Giorno per giorno – 26 Giugno 2020

Carissimi,
“Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: Signore, se vuoi, puoi purificarmi. Tese la mano e lo toccò dicendo: Lo voglio: sii purificato! E subito la sua lebbra fu guarita” (Mt 8, 1-3). Gesù era figlio della cultura del suo tempo, perciò credeva come tutti che quella malattia, che le nostre Bibbie traducono con “lebbra” (anche se non ha niente a che vedere con il morbo di Hansen che conosciamo oggi), era conseguenza di un peccato di calunnia o di mormorazione (come si apprende dalla vicenda di Maria, sorella di Mosè, in Nm 12, 1-10), e che, per questo, per aver ferito il principio di comunione fraterna, meritava la pena dell’allontanamento dalla società. Questo in teoria, giusta o sbagliata che fosse. Ma Gesù non era uomo (né Dio) che si accontenti di teoria, che si tratti di catechismo, di teologia morale, o di codice di diritto canonico. Neppure quando si vuole espressione del Supremo Legislatore. Il quale, prima ancora di legiferare, sapeva da sé che “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18), come anche neppure Dio, tanto è vero che egli è una comunità di Tre. È, per questo, che al vedere quel lebbroso, peccatore o meno che fosse, e all’udirne l’implorazione, Gesù lo tocca e lo guarisce. Non preoccupandosi di trasgredire la Legge, toccandolo, come l’altro l’aveva già trasgredita avvicinandosi. Dio è comunione, non accetta esclusioni di sorta. Preferisce, nel caso, essere escluso Lui. Ora, che immagine di Dio trasmettiamo noi agli esclusi del nostro tempo, colpevoli o meno che siano? I miracoli del vangelo ci sono raccontati perché si sappia qual è la logica di Dio e come si deve agire noi nei confronti degli altri, se siamo dei suoi. Saremo noi disposti a negarlo nei fatti, portando così altri a temerlo, odiarlo, bestemmiarlo? Non Lui, naturalmente, ma l’idolo mostruoso che avremo insediato al suo posto. O saremo invece, coerentemente, chiesa di Cristo, sacramento di misericordia, accoglienza e inclusione, là dove operiamo?

Oggi facciamo memoria di don Lorenzo Milani, prete dalla parte degli ultimi. Quello di “I care”, mi interessa, mi preoccupa, ho cura. L’esatto contrario del “Me ne frego”. Con lui ricordiamo Hans Urs von Balthasar, uno dei teologi più prolifici e prestigiosi del secolo scorso.

Lorenzo Milani era nato a Firenze il 27 maggio 1923, da una famiglia della borghesia intellettuale, di tradizione agnostica. Ebreo per parte di madre, nel 1943 si convertì al cristianesimo e decise di diventare prete, solo, come scriverà, “per spogliarsi di ogni privilegio”. Ordinato nel 1947, fu subito visto con sospetto e perseguitato dalla gerarchia ecclesiastica per il radicalismo delle sue scelte a favore dei poveri. Mandato al “confino ecclesiastico” in un paesino di montagna, organizzò una scuola per restituire la parola a quelli che chiamava i “paria” italiani. A loro, sempre severo, esigente, intollerante, ma tenerissimo, dedicherà tutto se stesso, sino alla fine. Nel 1965, con una Lettera ai Cappellani militari, prese posizione a favore dell’obiezione di coscienza. Venne denunciato e processato. Morì dopo una lunga malattia, a 44 anni, il 26 giugno 1967, poco dopo aver terminato di scrivere con i suoi studenti “Lettere a una Professoressa”, una denuncia della scuola classista che escludeva inesorabilmente i figli dei poveri. Le sue ultime parole, prima di morire, furono: “Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza”. Che miracolo? “Un cammello che passa nella cruna di un ago”. Ai suoi ragazzi aveva lasciato scritto: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

