone mani, le mani dell’Abbà di Gesù. Se dobbiamo temere qualcuno, è chi ha il potere, dopo averci ucciso (non certo Dio, che “non ha creato la morte”, Sap 1, 13), di gettare anima e corpo nell’immondezzaio della storia: l’Avversario e la sua semente, il lievito del Sistema-mondo. Beh, non si può dire che ci manchino gli avvertimenti. Ora, è solo farne tesoro.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Rabbi Nachman di Bretzlav, mistico ebreo, e di Agostino Thevarparampil, piccolo prete al servizio dei dalit, gli intoccabili.

Rabbi Nachman di Bretzlav, pronipote del famoso Baal Shem Tov, nacque il 4 aprile 1772 a Medzibor, e fu un alunno piuttosto distratto e svogliato. Sposatosi poco più che ragazzo, visse, da giovane, una fase di rigoroso ascetismo, rifuggendo da ogni piacere, praticando il digiuno e concentrando tutta la sua attenzione sul solo Nome di Dio. Riuscendo tuttavia a fare tutto ciò con genuina e profonda allegria dello spirito. Ben presto, la fama della sua santità gli attirò schiere di discepoli. Innamorato della natura, insegnava loro a contemplare Dio nella bellezza del creato e diceva: “Quando pregate nei campi, è tutto il mondo delle piante che viene in vostro aiuto e dá forza alle vostre preghiere” e ancora: “Venite, e vi mostrerò una nuova strada verso il Creatore. Non attraverso la parola, ma attraverso il canto! Cantiamo, e il Cielo ci comprenderà!”. Ma ammoniva anche: “Bada bene che tu sei là dove sono i tuoi pensieri. Fai attenzione che i tuoi pensieri siano dove tu vuoi essere”. Uno degli elementi centrali del suo insegnamento, era l’insistenza sul bisogno di essere sempre contenti, di non lasciarsi mai abbattere, di non avere mai paura. Spiegava che l’unico vero peccato è la tristezza e lo scoraggiamento che gelano il cuore di una persona che ha commesso un’infrazione morale o alla quale è successo qualcosa di brutto. La depressione è la radice di ogni peccato successivo, in quanto convince la persona di non essere capace di allontanarsi dalla falsa strada, di non essere capace di fare altro che errori, di non meritare nulla se non disgrazie e punizioni. Nel 1798, dopo un breve viaggio in terra d’Israele, si stabilì a Bretzlav, dove il suo insegnamento gli procurò la simpatia della gente più semplice, che egli invitava a servire Dio con la fede innocente dei bambini, ma anche l’avversione di numerosi altri rabbini. Amareggiato da tali dispute, si trasferì a Uman, dove, l’anno seguente, durante la festa di Sukkot, il 18 Tishri 5571 (16 ottobre 1810), morì di tubercolosi, all’età di 38 anni, senza nominare un successore. Il suo insegnamento e la sua figura, lungi dall’essere dimenticati, continuarono a ispirare le successive generazioni e, ancora oggi, migliaia di pellegrini si recano ogni anno sulla sua tomba a Uman.

Agostino Thevarparampil era nato a Ramapuram, nello stato indiano del Kerala, il l° aprile 1891. Terminati gli studi, era entrato in seminario e fu ordinato sacerdote il 17 dicembre 1921. Da allora il suo nome sarebbe stato solo Kunjachan, che nella lingua malayam significa “piccolo prete”, a causa della sua bassa statura. Dopo un breve periodo in cura d’anime a Kadanad, nel marzo 1926 fece ritorno a Ramapuram. Qui venne a contatto con il mondo degli ‘intoccabili’, gli appartenenti alle classi sociali più basse, quelli che Gandhi chiamava Harijan, figli di Dio, che oggi vengono detti Dalit. Agostino decise di dedicare la sua vita per migliorare le loro condizioni e per evangelizzarli. Uomo di preghiera, amante della vita semplice e povera della sua gente, visse in mezzo a loro per quasi mezzo secolo, morendo, dopo una grave malattia, il 16 Ottobre 1973.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.1, 11-14; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.12, 1-7.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Oggi si celebra la Giornata mondiale dell’Alimentazione, con cui la FAO (Food and Agriculture Organisation) ricorda, ogni anno, la data della sua fondazione, avvenuta il 16 ottobre 1945. Vuole richiamare la nostra attenzione sul dramma della fame, della denutrizione, della sottoalimentazione e delle malattie che ne derivano. Le stime più recenti portano il numero di persone che soffrono la fame a circa 935 milioni. Diversi studi indicano che la fame nel mondo non è determinata dall’aumento della popolazione, né da un’insufficienza nella produzione di alimenti, dato che il processo della modernizzazione agricola, conosciuto come la Rivoluzione Verde, ha permesso un aumento dell’offerta mondiale di alimenti pro capite. Il grande problema della fame è conseguenza invece dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e del basso reddito di ampie fasce della popolazione.

