Giorno per giorno – 14 Settembre 2020

Carissimi,
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). Gesù, dal canto suo, sarà fedele a questa parola fino alla fine e oltre ogni fine. Così, l’ “Esaltazione della Croce”, che oggi celebriamo, al di là della tradizione che le ha dato origine, non è da leggere nella linea dell’esibizione di potenza o di una rivincita che si proponga la sconfitta di un qualche nemico, ma come compimento delle Beatitudini, nell’identificazione definitiva di Dio con i dannati della terra, destinatari del Regno: “Beati voi, poveri, perché Dio, nel Figlio, si è fatto tutt’uno con voi”. Ed è anche come l’alleluia per la manifestazione ultima e definitiva di un Dio che sceglie di morire, come unico modo di non smentirsi nella sua verità di amore incondizionato, rifiutandosi di opporre una resistenza che potrebbe far male a chi lo vuole morto. E non si limita a questo, ma assolve in anticipo, nella linea della deresponsabilizzazione, chi lo ha appena inchiodato al legno: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Pronto, dunque, a subire la violenza e negandosi a rispondere ad essa con le stesse armi, apre a una visione e a una verità del mondo, della storia e dell’umanità, non più soggetta al mito dell’autorealizzazione (nella forma del credere, del sapere, del vivere) degli uni a danno degli altri, ma accettando la sfida del pluralismo e del servizio nella comunione per la vita di tutti. A partire dalla testimonianza anche solo di pochi, in vista della conversione di molti. Non a una religione, ma alla vita.

Oggi, celebriamo, dunque, la festa dell’Esaltazione (o dell’Allegria) della Croce.

Un’antica tradizione vuole che, durante il regno di Costantino, sua madre, Elena, si sia recata in Palestina a cercare i luoghi più significativi della nostra fede. Avendo localizzato, uno vicino all’altro, quelli che ritenne essere i luoghi della crocifissione e sepoltura di Gesù (localizzazione che gli archeologi moderni ritengono verosimigliante), costruì lì la Basilica del Santo Sepolcro, che fu consacrata il 14 settembre dell’anno 335. La coincidenza con i giorni in cui gli ebrei celebravano la festa di “Simchat Torah” (la “Gioia della Torah”), che commemorava il dono della Legge, ne fece in qualche modo il suo corrispondente cristiano, la festa gioiosa per il dono della nuova Legge, la Croce, simbolo dell’amore che abbraccia il mondo intero.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della festa odierna e sono tratti da:
Libro dei Numeri, cap.21, 4-9; Salmo 78; Lettera ai Filippesi, cap. 2,6-11; Vangelo di Giovanni, cap. 3,13-17.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Ed è tutto, per stasera. E noi ci si congeda qui, proponendovi un brano del bel libro, scritto in occasione del Giubileo del 2000, dal gesuita Silvano Fausti, con il titolo “L’idiozia” (Ancora). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, “deve” all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri, primo dei quali è l’essere con l’amato. Non avrebbe potuto salvarci con un decreto legge, con una semplice firma, invece che con il suo sangue? Perché “questo spreco” (cf Mc 14, 4), fino a buttar via se stesso? Noi, presto o tardi, siamo in croce; se lui vuole incontrarci, “deve” venire qui. Se così non fosse, lui non sarebbe Dio e Dio non sarebbe amore. L’amore ha come unica misura il tutto. Qualunque altro suo gesto di potere non avrebbe cambiato la nostra immagine di Dio; l’avrebbe anzi confermata. Solo la croce toglie ogni dubbio: Dio è diverso, e anche noi siamo altro da ciò che pensavamo. La salvezza non è scampare dalla morte, ma scopriere che essa non è il nulla che temiamo, bensì la compagnia con lui, che ci ama e dà la vita per noi. “Ora a stento si trova uno che sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”, dice Paolo, identificandosi con questo malfattore (cf Rm 5, 7-8). Infatti mi ha amato e ha dato se stesso per me (cf Gal 2, 20). Dio non usa la bacchetta magica per toglierci i problemi, le difficoltà e la morte. Anzi, viene a dare un senso positivo a questa nostra vita, che conosce problemi, difficoltà e morte. Se lui non fosse qui con noi, il nostro morire, unica cosa di cui siamo certi, non avrebbe nessun significato. Ma neppure il vivere, che ha la morte come fine. Anche Gesù ha provato paura e angoscia, rivolgendo forti grida e lacrime perché il Padre lo liberasse; e fu esaudito dopo “aver-preso-bene” paura, angoscia, grida e lacrime (cf Eb 5, 7). Fu esaudito nel senso che visse da Figlio anche il nostro male. Per questo ci salva, perché fu il primo uomo che disse: “Sia fatta la tua volontà. Mi fido di te, Padre mio”. Pur portando la maledizione del nostro peccato, visse la morte in comunione con lui e con noi: si consegnò nelle nostre mani come nelle sue, realizzando pienamente la sua verità di Figlio e di fratello. “Prendere bene” tutto, anche il male, è divino. Il guaio nostro fu, ed è, il prendere male il bene. Gesù ce ne salva prendendo bene anche la morte, stipendio del peccato (cf Rm 6, 23). Noi ci attendiamo una salvezza che è proiezione dei nostri desideri/paure; ma è fasulla, contro la verità – siamo mortali! L’Idiozia della croce sdemonizza, oltre l’immagine di Dio e dell’uomo, anche quella di morte e, quindi, di salvezza. (Silvano Fausti, L’idiozia. Debolezza di Dio e salvezza dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Settembre 2020ultima modifica: 2020-09-14T22:13:16+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo