Giorno per giorno – 29 Luglio 2020

Carissimi,
“Gesù disse a Marta: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? Gli rispose: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11, 25-27). Vangelo ricchissimo, questo che accompagna la memoria degli amici ed ospiti di Gesù, due sorelle e un fratello, di Betania, che sarebbe anche meglio se proponesse per intero il capitolo 11 di Giovanni. Lazzaro cade malato e le sorelle mandano a chimare Gesù che, però, volutamente, tergiversa, fino a giungere quando l’amico è già morto e sepolto da quattro giorni. Sembra di sentire il lamento di molti: “Dov’è Dio?” o: “Perché Dio tarda tanto?”. Come è il caso di dona N., che proprio oggi ci telefonava per dirci la sua angoscia su Leandro, il nipote, che muore poco a poco, per le strade della capitale, vittima di una dipendenza da cui non riesce a uscire. Come già era morta di alcool, anni fa, Carmelita, rispettivamente figlia e madre. Perché Dio non arriva mai in tempo? Arriva, arriva, anche se in modi che a volte non comprendiamo subito. Sempre però attraverso altri, come nel caso di Lazzaro, attraverso suo figlio, un uomo in carne e ossa. Che, spesso, giunga in tempo, ce lo dicono le molte storie che viviamo alla chácara di recupero. Ma, ognuno ne avrebbe altrettante da raccontare. E dove non ci fosse un’uscita di salvezza “di qui”, come capita, egli addita l’ultima ed estrema “di là”, che egli si riserva, come nella parabola di Lazzaro e del ricco epulone. Ma c’è qualcosa di più importante che il racconto ci vuole rivelare. Ed è la confessione di fede di Marta nella solenne affermazione di Gesù nella sua identificazione con l’Io-sono di Dio: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (v. 25-26). Confessione che non consiste nella vuota ripetizione di una formula magica, ma nella decisione di aderire in profondità alla persona di Gesù, facendo nostro il suo agire, che consiste nel dare vita e praticare risurrezione, attraverso il dono di noi stessi, con lui, in li e per lui, per il riscatto del mondo. Questa è già vita eterna, vita divina. Viviamo noi questo?

Oggi il calendario ci porta la memoria di Marta, Maria e Lazzaro, amici e ospiti del Signore; cui noi aggiungiamo quella di William Wilberforce, politico abolizionista, e quella di Yves Lescanne, amico dei “nanga mbôkô”, martire della strada, in Camerun.

Marta, Maria e Lazzaro erano i tre fratelli di Betania, a cui, secondo il Vangelo, Gesù voleva molto bene (cf Gv 11,5) e nella cui casa il Maestro soleva ospitarsi (cf Lc 10,38ss.): esempio di fede, di accoglienza pronta, di servizio generoso, di disponibilità all’ascolto. Sant’Agostino, parlando di loro, scrisse: “Nessuno di voi dica: Beati quanti ebbero la sorte di ospitare il Signore in casa loro […], perché, di fatto, voi potete avere un uguale privilegio, dato che lo stesso Signore affermò: – Ogni volta che farete ciò ad uno dei più piccoli tra i miei fratelli, è a me che l’avrete fatto” (Agostino, Discorso 103).

William Wilberforce era nato il 24 agosto 1759 a Hull, in Inghilterra nella famiglia del ricco commerciante Robert Wilberforce. Rimase orfano di padre all’età di nove anni e, diciassettenne, fu inviato a studiare al St. John’s College a Cambridge. Dove però, agli studi seri, preferì di gran lunga l’allegro e dissipato mondo che gli si offriva fuori dalle mura. Senza tuttavia particolari eccessi, tanto che riuscì, bene o male, a laurearsi. Non avendo granché voglia di seguire le orme paterne, quasi per scherzo decise di darsi alla politica. Fu così che, nel 1780 a soli ventun anni, si candidò e fu eletto alla Camera dei Comuni. Quello scherzo si sarebbe tradotto poi in serio impegno politico e sarebbe durato cinquant’anni. Il 15 aprile 1797, conobbe Barbara Ann Spooner, e la sposò sei settimane più tardi. Insieme ebbero sei figli. Nel frattempo, la sua vita di fede aveva conosciuto una svolta decisiva. Era successo che, dopo aver trascorso la sua giovinezza senza particolari interessi in materia di religione, durante un viaggio in Francia e in Italia con Isaac Milner, suo antico compagno di università, prese a leggere la Bibbia e a trovar tempo per la preghiera. Sicché al ritorno in patria, nel 1785, maturò la decisione di un cambiamento radicale nella sua vita, che ebbe riflessi profondi anche nella sua attività politica. Nel 1787 presentò alla Camera dei Comuni una mozione per l’abolizione del commercio degli schiavi. La battaglia sarebbe durata vent’anni, ma la sua costanza fu premiata: il 25 marzo 1807 lo Slave Trade Act entrò in vigore. Certo, abolito il commercio, restava però la schiavitù. E Wilberforce continuò per molti anni le sue campagne, volte ad eliminarla. Il 26 luglio 1833, già sul letto di morte, ebbe la gioia di sapere approvata la legge che l’aboliva definitivamente. Dopo tre giorni, la mattina del 29 luglio, William Wilberforce si spense.

