Giorno per giorno – 18 Luglio 2020

Carissimi,
“In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo” (Mt 12, 14-16). Decisero che Gesù doveva morire perché aveva ritenuto più importante restituire ad un uomo la sua capacità di agire che rispettare la norma religiosa del Sabato. Come a dire che la vita in pienezza conta più della religione, che, detto tra noi, non è un valore in se stessa, ma solo se e quando è al servizio della vita. Gesù, saputo che tramano per ucciderlo, non organizza i suoi, per reagire e combattere – il Padre avrebbe mandato a suo sostegno legioni di angeli (per come allora si concepiva Dio) -, no, prende e li lascia tramare. Si allontana e continua a fare il bene, anche più di prima, dato che guarisce tutti. Da lontano, anche coloro che ne tramano la morte. Stamattina, si pensava a quanti “difensori” della religione hanno tramato, lungo il tempo, contro Gesù, in varie forme. Per rifarci alle più recenti, lo hanno fatto, perseguitando, imprigionando, uccidendo i suoi testimoni, sotto i regimi dittatoriali instaurati nel secolo scorso in America Latina, di cui ancora si conserva viva la memoria. Ma continuano a farlo, anche oggi, con livore, contro quanti, come papa Francesco, ripropongono con le parole, con lo stile pastorale, ma soprattutto con la testimonianza di vita, la logica del Servo di Jahvè, cantata dal profeta Isaia, e incarnata da Gesù, come inaudita, sorprendente verità di Dio, di cui il vangelo di oggi ci portava un’ampia citazione. Nulla, nessuna trama, né odio, né violenza, né peccato può smuovere Dio dal perseguire il suo disegno di salvezza che, paradossalmente, proprio dal male è messo in luce. Chi segue Gesù non può che rispondere benedicendo chi lo maledice, perdonando chi l’oltraggia, amando chi gli si vuole nemico. Impossibile? Sì, umanamente impossibile, ma, poco a poco, possibile se ci sia arrende alla grazia di Dio.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria del Pastore luterano Paul Schneider, martire, vittima della barbarie nazista; e quella di Rienzo Colla, cristiano adulto.

Paul Schneider nacque il 29 agosto 1897, a Pferdsfeld, in Germania, secondo dei tre figli di Elizabeth e del pastore Gustav Adolf Schneider. Tornato dal fronte, dopo la Grande Guerra, iniziò i suoi studi teologici, che si conclusero con la sua ordinazione a pastore nel 1925. L’anno successivo sposò Margarete Dieterich, da cui avrà sei figli, e assunse la cura della chiesa di Hochelheim, succedendo al padre. Quando, nel 1933, Hitler salì al potere, il giovane pastore per qualche tempo si illuse che il nuovo Cancelliere, con l’aiuto della provvidenza, avrebbe guidato la Germani verso un futuro luminoso. Si rese però presto conto dell’abbaglio e ne trasse tutte le conseguenze. Nel 1934 entrò a far parte della Lega dei Pastori fondata dal pastore Martin Niemöller. Dopo ripetuti arresti, Schneider fu deportato nel lager di Buchenwald nel 1937, a motivo della sua opposizione al nazismo, e ripetutamente sottoposto a maltrattamenti e a torture crudeli per il rifiuto ripetutamente opposto a rendere omaggio alla croce uncinata di Hitler. Nell’aprile 1938 fu rinchiuso in isolamento nel bunker del campo, ove trascorse gli ultimi 14 mesi di vita. Da lì non cessò di proclamare la parola di Dio. Come testimonia un suo compagno di prigionia: “Nei giorni di festa, nel silenzio della conta, proveniente dalle tetre inferriate del bunker, risuonava improvvisamente la voce potente del pastore Schneider. Teneva la sua predica come un profeta, o meglio: la incominciava. La domenica di Pasqua, per esempio, improvvisamente udimmo le parole: ‘Così dice il Signore: Io sono la risurrezione e la vita!’. Le lunghe file dei prigionieri stavano sull’attenti, profondamente turbate dal coraggio e dall’energia di quella volontà indomita… Non poté mai pronunciare altro che poche frasi. Poi sentivamo abbattersi su di lui i colpi di bastone delle guardie…” Seriamente malato per le torture e gli stenti, il pastore confidò a un prigioniero: “Non c’è più un posto, in tutto il mio corpo, che non sia stato battuto fino a farlo diventare nero. Mi hanno fatto delle iniezioni; da quando mi hanno fatto la seconda, ho il cuore terribilmente agitato. Non vivrò più a lungo. Prima che ci lasciamo voglio benedirti, e pregherò per te, perché tu possa percorrere la via giusta”. L’eroico Pastore morì, qualche giorno dopo, il 18 luglio 1939, finito con un’iniezione di strofantina. Al suo funerale, presero parte 200 pastori e migliaia di partecipanti. Karl Barth scrisse allora: “Con la sua testimonianza egli ha dovuto mostrare e dire a molti qual è la posta in gioco, e Dio lo ha considerato degno di soffrire”.

