Giorno per giorno – 28 Luglio 2020

Carissimi,
“Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: Spiegaci la parabola della zizzania nel campo. Ed egli rispose: Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l’ha seminata è il diavolo” (Mt 13, 36-39). Il Figlio dell’uomo, come amava definirsi Gesù, è colui che semina il buon seme, ma è anche il prototipo del buon seme, colui che è perfetto come il Padre o, come specifica il vangelo di Luca, è misericordioso come il Padre. Colui che vive la vita come servizio, e si compie sulla croce come dono per tutti. La zizzania è il contrario di tutto questo. È il vivere in funzione di sé, l’asservirsi alla logica del sistema del dominio, il credersi migliori degli altri e perciò mancare di misericordia nel giudicare, condannare, escludere gli altri. Cose che in varia misura vediamo crescere e diffondersi nel mondo che ci circonda, ma purtroppo, come abbiamo già visto nella parabola, anche dentro di noi. Sono il peccato che cresce assieme alla cosa bella che il Padre ha progettato di noi. Ma sono, proprio per questo il luogo dove possiamo sperimentare noi per primi, e perciò apprendere e praticare poi con gli altri, l’agire misericordioso di Dio. Il scegliersi egoisti e senza misericordia – il vero e più grave peccato, la negazione di Dio – non resta senza conseguenze: sarà quanto, nel giudizio finale, sarà di noi distrutto nel fuoco dell’amore di Dio “con pianto e stridore di denti” (v. 42), perché si possa finalmente vivere di amore, per amore, nell’amore. Potremmo, però, cercare di allenarci già fin d’ora.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Johann Sebastian Bach, musicista di Dio, Stanley Francisco Rother, martire in Guatemala, e Alfonsa dell’Immacolata Concezione, contemplativa in India.

Johann Sebastian Bach era nato il 21 marzo 1685 a Eisenach, in Turingia. Dopo la morte dei genitori, avvenuta in rapida successione, nel 1694-95, si trasferì presso il fratello Johann Christoph, che gli diede le prime lezioni di organo e clavicembalo. Nel 1707 divenne organista della chiesa di S. Biagio a Muhlhausen. Lì compose un gran numero di pezzi per organo e le sue prime cantate e sposò la cugina Maria Barbara, che gli darà sette figli. In seguito, fu organista alla corte di Sassonia-Weimar, poi maestro di cappella alla corte riformata del principe Leopoldo, a Kothen. Nel 1721, dopo la morte di Maria Barbara, Bach sposò in seconde nozze la giovane soprano Anna Magdalena Wulcken, che gli sarà preziosa collaboratrice e gli darà tredici figli. Trasferitosi nel 1723 a Lipsia, vi compose numerose cantate sacre e le grandi Passioni. Tra il 1730 e il 1750 si occupò della composizione della Messa in si minore e della rielaborazione di molte musiche precedenti. Nello stendere le sue composizioni, iniziava sempre ogni pagina manoscritta con le sigle “J.J.” (Jesu, juva, “Gesù, aiutami”) o “I.N.J.” (In nomine Jesu, “Nel nome di Gesù”) e, in calce ad ogni composizione, poneva le iniziali “S.D.G.” (Solo Deo Gloria, “A Dio solo la gloria”). Verso il 1749 la salute di Bach cominciò a deteriorarsi rapidamente. Giá completamente cieco, dettò L’arte della Fuga, l’ultima sua composizione, che rimase però incompiuta. Morì il 28 luglio 1750.

Stanley Francisco Rother nacque nel 1935 a Okarche, in Oklahoma. Dopo gli studi in seminario, fu ordinato sacerdote e partì nel 1968 come missionario per Santiago Atitlán, in Guatemala. Il giovane prete fu guardato subito con simpatia dagli indigeni Tzutuhil e sentito come uno di loro, tanto che gli cambiarono il nome e lui divenne padre A’plas. Senza nulla di ideologico, il prete si limitava a vivere con i suoi poveri e a volergli bene, dedicando loro tutta la sua giornata. Distribuiva cibo e medicine a chi non riusciva ad averle altrimenti, celebrava l’eucaristia (la domenica riuniva oltre tremila persone), amministrava i sacramenti, faceva catechismo, visitava i malati, accompagnava i morenti e, nei momenti liberi, andava a zappare nel campo di qualche contadino o organizzava con loro cooperative alimentari o tessili. Con l’andare del tempo, si sentì così toccato dalla fede, dalla forza e dalla semplicità degli indigeni, che non riuscì più ad immaginare la sua vita lontano da loro. Dopo che la violenza della repressione governativa raggiunse Santiago Atitlán e anche lui cominciò ad essere minacciato di morte, nel gennaio 1981, cedendo alle pressioni, fece ritorno negli Stati Uniti. Ma fu solo per poco. La Settimana Santa di quell’anno, era infatti già di ritorno tra i suoi. La situazione parve per un certo tempo tranquilla. Fino alla notte del 28 luglio, quando tre uomini mascherati entrarono nella canonica per rapirlo. Fu udito gridare: No, uccidetemi qui. E gli spararono due colpi alla testa. Dopo i funerali, la salma fece ritorno in patria, ma la famiglia accettò la richiesta che il cuore fosse sepolto nella chiesa di Santiago Atitlán.