“C’era il coprifuoco per tutta Roma, e una bella notte, eravamo a casa, saranno state le tre o le quattro del mattino, quando si cominciò a sentire un rumore, un vociare. Nel ghetto dove abitavamo, i palazzi si affacciavano su una via lunga e stretta, così sporgendosi dalla finestra mio padre vide molte famiglie ebree scendere in strada coi tedeschi. Venivano portati via. La gente usciva anche dal nostro portone, presto ci rendemmo conto di quello che stava succedendo: i tedeschi stavano portando via tutti. La nostra casa era grandissima, c’erano quattro stanze, i soffitti alti, erano belle, bellissime case, e grandi, c’erano poi due stanze, delle quali una entrava dentro l’altra, per cui pensammo di metterci tutti in quest’ultima stanza, lasciando tutto aperto, così se i tedeschi entravano avrebbero visto una casa vuota, disabitata. E così abbiamo fatto. Ma a quel punto mia sorella, la più piccola, mentre noi stavamo dietro le persiane a guardare quello che succedeva, presa dal panico è scappata, è scesa giù (abitavamo al terzo piano), e all’ultima rampa di scale, prima di uscire, trovandosi due tedeschi davanti, ha avuto paura ed è tornata indietro verso di noi. Questi l’hanno seguita, e così ci hanno trovato”. È il ricordo che Settimia Spizzichino ci ha lasciato di “quella mattina” del 16 ottobre 1943, quando, alle cinque e trenta, ebbe inizio il Rastrellamento degli ebrei di Roma ad opera delle truppe naziste. Dei 1024 ebrei, uomini, donne, vecchi, ragazzi, bambini, inviati ad Auschwitz, solo 16 sopravvissero, di cui un’unica donna, Settimia Spizzichino, appunto. Nessuno degli oltre 200 bambini. Sarà bene ricordarsene, se è vero com’è vero che “Non c’è futuro senza memoria. Coloro che non hanno memoria del passato sono destinati a ripeterlo”.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una citazione di Rabbi Nachman di Bretzlav. Tratta da “Likouté Moharan” (www.anzarouth.com), la raccolta di insegnamenti curata dal suo discepolo Rabbi Nathan, è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tutto ciò che fa difetto all’uomo, che sia in rapporto ai figli, al sostentamento o alla salute, è dovuto alle sue azioni, perché la luce di D-o benedetto prodiga continuamente la Sua abbondanza all’uomo, il quale però con le sue pessime azioni produce un’ombra su di sé, in modo tale che la luce di D-o benedetto non gli arriva. E l’ombra che fa da schermo alla luce di D-o benedetto è commensurata ai suoi atti, e l’uomo si merita così una carenza proporzionale all’atto che ha generato quell’ombra. E infatti l’ombra è generata da un oggetto materiale che fa da schermo a qualcosa di spirituale (cioè meno tangibile di lui): per esempio, il legno o la pietra schermano la luce della luna e del sole e causano un’ombra e così pure le eclissi di sole o di luna per via dell’ombra della Terra; e anche il sole stesso, rispetto a ciò che è sopra di lui è materiale e gli fa schermo. Perciò l’uomo secondo la sua materialità e secondo le sue azioni genera un’ombra su sé stesso che impedisce alla luce e alla prosperità di D-o benedetto di giungere a lui. Ma se un uomo annulla sé stesso, al punto di non fare nemmeno parte di questo mondo, allora non fa più ombra e riceve la luce da D-o benedetto. E ciò che più conta nella luce di D-o benedetto è l’onore, perché tutto ciò che il Santo, benedetto Egli sia, ha creato, l’ha fatto unicamente per il Suo onore, come è detto (Isaia 43, 7): “L’ho creato in Mio onore”. E questo è il significato di (Isaia 6, 3): “Tutto il mondo è pieno del Suo onore”, cioè se il Signore riempie con il Suo onore tutto il mondo e se un uomo annulla il proprio onore, allora riceve la luce di D-o benedetto, che è l’onore [con cui riempie il Mondo]. E così si spiega il versetto (Proverbi 3, 35): “I Saggi erediteranno l’onore” e il versetto (Giobbe 28, 12): “Perché la saggezza verrà dal nulla”. Cioè i saggi che non hanno nessuna considerazione di sé stessi ricevono quell’onore perché, non avendo nessuna materialità, non fanno nessuna ombra che possa frenare [la luce], come spiegato in precedenza. E quando D-o benedetto mostra un volto sorridente, il mondo riceve vita e bene; e quando fa il contrario, succede il contrario, che D-o ce ne scampi. Così lo Tzaddik [il Giusto]: quando mostra un volto sorridente è un bene, altrimenti è il contrario. E questo è il significato del versetto (Deuteronomio 30, 15 ): “Vedi, ho posto davanti a te la vita e il bene, la morte e il male”. Infatti, “davanti a te” significa “sul tuo volto”. (Rabbi Nachman di Breslov, Likouté Moharan n.172).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-16T22:02:24+02:00da fraternidade
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