Giorno per giorno – 10 Ottobre 2020

Carissimi,
“Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! Ma egli disse: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11, 27-28). Semplice coincidenza che questo vangelo cada proprio l’antivigilia della festa di Nostra Signora Aparecida, patrona del Brasile. E quella donna che si mette a gridare in mezzo alla folla potrebbe essere considerata un po’ come l’antesignana delle schiere di devoti che si è conquistata lungo i secoli la madre di Gesù. Il quale, con la sua risposta, sembra correggere un certo devozionismo, giocato solo sull’ammirazione per la figura di Maria (e sulla volontà di ingraziarsela, quasi che Gesù fosse di suo meno buono di lei), riportando l’attenzione all’attitudine della madre nei confronti del mistero del Figlio: “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19. 51). Come dire che il Signore ha bisogno non di devoti, ma di discepoli, che ascoltano la sua Parola, la custodiscono, e la mettono in pratica. Così, possiamo sostenere che Maria generò suo Figlio, non solo alla nascita, ma lungo tutta la vita, fin sotto la croce, divenendo così modello di ogni altro discepolo e discepola, chiamati, nell’ascolto-testimonianza della Parola, a generare in ogni tempo Gesù al mondo.

Tre sono le memorie che il nostro calendario ci propone oggi: Jules Monchanin (Swami Parama Arubi Anandam), precursore del dialogo tra cristianesimo e induismo; Michele Pellegrino, pastore e profeta di una Chiesa rinnovata, Daniele Comboni, missionario del Regno in Africa.

La vita di Jules Monchanin, nato a Fleurie, in Francia, il 10 aprile 1895, fu quella di un pioniere dell’incontro tra le religioni, vissuta fino al limite delle sue possibilità fisiche, psicologiche, intellettuali e culturali. Ordinato presbitero, nel 1938 si trasferì nell’India del Sud, dove si mise a disposizione della Chiesa di Tiruchirapalli. Dopo qualche anno, assieme a Henri Le Saux, fondò l’ashram della Trinità, assumendo il nome di Swami Parama Arubi Anandam (= Felicità dello Spirito Santo). Monchanin credette profondamente che la spiritualità hindu potesse arricchire e vivificare il cristianesimo. Fermamente convinto, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale che la missione del cristiano fosse quella di stabilire una relazione dialettica con il pensiero scientifico moderno e con le altre religioni, dedicò tutto se stesso a questo fine. Alla fine dell’agosto 1957 gli fu diagnosticato un tumore e gli fu suggerito di tornare in Francia per essere operato. Fu ricoverato all’ospedale Saint-Antoine di Parigi, stremato e ridotto a 42 kg di peso. Lo stato di avanzamento della malattia, rese impossibile operarlo, e Monchanin, il 10 ottobre 1957, dopo aver ricevuto il viatico, stese le braccia in forma di croce come estremo gesto di offerta e dopo alcune ore spirò dolcemente.

Michele Pellegrino era nato a Centallo (Cuneo) il 25 aprile 1903. Sacerdote a soli 22 anni nella diocesi di Fossano, fu professore di Letteratura cristiana antica e di Storia del cristianesimo all’Università di Torino, fino a quando, nel 1965, papa Paolo VI lo chiamò alla guida della Chiesa torinese. L’amore per la Parola di Dio e la profonda conoscenza dell’insegnamento dei Padri, ne fecero un pastore sensibilissimo, sollecito e coraggioso di fronte alle necessità e alle sfide inedite che via via si manifestavano nella comunità dei fedeli e nella società civile del tempo. Rassegnate le dimissioni, nel luglio del 1977, continuò negli anni successivi ad impegnarsi in Italia e all’estero sui temi dell’attuazione del Concilio, della povertà, della comunione, del dialogo interreligioso e della libertà nella comunità dei credenti in Cristo. Colpito da ictus cerebrale, l’8 gennaio 1982, paralizzato e reso afono, chiese di passare quanto gli restava da vivere tra gli ultimi degli ultimi, al Cottolengo. Lì si spese leggendo i Padri della Chiesa, sgranando senza sosta il rosario, visitando, sorridendo e benedicendo gli altri malati. Fino a che la morte lo colse la mattina del 10 ottobre del 1986.