Anna Muttathupadam era nata il 19 agosto 1910 nel villaggio di Kudamalur, nei pressi di Kottayam (Kerala, India), da Joseph e Mariam Muttathupadam. Rimasta presto orfana di madre, fu allevata da una zia materna e da un prozio prete. Sentendosi chiamata alla vita contemplativa, chiese ed ottenne di entrare tra le Clarisse del monastero di Bharnanganam, dove assumendo il nome di Alfonsa dell’Immacolata Concezione, ricevette il velo il 12 agosto 1928 e, dove, il 1° agosto 1936, fece la sua professione solenne. Purtroppo, assai presto cominciarono a manifestarsi i segni di una dolorosa malattia, che nel giro di pochi anni l’avrebbe portata alla morte. Confinata a letto, visse le sue sofferenze nel segno di un abbandono fiducioso nelle mani del Padre, certa che anche ciò che appare assurdo e intollerabile all’occhio e alla ragione umana, ha un suo senso profondo e una sua ricchezza nascosta, nella luce di Dio. Senza che mai venisse meno in lei il sorriso, si spense il 28 luglio 1946. Da allora, ogni anno, pellegrini cristiani, ma anche musulmani e induisti, continuano a recarsi alla sua tomba. È stata la prima donna indiana ad essere beatificata.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.14, 17-22; Salmo 79; Vangelo di Matteo, cap.13, 36-43.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

“Oggi l’economia è fatta, per costringere tanta gente, a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose per lo più inutili, che altri lavorano a ritmi spaventosi, per poter comprare, perché questo è ciò che da soldi alle società multinazionali, alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente. Io trovo che c’è una bella parola in italiano che è molto più calzante della parola felice, ed è contento, accontentarsi, uno che si accontenta è un uomo felice”. Lo disse, e ci pare una cosa così vera, condivisibile e praticabile, nell’ultima intervista da lui concessa, Tiziano Terzani, di cui ricordiamo oggi la scomparsa, avvenuta il 28 luglio 2004. Di lui scegliamo, nel congedarci, di proporvi lo stralcio di un suo articolo apparso sul Corriere della Sera del 2 settembre 1996, col titolo “Madre Teresa, l’angelo dei dannati”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Avevo appena spento il registratore e la stavo ringraziando per il tempo che mi aveva dedicato, quando lei, guardandomi fissa coi suoi occhi azzurri arrossati dall’età, mi ha chiesto: “Ma perché tutte queste domande?”. “Perché voglio scrivere di lei, Madre”. “Non scriva di me. Scriva di Lui…”, ha detto, alzando gli occhi al cielo. Poi s’è fermata, ha preso le mie mani nelle sue – grandi, tozze e già un po’ deformi – e, come volesse confidarmi un gran segreto, ha continuato: “Anzi, la smetta di scrivere e vada a lavorare in uno dei nostri centri… Vada a lavorare un po’ nella casa dei morenti”. Madre Teresa era tutta lì. Per due settimane non ho fatto altro che seguirla; ho passato ore nella Casa Madre sulla Circular Road, ho visitato il centro per i lebbrosi, quello per gli orfani, quello per i moribondi, la casa per i ritardati mentali e quella per le ragazze mezzo impazzite nelle prigioni. L’ho accompagnata a Guwahati, nello Stato dell’Assam, dove Madre Teresa è andata a inaugurare il primo rifugio in India per le vittime dell’Aids, un’altra categoria di disperati in questo Paese in teoria così tollerante, ma dove i pazienti che risultano sieropositivi vengono cacciati via dagli ospedali, ostracizzati dai villaggi e, una volta morti, non vengono neppure bruciati negli inceneritori comunali, ma buttati via assieme alle immondizie… S’era fatto tardi e la campana era già suonata due volte per chiamare a raccolta nella cappella al primo piano le suore e i volontari per la preghiera della sera e lei voleva andare a prendere il suo posto, inginocchiata su un pezzo di balla. A guardarla quell’ultima volta, in mezzo alla sua gente, mi pareva che le preoccupazioni che tanti “ragionevoli” si fanno sul futuro delle Missionarie della Carità fossero superflue. Se il lavoro che lei e le suore fanno non è il “loro”, ma il Suo, quel lavoro certo continuerà. Perché qui quel che più conta è credere. (Tiziano Terzani, Madre Teresa, l’angelo dei dannati).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-28T22:47:36+02:00da fraternidade
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