Giorno per giorno – 23 Luglio 2020

Carissimi,
“Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!” (Mt 13, 14-15). Gesù aveva cominciato a raccontare una parabola, quella del seminatore, alla folla che, asssiepata sulla spiaggia, stava ad ascoltarlo, come noi si fosse oggi in chiesa, ogni volta non si sa bene il perché o interessati davvero a che cosa. Sicché i discepoli, quelli che hanno già preso a seguirlo e che, pur non avendo ancora tutto chiaro, qualcosa già capiscono, gli chiedono: ma perché parli in parabole? A loro, certo, ma anche a noi che siamo qui con loro ad ascoltarti. Oggi, con la disaffezione alla pratica religiosa che si registra un po’ ovunque, non si può neanche dire che le chiese siano proprio affollate e dove lo sono, pur senza generalizzare, pare non si propongano più le parabole del Regno, ma intrattenimenti di più o meno forte carica emotiva. Perché, allora, Gesù, ai distratti, che anche noi siamo, continua, dopo duemila anni, a parlare in parabole? Forse perché si rende conto che l’annuncio del Regno, incarnato da Lui, non ci ha ancora cambiato la vita, sicché ascoltiamo, ma dimentichiamo subito, guardiamo, ma pensiamo già ad altro. Siamo, insomma, ciechi, sordi e muti, davanti alla realtà che variamente ci interpella e davanti alla Parola che ci chiede di cambiarla. E allora Gesù la prende alla larga: chissà che contandogli una parabola, riesca a richiamarne l’attenzione, spingerli alla riflessione, e convertirli (ciò che non mi riusciva prima) all’azione. Insomma Gesù vuole dirci la sua ostinazione a non lasciarci perdere. E ne inventa così di tutte.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Giovanni Cassiano, monaco, e di Antonio delle Grotte di Kiev, fondatore del monachesimo russo.

Di Giovanni Cassiano non si sa bene dove sia nato. Qualcuno suggerisce Dobrugia, nell’attuale Romania, verso il 360. Da famiglia altolocata, che potè garantirgli un’istruzione di tutto rispetto. Senza che questo lo legasse più di tanto. Che anzi, ventenne, partì con un amico, Germano, per il Medio Oriente. Entrambi cercavano di saperne di più, sulla vita dei monaci che avevano preso a popolare quella regione, optando per una radicale contestazione della logica e dei valori mondani. Dei quasi vent’anni che trascorse nel deserto sono frutto le Conferenze Spirituali e le Istituzioni Cenobitiche, due opere che completerà più tardi e che alimenteranno la spiritualità di molte generazioni di monaci. Verso il 400 Cassiano si recò a Costantinopoli, dove divenne presto amico e collaboratore del santo patriarca di quella che era la capitale dell’Impero romano d’Oriente, Giovanni Crisostomo. Dopo che, nel 404, questi cadde in disgrazia presso l’imperatrice Eudosia e fu mandato in esilio, troveremo Giovanni Cassiano a Roma, per alcuni anni e, successivamente, in Gallia, dove nel 415 fondò, a Marsiglia, il monastero di San Vittore, alla cui guida resterà fino alla morte avvenuta nel 435.

Antip era nato nel 983 a Lubec, nei pressi di Tchernigov. Recatosi in pellegrinaggio al Monte Athos, rimase affascinato dalla vita che i monaci vi conducevano e scelse di entrare nel monastero di Esphigmenon, assumendo il nome di Antonio. Qualche anno più tardi, il suo igumeno, Teotisto, lo convinse a ritornare in patria, per piantarvi il fermento della vita monastica. Tornato dunque a Kiev, Antonio si stabilì in una grotta sul monte Berestov, sulle rive del Dnjepr, nei pressi della città, presto seguito da altri giovani della zona, tra cui Nicon, che era già sacerdote, Teodoro e Barlaam. Quando i suoi seguaci giunsero a dodici, Antonio, designò come loro igumeno Barlaam e, successivamente, Teodosio, e si ritirò a vivere in solitudine in un luogo più appartato. Nel frattempo, ricevuto in dono dal principe Isiaslav la proprietà delle terre intorno alle grotte, i monaci cominciarono a costruirvi la Pecerskaja Lavra, il Monastero delle Grotte. L’igumeno Teodosio, convinto che il monastero non potesse vivere solo in funzione di se stesso, lo dotò di un ospedale, per accogliervi i malati della regione, una foresteria per i pellegrini e una mensa, dove potessero saziarsi coloro che avevano fame. Lui stesso poi, guidò i suoi monaci più con l’esempio che con le parole, continuando a prestare il suo servizio in cucina e nei campi, così come nella cura dei malati. Antonio morì novantenne il 10 luglio 1073 (data del calendario giuliano, corrispondente al 23 luglio del nostro calendario). Teodosio morì un anno più tardi, il 3 maggio 1074. Della Lavra di Kiev, un’antica cronaca dice: “Molti monasteri furono costruiti con la ricchezza di principi e nobili, ma questo fu il primo ad essere costruito con lacrime, digiuni e preghiere”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.2, 1-3.7-8. 12-13; Salmo 36; Vangelo di Matteo, cap.13, 10-17.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Giovanni Cassiano, tratto da “Le Istituzioni cenobitiche”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sovente succede che dopo avere ferito e afflitto i nostri fratelli, noi li disprezziamo; oppure sosteniamo con disdegno che non è per causa nostra che si sono offesi. Ma il Signore, che è il medico dei cuori e vede i sentimenti nascosti, ha voluto estirpare fino alle radici del nostro cuore le occasioni della collera. Ed ecco perché non ci prescrive soltanto di perdonare e di riconciliarci con i nostri fratelli, quando siamo noi che siamo stati offesi, senza conservare il minimo ricordo delle loro ingiurie e delle loro offese; ma, se veniamo a sapere che hanno qualcosa contro di noi, a torto o a ragione, Egli comanda inoltre di lasciare lì la nostra offerta, ci ordina cioè di arrestare la nostra preghiera e di correre innanzitutto a riconciliarci con loro: una volta riconciliati col nostro fratello, offriremo il sacrificio senza macchia delle nostre preghiere. Infatti il nostro comune Signore non può gradire i nostri omaggi se quello che guadagna dall’uno lo perde dall’altro a causa dello sdegno che lo tormenta. Infatti, qualunque sia la causa, è la stessa perdita per Lui che desidera ed attende la salvezza di tutti i suoi servi allo stesso modo. Se dunque nostro fratello ha qualcosa contro noi, la nostra preghiera resterà inefficace, come se fossimo noi che, col cuore gonfiato di collera, conserviamo dell’indignazione e dell’amarezza contro lui. (Giovanni Cassiano, Le istituzioni cenobitiche VIII, 13)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-23T22:10:58+02:00da fraternidade
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