Nato a Lucerna (Svizzera) il 12 agosto 1905, Hans Urs von Balthasar entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù il 28 novembre 1928 e fu ordinato prete il 26 luglio 1936. Da allora in avanti dedicherà tutta la sua vita allo studio e all’approfondimento delle questioni teologiche a stretto contatto con i maggiori teologi del tempo, ma anche con l’apporto (che il nostro considererá indispensabile per intendere la genesi e il significato complessivo della sua opera) di Adrienne von Speyr, una donna, il cui cammino di fede fu segnato da straordinarie esperienze mistiche e con cui fondò l’istituto secolare Comunità di san Giovanni. Lasciata la Compagnia di Gesù nel febbraio 1950, von Balthasar guadagnò, nei decenni successivi, crescente spazio e attenzione sulla scena teologica internazionale. Pose come obiettivo della sua produzione teologica: “dimostrare la realtà di Cristo come la cosa insuperabilmente massima, id quo majus cogitari nequit, perché precisamente è la parola umana di Dio per il mondo, è l’umilissimo servizio di Dio che adempie oltre misura ogni mira umana, è l’estremo amore di Dio nella gloria del suo morire, affinché tutti oltre se stessi vivano per lui”. Che è, appunto, l’Amore. Von Balthasar morì il 26 giugno 1988, mentre si apprestava a celebrare messa.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono, qui da noi, tratti da:
2º Libro dei Re, cap.25, 1-12; Salmo 137; Vangelo di Matteo, cap.8, 1-4.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi è anche la Giornata mondiale di lotta alle droghe, questa forma di lento e inesorabile suicidio, diffusa, diffusissima, anche in questo nostro paese e perfino in questo sperduto angolo della periferia del mondo. Ed è anche la Giornata Internazionale di appoggio alle vittime della tortura, voluta dall’ONU, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessitá di por fine all’uso della tortura e ottenere da tutti l’applicazione della Convenzione contro i trattamenti crudeli, disumani e degradanti contro la persona. Siamo chiamati anche noi a fare la nostra parte.

Dom Eugenio ha ricordato oggi il suo giubileo d’oro sacerdotale. Ormai vescovo emerito della Chiesa di Goiás, ed ora suo amministratore apostolico, in attesa che giunga a settembre, il nuovo vescovo, dom Jeová Elias, ha celebrato l’Eucaristia – rendimento di grazie, nella cappella dell chácara diocesana, assieme ad alcuni presbiteri delle diverse parrocchie, in osservanza delle norme prudenziali previste a causa della pandemia in corso. Chi ha potuto si è collegato attraverso le reti sociali. Tutti hanno potuto comunque collegarsi col buon Dio, per ringraziarlo del grande dono ricevuto nella persona di dom Eugenio, attraverso il suo servizio pastorale svolto in semplictà, umiltà, fedeltà all’Evangelo di Gesù, con un’attenzione particolare agli ultimi (indios, sem-terra, poveri delle periferie, persone con disabilità, dipendenti chimici…), in questi 21 anni da lui trascorsi alla guida della diocesi.

È tutto, anche per stasera. Noi ci congediamo qui, con un brano tratto dal libro che, su don Milani, ha scritto Adele Corradi, un’insegnante che ha lavorato con lui nella scuola di Barbiana. Ha per titolo “Non so se don Lorenzo” (Feltrinelli) e vale proprio la pena leggerlo. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Don Lorenzo diceva che non dovevamo prendere esempio da lui, che pregava troppo poco: un Padre nostro la mattina e un’Ave Maria la sera. Erano le sue preghiere, ci disse, e, non so perché, non rammentò la messa. Dovevamo prendere esempio da don Borghi, che sapeva agire e pregare. Ma ai ragazzi sembrava che togliere spazio alle opere per pregare fosse una perdita di tempo e don Lorenzo insisteva a dire che bisognava anche pregare, facendo però attenzione alle circostanze e badando quindi alle urgenze. Se c’era urgenza bisognava agire. Era un discorso che non mi convinceva, anche perché i ragazzi ne deducevano che la preghiera dei monaci, che chiusi in un convento passavano la vita pregando, era uno spreco, una cosa senza senso. Stetti zitta ma con fatica, perciò, quando la discussione finì e i ragazzi uscirono dalla stanza, mi fermai vicino alla finestra: guardando fuori, sul Monte Aùto, la casa del contadino che bestemmiava in ginocchio (perché la bestemmia arrivassse meglio “lassù”) e rimuginavo i miei dubbi. Non mi convinceva l’idea delle urgenze, “perché”, dissi dopo qualche minuto di silenzio, “come si fa a conoscere le urgenze se si pensa a tutti gli uomini e a tutte le vicende del mondo!”. Mi spiegavo male, ma don Lorenzo capì e anche lui stette qualche minuto in silenzio. Alla fine, come se ancora pensasse fra sé, disse: “Sarà urgente pregare quando a tutti sembrerà importante operare”. (Adele Corradi, Non so se don Lorenzo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Giugno 2020ultima modifica: 2020-06-26T22:24:22+02:00da fraternidade
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