Giorno per giorno – 12 Ottobre 2020

Carissimi,
“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: Riempite d’acqua le giare” (Gv 2, 3-7). Strano che questo primo segno compiuto da Gesù non abbia suggerito una sua festività specifica, e, comunque, la Chiesa brasiliana ha in qualche modo rimediato, facendone il vangelo della festa di N. S. Aparecida, patrona del nostro Paese. Un “miracolo inutile e sconcertante” che, letto così, non manca di scandalizzare molti degli amici neopentecostali e, ancor più, il più rinomato fondatore di una delle loro chiese, quel vescovo Edir Macedo, che anni fa si è fatto latore di una pubblica protesta presso Dio. E, invece a noi pare bellissimo: un Dio che, con sua madre, si preoccupa della gioia dei suoi figli, che nella loro unione celebrano niente meno che la sua più vera immagine (“Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”, Gen 1, 27), e, insieme, le sue nozze con l’umanità. Ed è di qualche scampolo di allegria che, ogni anno, e più volte all’anno, va alla ricerca anche la nostra gente nei suoi pellegrinaggi ai vari santuari, compreso quello, piccolino, che sorge a una dozzina di chilometri dalla nostra città (quest’anno no, per via della pandemia). Con Gesù che chiede ogni volta a sua madre (come sarebbe meglio tradotto dall’originale): io e te cosa possiamo fare? E, più liberamente o intuitivamente: Non sarà che è già giunta la mia ora? E lei: chiaro! Ogni ora è la tua ora. Poi rivolta ai suoi fedeli: voi però fate quello che vi dirà. E si torna una volta di più al tema dell’ascolto della Parola. Che ci garantisce il “vino migliore”, quello che non avremmo mai immaginato, che compie i nostri desideri in eccesso, e ci ubriaca d’amore.

In Brasile, oggi, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.

Contrariamente a quello che può far pensare il nome (aparecida = apparsa), non si tratta della storia di un’apparizione mariana. La piccola statua in terracotta della Vergine Madre di Gesù, che è venerata in Brasile con questo titolo, fu trovata da alcuni pescatori nelle acque del fiume Paraíba nell’anno 1717, nell’entroterra dello Stato di São Paulo, a 160 chilometri dalla capitale. Per quasi vent’anni restò custodita, con affetto e devozione, nella casa di uno dei pescatori. Nel 1737 fu deciso di collocarla in una cappella. Più tardi, nel 1745, fu costruita una chiesa, poi una basilica (1888), fino a giungere alla basilica attuale, consacrata nel 1980, meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.

Elizabeth Gurney era nata a Norwich, nel Norfolk, in Inghilterra, il 21 maggio 1780, in una famiglia quacchera. Diciottenne, durante un culto della Societa degli Amici, dall’amica Deborah Darby si era sentita rivolgere le parole: “Tu sei nata per essere luce per i ciechi, parola per i muti, piede per gli zoppi”. Ora, lei sapeva che quello non era semplicemente un messaggio della sua amica, ma la voce dello Spirito. Però non sapeva bene come e da dove cominciare. Decise di aprire una scuola domenicale, in casa. Dapprima fu solo per un ragazzino del vicinato, ma presto sarebbe stata una banda di un’ottantina di elementi ad invaderle la casa. La ragazza dava loro da mangiare, vestiti, e gli insegnava a leggere usando la Bibbia. A vent’anni sposò Joseph Fry, banchiere e anche lui quacchero osservante e si trasferì nella sua casa, nei pressi di Londra. Insieme ebbero undici figli, ma lei potè ugualmente diventare predicatrice famosa in seno alla Società. Nel 1812 fu per la prima volta a visitare la prigione femminile di Newgate e ne fu sconvolta. Le detenute vivevano ammucchiate coi loro bambini in piccole celle, dove dormivano sul pavimento, cucinavano da sé quel che potevano e provvedevano al bucato. Cominciò allora a dedicarsi alla missione di alleviare le condizioni di vita di quelle infelici, non solo a Newgate, ma presto in tutto il Paese e più tardi nel resto dell’Europa, sollevando il problema della riforma del sistema penitenziale. Nel frattempo, Elizabeth contribuì a creare un rifugio per i senzatetto, a Londra, fondò un’associazione di volontari con la finalità di visitare i quartieri più poveri, offrendo soluzione ai casi più difficili, aprì una scuola per infermiere, e via di questo passo. Poi, sessantacinquenne, il 12 ottobre 1845, riposò in pace.

Luigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli, di una famiglia che conobbe la sofferenza, le umiliazioni e lo sfruttamento della condizione propria degli emigrati. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, ed esercitò il suo primo incarico pastorale nelle parrocchie di borgata. Nel 1958 si recò in Belgio per approfondire i temi della pastorale del lavoro e per conoscere da vicino le condizioni di vita e di sfruttamento degli emigrati italiani che lavoravano nelle miniere del posto. Nel 1964 fu nominato responsabile dell’Ufficio pastorale della diocesi. Ricoprendo questo ufficio, organizzò nel 1974 il convegno “sui mali di Roma”, che denunciò la pessima amministrazione democristiana della città, nonché l’ostilità e l’indifferenza di gran parte della comunità cristiana nei confronti dei poveri. Nel 1979 diede vita alla Caritas Diocesana di Roma. Scontrandosi con la resistenza e l’aperta avversione di numerosi ambienti, dedicherà gli anni successivi ad organizzare servizi che rispondessero alle necessità delle categorie più deboli ed emarginate della popolazione: anziani, malati, senza tetto, nomadi, immigrati, tossicodipendenti e aidetici. La sua azione si estese oltre i confini della sua diocesi e del suo Paese: in Irpinia, in Armenia, nel Sud Est Asiatico, in Palestina e in Albania. Nell’estate del ’97, fu ricoverato all’Ospedale S. Raffaele di Milano per una crisi cardiaca. Il 12 ottobre 1997, una nuova crisi ne provoca la morte. Aveva detto un giorno: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Lui l’ha fatto.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Don Luigi Di Liegro, che troviamo nel sito della Fondazione che porta il suo nome. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I nostri spiriti ottusi hanno fatto dell’aiuto ai poveri una sorta di dovere moralizzante che consiste nel “fare la carità”, nell’essere solidali. Ma la solidarietà, come la carità, sono un’altra cosa. Prima di essere un dovere, sono uno stato di fatto, una constatazione. Significa sentirsi legati a qualcuno, condividere la sua sorte, mettersi nei suoi panni, compatire, cioè “patire con”. (Don Luigi Di Liegro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-12T22:48:01+02:00da fraternidade
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