Daniele Comboni era nato in una povera famiglia contadina, quarto degli otto figli di Domenica e Luigi Comboni, a Limone sul Garda (Brescia) il 15 marzo 1831. Durante gli studi a Verona aveva maturato la sua vocazione, che lo portò, completati gli studi di filosofia e teologia ad essere ordinato sacerdote nel 1854 e a partire, tre anni dopo, per la sua prima missione in Africa, con destinazione Khartoum, la capitale del Sudan. Da lì scrisse ai genitori: “Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa”. Tornato in Italia, elaborò nel 1864 un Piano per la rigenerazione dell’Africa, sintetizzabile nello slogan “Salvare l’Africa con l’Africa”, espressione della sua fiducia incrollabile nelle risorse umane e religiose delle popolazioni africane. Sull’onda di questa sfida, fondò, nel 1867 e nel 1872, l’Istituto maschile e l’Istituto femminile dei suoi missionari, che saranno conosciuti in seguito come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane. Nominato Vicario apostolico dell’Africa Centrale e consacrato vescovo nel 1877, dedicò i suoi ultimi anni con instancabile energia a battersi contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l’attività missionaria con gli stessi africani. Il 10 ottobre 1881, a soli cinquant’anni, stroncato dalle fatiche e dalla malattia, moriva a Khartoum, tra la sua gente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.3, 22-29; Salmo 105; Vangelo di Luca, cap.11, 27-28.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

“L’ottavo giorno terrete la santa convocazione e offrirete al Signore sacrifici consumati con il fuoco. È giorno di riunione; non farete alcun lavoro servile” (Lv 23, 36). Per i nostri fratelli ebrei oggi, 22 di Tishri, è Sheminì ‘Atzeret (l’ottavo [giorno] dell’adunanza). In Israele coincide con la Festa di Simchat Torah (la Gioia della Legge), che, nelle comunità della diaspora è invece celebrata domani. In questo giorno durante il Mussaf, l’ufficio supplementare previsto dalla Bibbia per i sabati e le feste, viene introdotta la preghiera per la pioggia, che sarà ripetuta tutti i giorni, fino a Pasqua, nell’Amidà (“in piedi”), la preghiera per eccellenza della liturgia sinagogale. Quanto a Simchat Torah, ci proponiamo di riparlarne domani.

È tutto, anche per stasera. E noi ci si congeda, offrendovi in lettura un brano della lettera pastorale “Camminare insieme”, che il Card. Michele Pellegrino diresse alla Chiesa di Torino. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È dovere della Chiesa – di tutta la Chiesa e anzitutto di coloro a cui spetta in primo luogo l’ufficio profetico come maestri autentici della fede, i vescovi e i presbiteri, loro immediati collaboratori – denunciare l’abuso del denaro o del potere, così come si denunciano (o si dovrebbero denunciare) tutti i peccati: la bestemmia, l’adulterio, il furto… Non dico, anzi non lo credo, che la denuncia basterà a eliminare quest’abuso, questo peccato che lede la giustizia e la carità fraterna. Ma Dio non ci chiede di eliminare dal mondo il peccato. Ci chiede di denunciarlo, come l’ha denunciato Cristo, come l’ha denunciato Giovanni Battista, e prima, i profeti dell’Antico Testamento, e poi, nella storia della Chiesa, i santi e i profeti che non sono mai mancati. D’altra parte, sono le stesse voci del magistero che ci invitano a questo. lo temo che le voci profetiche del magistero in questo campo non abbiano nella predicazione e nella pastorale quotidiana la risonanza che dovrebbero avere. […] Accanto alla denuncia dell’abuso del denaro e del potere, dobbiamo pure denunciare quel consumismo nel quale si esplica un’altra forma immorale di potere, mascherato ma non meno deleterio, che invece di cercare il vantaggio dell’uomo, proponendogli quello che veramente giova per le sue necessità reali e per il suo sviluppo, cerca unicamente di sfruttarlo a beneficio della produzione e del capitale, attentando alla sua libertà e minando le sue strutture propriamente umane. Come per tutte le forme del male che alligna nell’uomo e nella società, non basterà fermarsi alle manifestazioni esterne vistose. “L’egoismo e il dominio sono, fra gli uomini, tentazioni permanenti. È pertanto necessario un discernimento sempre più avvertito per togliere alla radice le situazioni che sono frutto d’ingiustizia e per instaurare progressivamente una giustizia sempre meno imperfetta”. La denuncia del peccato e delle situazioni di palese ingiustizia dovrà essere confermata dalla testimonianza personale di giustizia e di solidarietà. Occorre cercare insieme le mete che il cristiano si deve proporre e i mezzi che lo debbono sostenere nel cammino per l’attuazione della giustizia. Sarà impegno dei credenti inserirsi concretamente nelle vicende umane con l’attività sociale e politica svolta nelle forme richieste dalla vocazione di ciascuno, “per far evolvere le strutture e adattarle ai veri bisogni presenti”.(Michele Pellegrino, Camminare insieme n.10).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-10T22:54:05+02:00da fraternidade
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