Giorno per giorno – 03 Ottobre 2020

Carissimi,
“I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome. Egli disse loro: Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 17-18. 20). Una pagina che straripa gioia quella che ci ha proposto il Vangelo di oggi, che racconta l’allegria dei discepoli e l’esultanza di Gesù, a sua volta riflesso dello sguardo di compiacenza del Padre. Ogni giorno, di ritorno dalla missione quotidiana cui siamo inviati, noi si dovrebbe poter dire al Signore, pieni di gioia, la stessa cosa dei discepoli di allora, consapevoli di essere riusciti a sottomettere i demoni dell’egoismo nelle nostre relazioni, scelte, attività. Nella speranza che, in prospettiva e spaziando più in grande, possa giungere il giono in cui Gesù risponda anche a noi di aver visto precipitare come una folgore Satana, l’idolo del Potere che domina la terra sotto vari nomi – oggi, neoliberismo, mercato, nazionalismo, sovranismo, populismo, razzismo – non esitando a utilizzare spesso parole e simboli di una fede prostituita a ideologia identitaria “contro” gli altri. Nell’attesa di questo, non resta che continuare, o cominciare, a testimoniare nel nostro piccolo ciò che costituisce la volontà e la gioia del Signore: vivere nella dimensione del dono, praticando il perdono. Insistentemente. In vista di un mondo “altro”.

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, di Maria Magdalena Enriquez, difensora dei diritti dei poveri e martire in El Salvador, e di Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi.

George Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI. Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

Di Maria Magdalena Enriquez, sappiamo solo che apparteneva alla Chiesa Battista e lavorava a tempo pieno alla “Commissione per i diritti umani”, creata a San Salvador, nell’aprile del 1978, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove e testimonianze sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani. Magdalena riceveva le persone per le denunce, raccoglieva la documentazione in merito, teneva i contatti con le autorità e con la Chiesa. Il 3 ottobre 1980 venne rapita e uccisa. Il suo cadavere fu ritrovato alcuni giorni dopo sepolto vicino al mare, a oriente della città e del porto.

Antonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese, volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte, quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi, o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap.42, 1-3.5-6.12-17; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.10, 17-24.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

I nostri fratelli ebrei sono entrati ieri sera al tramonto nella festività di Sukkoth (le Capanne), che si protrarrà per sette giorni. Ricorda i quarant’anni che il popolo ebreo trascorse nel deserto, dopo l’uscita dalla schiavitù in Egitto. In questa occasione ogni famiglia costruisce una capanna, coperta di rami e di frasche, che lascia intravvedere il cielo, a simboleggiare la nostra disponibilità a lasciare che la luce di Dio entri sempre nelle nostre case e nelle nostre vite. Al suo riparo vengono consumate tutte le refezioni. Sukkoth costituisce, assieme a Pesach (Pasqua) e Shavuoth (Pentecoste), la terza delle feste di pellegrinaggio. Rappresentava anche la festa del raccolto autunnale. Il Levitico prescrive a suo riguardo: “Il quindici del settimo mese (ora Tishri è il primo mese), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni; il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l’ottavo giorno. Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv 23, 39-40). In base a quest’ordine si prepara il “lulav”, composto da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e, a parte, un frutto di cedro senza difetto. Tradizionalmente le quattro specie di vegetali del lulav simboleggiano i quattro diversi tipi di persone presenti nella comunità: alcuni sono sapienti e generosi (come il cedro, che è profumato e dà frutti buoni), altri sono sapienti, ma non generosi (come il mirto, che è profumato, ma non dà frutti), altri generosi, ma non sapienti (come la palma, che non profuma, ma dà frutti dolci e nutrienti), altri, infine, che non sono sapienti né generosi (come il salice che non profuma, né dà frutti). Dopo la benedizione in sinagoga, il “lulav” viene agitato in direzione dei quattro punti cardinali, perché la benedizione di Dio possa raggiungere tutto il mondo. Il settimo giorno della festa è chiamato “Hosha’anah Rabbah” (“Oh salvaci”), una sorta di ultima chance per ottenere il giudizio favorevole di Dio, rimasto eventualmente in sospeso nello Yom Kippur.

Oggi, si commemora lì da voi la Giornata nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, istituita per legge nel 2016 per onorare i 368 rifugiati e migranti che sono morti nel tragico naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013, e tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo disperato di trovare sicurezza e protezione in Europa. Quel drammatico naufragio provocò dolore e indignazione, e mobilitò una risposta di ricerca e soccorso in mare senza precedenti che nel corso degli anni si è però nettamente indebolita. Dal 3 ottobre 2013 hanno perso la vita nel Mediterraneo oltre 20.000 persone.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria della martire salvadoregna Maria Magdalena Enriquez, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura un brano di Jon Sobrino, tratto dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il pieno compimento della sua missione porta la Chiesa ad incarnarsi nel mondo reale, dove si presentano il maggior conflitto e la maggior divisione: povertà e oppressione, vita e morte degli uomini, realtà alternative e irriconciliabili, che esigono una soluzione. Se la Chiesa rispondesse a questo mondo con un unico atteggiamento, non si porrebbe il problema formale della divisione ecclesiale, anche se, naturalmente, ci sarebbe da domandarsi se la reazione unitaria sia stata quella corretta. Tuttavia avviene che, mentre la Chiesa si reca in un mondo diviso, questo mondo si insinua nella Chiesa e la divide. È un fatto che, malgrado le direttive universali della Chiesa offrano una prospettiva sufficientemente coerente a proposito di quanto si debba fare e di come incarnarsi nel mondo, i diversi membri della Chiesa (fedeli, sacerdoti e vescovi) reagiscono in modo diverso e persino contradditorio al peccato del mondo: alcuni esigono un pluralismo tale da non raggiungere, in pratica, il minimo richiesto dalla gravità della situzione e dall’opzione per i poveri, altri si disinteressano di questo mondo, abbandonandolo alla sua miseria. In ciò risiede oggi, senza dubbio, la più grande sorgente di conflitti interecclesiali nell’atteggiamento della Chiesa davanti ad un mondo diviso. Si tratta di un conflitto che non può facilmente scomparire, perché la sua radice – l’opzione per i poveri – è voluta da Dio. Dio vuole – così ripetono i documenti della Chiesa – che la Chiesa si incarni nel mondo di peccato e che in questo mondo compia una scelta. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-03T22:54:13+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo