Giorno per giorno – 17 Luglio 2020

Carissimi,
“Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa” (Mt 12, 7). È tutto ciò che Gesù ha da dire ai religiosi di sempre che si attardano a giudicare e condannare coloro che ritengono colpevoli di qualche cosa. Nel caso specifico del racconto di oggi, i discepoli, accusati di aver profanato la dimensione più sacra dell’ebraismo, la santità del Sabato, infrangendo la legge del riposo, col cogliere delle spighe e saziare così la loro fame. Se non si comprende la misericordia, e perciò non la si pratica, non si conosce Dio, dato che è in essa che si esprime la sua essenza e perfezione ed è a questa perfezione che Gesù ci chiama (cf Lc 6, 36). Quando saremo entrati nel suo spirito, sapremo che non c’è colpa da addebitare ai malcapitati che cadono sotto le sgrinfie dei cosiddetti giusti, perché ogni colpa Gesù l’ha tolta e portata su di sé, persino quella di chi impietosamente giudica e condanna, ed è di per sé la colpa peggiore. Noi si ha solo da diffondere benevolenza e amore, nel dono di noi stessi agli altri, realizzando, nella misura che è resa posssibile dalla grazia, quella giustizia che egli è venuto a instaurare. Che è vita e solo vita.

Oggi noi facciamo memoria di Bartolomeo de las Casas, pastore e difensore della causa dei popoli indigeni e dei negri, Andrei Rublev monaco iconografo, François Varillon, gesuita e guida spirituale.

Bartolomeo, nato a Siviglia l’11 novembre 1484 da Pedro de Las Casas e Isabel de Sosa, entrambi di ascendenza ebraica, quando, diciottenne, risolse di seguire il padre per il Nuovo Mondo, sognava di arricchirsi con i proventi delle piantagioni paterne, come un qualunque colono, sfruttando la mano d’opera schiava. Tuttavia, toccare con mano la crudeltà dei coloni e le indicibili sofferenze inflitte alle popolazioni indigene, fecero maturare una profonda crisi religiosa in lui, che nel frattempo aveva abbracciato lo stato ecclesiastico ed era stato ordinato, verso il 1510, sacerdote. A partire dal 1514, resosi conto del crudele sfruttamento a cui erano sottoposti gli indigeni, vista la corruzione imperante tra i funzionari reali e toccato dalla predicazione profetica del domenicano Antonio di Montesinos, che denunciava gli abusi e le crudeltà della conquista “cristiana”, Bartolomeo mutò radicalmente di vita. Liberati gli indigeni alle sue dipendenze e distribuite le sue terre, divenne da allora l’instancabile difensore dei diritti calpestati di quelle popolazioni oppresse. Nel 1523, entrò nell’ordine domenicano, per mettersi in qualche modo al riparo dalle persecuzioni dei conquistadores, ma anche di buona parte della gerarchia ecclesiastica spagnola. Per nulla intimorito, frei Bartolomeo continuò la sua azione di denuncia, presso il governo centrale, sugli abusi degli spagnoli e le sofferenze degli indigeni. Scrisse la Brevissima Relazione della Distruzione delle Indie con cui intese documentare la tragedia che si svolgeva sotto i suoi occhi. Nominato a sessant’anni vescovo del Chiapas (Messico), rimase solo tre anni in quell’ufficio, invariabilmente osteggiato dai colonizzatori spagnoli e dal suo stesso clero. Tornò in Spagna nel 1547, continuando da lì la sua lotta a favore degli indios, fino alla morte, avvenuta a Madrid, il 17 luglio 1566.

Andrej Rublev nacque in Russia verso il 1360. Divenne monaco nel mostastero di Serpuchov, dove emise la professione religiosa e ricevette l’ordinazione presbiterale. Alla Laura di Radonez, dove visse a lungo, apprese l’arte dell’iconografia da Teofane il Greco e conobbe il suo migliore amico, il bulgaro San Daniele il Nero, con cui convisse e lavorò fino alla morte, sopraggiunta per i due nello stesso anno. A lui si devono i dipinti dell’iconostasi nella cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca, gli affreschi nella cattedrale della Dormizione di Vladimir, alcune tavole dell’iconostasi della stessa chiesa, gli affreschi della cattedrale del Salvatore nel monastero di Andronik, e la famosa icona della Trinità, ispirata alla scena biblica dell’ospitalità offerta da Abramo ai tre angeli. Dal punto di vista spirituale Rublev fu senza dubbio un esicasta, praticava, cioè, il metodo ascetico della spiritualità ortodossa, che si serve soprattutto della “preghiera di Gesù”. Morì il 29 gennaio (11 febbraio del calendario gregoriano) 1427 (o 1430). Fatto oggetto di venerazione a livello locale, nei secoli XV e XVI, fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 1988. La sua festa è celebrata oggi, 4 luglio (17 luglio del calendario gregoriano).