Di Yves Lescanne sappiamo solo che era nato in Gironda, il 20 marzo 1940, ed era un “piccolo fratello del Vangelo”, la stessa famiglia di Carlo Carretto, di Arturo Paoli e dei nostri amici della fraternità di Spello. Che ha le sue radici nella spiritualità di Charles de Foucauld. Yves viveva in Camerun, dove a partire dagli anni 70 aveva cominciato a occuparsi dei “nanga mbôkô”, i ragazzi di strada di Yaoundé, poi dei minori in carcere e di quelli che, scontata la pena, ne uscivano. Aveva così posto le basi della missione di quella fraternità. Quanti erano ragazzini allora lo ricordano duro e determinato a difenderli, ad aiutarli a ritrovare dignità e speranza, fino a rischiare spesso la vita per loro. Confidò una volta: “Forse soffriamo più noi a generare questi figli dal nostro cuore che le loro mamme dal ventre”. E ancora: “Questi problemi si risolvono in ginocchio”. Fu ucciso a colpi di scure la notte del 29 luglio 2002, a Maroua, nell’estremo nord del Camerun, da uno dei “nanga mbôkô” che la comunità aveva aiutato a trovare un lavoro, ma che poi aveva preso altre strade.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria di Marta, Maria e Lazzaro, che celebriamo e sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap.4,7-16; Salmo 34; Vangelo di Giovanni, cap.11, 19-37.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la fede, la religione, o la scelta ideale.

Ricorre oggi il secondo anniversario della morte, nel monastero di San Macario, nel deserto di Scete, di Anba Epiphanius. Nato il 27 giugno 1954 a Tanta, Egitto, il giovane Tadros Zaki Tadros, dopo gli studi in medicina, era entrato nel monastero, reso celebre da Matta el Meskin, il 17 febbraio 1984, ed era stato ordinato monaco il giorno il Sabato Santo, 21 aprile 1984, ricevendo il nome di Epiphanius. Grazie alle sue numerose qualità, gli furono presto affidate diverse funzioni a servizio della comunità: la sua grande devozione, la sua disponibilità e la sua affabilità fecero di lui il miglior candidato per curare e servire i malati. Il suo amore per la Scrittura e la Tradizione portarono anche ad affidargli la cura della biblioteca e la redazione della rivista del monastero. Nel 2002, fu ordinato presbitero e nel 2013, in seguito a un sondaggio condotto su iniziativa di papa Tawadros II, fu votato dalla maggioranza dei monaci per diventare superiore del monastero e fu per questo ordinato vescovo dal patriarca, mantendendosi tuttavia nella semplicità di sempre. Domenica 29 luglio 2018, prima dell’alba, mentre si recava in chiesa per celebrare la Risurrezione di Cristo e la Divina Liturgia, fu brutalmente assassinato da due monaci.

Il 29 luglio 2013, scompariva nel nulla il gesuita P. Paolo Dall’Oglio, rapito, a Raqqa, in Siria, forse da un gruppo di estremisti islamici vicino ad al-Qāʿida. Il religioso, fortemente impegnato nel dialogo interreligioso con il mondo islamico, è noto per aver rifondato, in Siria, negli anni Ottanta, la comunità monastica cattolico-siriaca Mar Musa (Monastero di san Mosè l’Abissino), erede di una tradizione cenobitica ed eremitica risalente al VI secolo. Noi si continua a pregare perché l’angoscia e la speranza di confratelli, famigliari e amici trovi presto una risposta.

Per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Anba Epiphanius, tratto dal suo libro “Una salvezza così grande” (San Macario Edizioni). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Cristo è venuto come splendore della gloria del Padre per dissipare la fitta nebbia che avvolgeva i cuori degli uomini e per liberarli dalle catene oscure che li avevano resi prigionieri: “Perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio” (At 26,18). È venuto per sciogliere l’assedio dell’oscurità che accerchiava le anime, per illuminare ogni anima incatenata dietro le sbarre dell’asservimento alle passioni: “Perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” (Is 42,7). È venuto per dare conforto a coloro che erano affaticati e angosciati, a coloro che erano talmente disperati da ritenere che la vita fosse una notte senza mattino, per portare i pesi di tutti i cuori schiacciati da preoccupazioni e sofferenze insopportabili, dicendo loro: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). La vera luce è venuta come energia di vita nuova per arrestare lo scorrere del peccato nell’intimo dell’uomo, per salvare tutti coloro che erano annegati negli oceani del male, per rivivificare tutti coloro che erano stati trascinati dalle correnti della morte: “Abbi pietà di me, Signore, vedi la mia miseria, opera dei miei nemici, tu che mi fai risalire dalle porte della morte” (Sal 9,1), “Io sono venuto perché abbiano la vita” (Gv 10,10). (Anba Epiphanius, Una salvezza così grande).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-29T22:00:02+02:00da fraternidade
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