“Mentre pensavo al nome da dare all’editrice, mi capitò di aprire il Vangelo, per trarne ispirazione. Era Matteo, capitolo tre, versetto quattro, dove parla di S. Giovanni Battista che mangiava locuste e miele selvatico. Mi colpì l’immagine di questo insetto che non mangiava, ma si faceva mangiare. E decisi che i libri che avrei stampato sarebbero stati piccoli, forse fastidiosi per qualcuno, ma fatti per essere mangiati”. Così Rienzo Colla narra l’invenzione della sua casa editrice, il cui primo volumetto ad essere pubblicato, nell’inverno del 1954, ebbe come titolo “La parola che non passa”, di don Primo Mazzolari. Complessivamente sarebbero stati una sessantina i titoli del profetico parroco di Bozzolo sugli oltre 250 pubblicati da “La Locusta”. Rienzo Colla era nato il 28 marzo 1921. Diciannovenne, aveva stretto amicizia con don Primo Mazzolari. Dopo la laurea in filosofia, partecipò alla Resistenza a Roma, per darsi poi, dopo la guerra, all’insegnamento di storia e filosofia. Conobbe don Giovanni Rossi e la Pro Civitate Christiana di Assisi, e nel 1952, fece ritorno a Vicenza, entrando in seminario dai Padri filippini, ma ne fu espulso, nel 1955, proprio a seguito della pubblicazione del libro di Don Mazzolari. Da allora “La Locusta” diede voce a una serie di personalità – uomini e donne, monaci e mistici, poeti e romanzieri, filosofi e teologi, preti scomodi e profeti della non violenza, pensatori cattolici e intellettuali laici della prima e della seconda metà del secolo – che, diversissimi tra loro, ma accomunati dalla ricerca appassionata di Dio e di un cristianesimo più evangelico, segnarono profondamente la vicenda culturale e ecclesiale del tempo: Simone Weil, Edith Stein, Thomas Merton, Rebora, Turoldo, Bernanos, Mounier, Chénu, Rahner, Milani, Balducci, Gandhi, Martin Luther King, Pasolini, Rodano, per citarne i più noti. Rienzo Colla è morto a Vicenza, il 18 luglio 2009.

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.2,1-5; Salmo 10; Vangelo di Matteo, cap.12,14-21.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Nel ricordo della nascita di Nelson Rolihlahla Mandela, avvenuta il 18 luglio 1918, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione votata il 10 novembre 2009, ha istituito il Mandela International Day, da celebrarsi ogni anno in tale data. Esso intende rappresentare un appello generale all’azione, a partire dalla convinzione che ogni individuo può contribuire a trasformare il mondo. Prendendo spunto dai sessantasette anni (di cui ventisette in carcere) spesi da Mandela nella lotta politica, per l’affermazione degli ideali di libertà e giustizia, il suggerimento è che ciascuno cominci col dedicare sessantasette minuti di questa giornata ad una buona causa. Questo perché si ha il fondato sospetto che poi ci si prenda gusto, arrivando così a fare di ogni giorno a venire un Mandela Day.

E, in tema di compleanni, oggi festeggia i suoi novantadue anni, ai piani superiori, don Andrea Gallo. Scegliamo, cosí, di omaggiare lui, nel congedarci, con una citazione, tratta dal suo “Così in terra, come in cielo” (Oscar Mondadori), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Si arrampicava sul monumento di Garibaldi, in piazza De Ferrari, a Genova, e da lì gridava le sue poesie, poi però veniva arrrestato per schiamazzi notturni. Era l’ultimo hippy rimasto: magro, tenero. Una sera andò su al monte per vedere le stelle, la mattina seguente lo trovarono morto per overdose nei bagni della stazione, con una poesia in mano. Claudio era un grafomane. Scriveva dappertutto pensieri per ognuno, li lasciava sui tavoli, li infilava nelle tasche. Dopo la sua scomparsa scoprimmo che aveva scrittto una frase anche dietro l’altare: QUI SONO STATO FELICE. (Don Andrea Gallo, Così in terra, come in cielo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-18T22:31:40+02:00da fraternidade
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