François Varillon nacque a Bron, alla periferia di Lione, il 28 luglio 1905. A ventidue anni, nel 1927, decise di lasciare la fidanzata, Simona, per entrare nella Compagnia di Gesù. Pronunciò i suoi primi voti nel 1930 e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1937. In seguito fu professore di lettere classiche e di filosofia e poi, per molti anni, assistente ecclesiastico di diversi movimenti dell’Azione cattolica, e, dal 1972 al 1978, direttore della Casa di Ritiri di Châtelard. Morì il 17 luglio 1978. I suoi scritti di spiritualità hanno segnato intere generazioni di cristiani.

Profezia di Isaia, cap.38, 1-6.21-22.7-8; Salmo (Is 38, 10-16); Vangelo di Matteo, cap.12, 1-8.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi compie sessantotto primavere il Pastore Raimundo Aires, vescovo di questa città per il Ministério Nova Terra della Chiesa di Cristo. Un uomo di Dio come pochi, che onora della sua amicizia noi e un buon numero di voi, e che mettiamo, perciò, nella vostra preghiera bene augurante.

Noi lo si è saputo solo oggi: seu Arlindo, vedovo di dona Maria Rezadeira (che ci aveva lasciato tre anni fa, dopo aver guidato per molti anni le preghiere, dove e quando la chiamavano, nelle case del bairro), che negli ultimi tempi si era trasferito a Itaberai, da una delle figlie, se ne è andato, a sua volta, lunedì scorso, a causa del Covid-19. Mettiamo la famiglia in lutto nella nostra e vostra preghiera.

E, per stasera, è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di François Varillon, tratto dal suo libro “Gioia di credere, gioia di vivere” (EDB), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Che cos’è una persona umana? È l’essere che si realizza donando e che, non cercando se stesso, si trova in un altro. La vita ci viene donata affinché tendiamo verso gli altri, perché ci doniamo a loro come fanno le tre persone divine fra loro. Tendere verso di loro non per conquistarli, possederli o annetterli a me, ma per arricchirli e farli crescere. Sant’Agostino diceva: “Non dobbiamo amare gli uomini come i buongustai amano la selvaggina; voler assimilare gli uomini infatti non vuol certo dire amarli”. Non bisogna amarli per sé ma per loro. Per amare come si amano le tre persone divine bisogna essere se stessi, il più profondamente e il più consapevolmente possibile. Bisogna volere che gli altri “siano”, il più profondamente e il più consapevolmente possibile. E non volerlo soltanto con il pensiero, con il desiderio, ma operare perché essi lo siano. Voglio che tu sia tu, e mi dedico interamente a che tu lo sia pienamente. E quello che vale per gli individui vale per le nazioni, le razze e le civiltà. La vera unità non è l’uniformità, ma la ricchezza di un pluralismo reso saldo dall’amore. Una sinfonia è composta da una pluralità di note che hanno valore solo nel rapporto delle une con le altre. Ma ogni nota deve rimanere se stessa e volere che le altre continuino ad essere se stesse perché, se scomparissero, l’accordo non sarebbe più profondo, sarebbe più povero. L’ideale di un’orchestra non è di essere composta solo di violini. Il violino deve volere che il violoncello sia pienamente violoncello, che il flauto sia pienamente flauto; e proprio questa differenziazione, questa ricchezza e diversità degli strumenti compongono un’orchestra veramente una. L’amore trinitario ci obbliga a escludere la volontà di potenza e il desiderio di annessione, ma ci costringe anche a escludere la “volontà di debolezza” e la fiacchezza dell’essere annesssi. Sia che si tratti della nostra vita personale più intima o dell’esercizio della nostra libertà ai vari livelli della famiglia, della professione, dello stato o della società internazionale, tutto si riduce a questo: non ingannarsi sull’amore. Per insegnare agli uomini cosa vuol dire amare, quali sono le condizioni, le conseguenze e le implicazioni dell’amore, e quali possono essere anche le falsificazioni e le illusioni, la chiesa interroga lungo i secoli lo Spirito santo che le è stato donato. Lui solo conosce il segreto di Dio. Ci dona l’energia di vivere come vive Dio, di amare come ama Dio. Questa è la più alta forma di esistenza a cui è possibile per l’uomo accedere, a patto che l’accolga come un dono (in se stessa, infatti, è inaccessibile) e non ne rifiuti, come amava dire Maurice Blondel, “il pedaggio”, che è il dono che mortifica il nostro io. (Francois Varillon, Gioia di credere, gioia di vivere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-17T22:44:41+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo