Giorno per giorno – 25 Giugno 2020

Carissimi,
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt 7, 21-23). Non è la professione di fede, il proclamare Gesù Signore della nostra vita, della nostra casa, della nostra famiglia, né profetizzare, o essere, se ci riusciamo, esorcisti di successo, e neppure compiere miracoli, a fare di noi cittadini del Regno, ma il compiere la volontà del Padre, così come Gesù l’ha esemplificata nel discorso del monte e, soprattutto, incarnata lungo tutto l’arco della sua esistenza, resa perfetta della perfezione del Padre, nel dono incondizionato di sé agli altri, a partire dagli ultimi, quei poveri dichiarati beati, perché in essi si dispiega la sovranità-fatta-servizio del Signore onnipotente. Non c’è proprio verso di sottrarsi a questo severo avvertimento di Gesù, non a caso rivolto, come quasi sempre, a quanti vivono una religione – ed è la tentazione più facile e ricorrente – come spazio separato, staccato da ciò che pulsa nella vita del mondo, in termini di malvagità e ingiustizia. Già la sola indifferenza davanti a questi fenomeni, rende “operatori d’iniquità”, tanto quanto coloro che, dell’iniquità, sono gli autori materiali. Se siamo realmente di Gesù, siamo chiamati dunque a vivere la Parola che ascoltiamo, proiettati sui bisogni degli altri, non perciò ripiegati sulle sabbie mobili delle nostre insaziabili pretese o vantati diritti e privilegi, materiali o spirituali, per essere così come l’uomo saggio, che costruisce la sua casa sulla roccia. Roccia che è Cristo.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Sadhu Sundar Singh, mistico indiano, e di José María Díez-Alegría Gutiérrez, prete e teologo della liberazione.

Sundar Singh era nato nel 1889 a Rampur, nel Punjab (India), da una famiglia di proprietari terrieri di religione Sikh. Adolescente, inviato dal padre presso la locale scuola delle missioni, cominciò a prendere di mira i missionari e a deridere apertamente i compagni che si erano convertiti, arrivando un giorno a bruciare una Bibbia, pagina per pagina, in segno di sfida. Era il 16 dicembre 1904. Tre notti dopo, come egli racconterà, vide “la potenza del Cristo vivente” e udì una voce che diceva: “Quanto tempo ancora mi perseguiterai? Io sono morto per te; per te ho dato la mia vita”. Decise allora che sarebbe stato cristiano. Espulso per questo di casa, l’anno successivo chiese di essere battezzato nella chiesa anglicana, decidendo tuttavia di inaugurare, anche esteriormente, una maniera indiana nella sequela di Gesù: indossando il turbante e la tunica arancione degli asceti, senza fissa dimora, né possesso alcuno, vivendo di elemosine, predicando e testimoniando Cristo con una vita di preghiera e povertà. Dopo aver servito per qualche tempo in un lebbrosario, entrò nel Divinity College, a Lahore, per ricevere una formazione come predicatore. Quando ne uscì, due anni più tardi, riprese la sua vita di sadhu itinerante nell’India settentrionale, nei paesi buddhisti dell’Himalaya, in Tibet, paese quest’ultimo, dove incontrò una violenta ostilità, al punto di essere imprigionato. Fu anche invitato a tenere una serie di incontri in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma rimase assai deluso del materialismo dell’Occidente. Pur frequentando la chiesa anglicana, Singh volle sempre relazionarsi liberamente con le più diverse denominazioni cristiane. Nell’aprile del 1929, nonostante le ormai fragili condizioni di salute, decise di tornare in Tibet e si mise in viaggio. Non se ne seppe più nulla. Ucciso forse dagli stenti, dal freddo, dalla malattia, o da possibili malintenzionati.

José María Díez-Alegría Gutiérre era nato il 22 ottobre 1911, a Gijón, nel Principato delle Asturie, figlio di María Gutiérrez de la Gándara e di Manuel Díez-Alegría García, che era direttore dell’agenzia locale del Banco de España. Entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1930, fu ordinato prete nel 1943. Dopo aver ottenuto la licenza in Sacra Teologia e il dottorato in Filosofia e in Diritto, fu professore di Etica nell’Università di Alcalá de Henares dal 1955 al 1961, quando fu chiamato a insegnare Dottrina sociale della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove rimase fino al 1972. Quando, nella sua vita, cambiò tutto. O quasi. A causa di un suo libro, dal titolo “Credo nella Speranza”, uscito in quell’anno senza l’imprimatur, tradotto subito in diverse lingue e divenuto ben presto un best-seller. Per non creare difficoltà alla Compagnia di Gesù, scelse di uscire dall’Ordine e andò ad abitare in una baracca al Pozo del Tio Raimundo, un barrio di Vallecas, sobborgo di Madrid, dove da tempo operava tra i più poveri un altro gesuita, padre José María de Llanos Pastor (1906-1992), chiamato il prete rosso. Non per il colore dei capelli. Da allora P. Díez Alegría non ha mai cessato di creare salutari grattacapi a Santa Madre Chiesa e passando comunque indenne tra le maglie della repressione franchista. Come, del resto, P. de Llanos, figlio di un generale questo, figlio di un banchiere e fratello di generali il nostro. Si è spento nella residenza dei gesuiti di Alcalá de Henares, il 25 Giugno 2010, prossimo ai novantanove anni. A chi gli chiese un giorno perché non fosse uscito dalla Chiesa, dopo le ruvide critiche rivoltele per aver ceduto alla tentazione della ricchezza e del potere, rispose: “No, no, non potrei mai. Perché sono rimasto nella Chiesa? È grazie alla Chiesa che ho conosciuto Gesù Cristo. Se non ci fosse stata la Chiesa, non sarei mai arrivato a lui”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2º Libro dei Re, cap.24, 8-17; Salmo 79; Vangelo di Matteo, cap.7, 21-29.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura una pagina di Sundar Singh, che troviamo nel suo libro “Enseñanzas del Maestro” (The Bruderhof Foundtion Inc.) e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio è amore e ci perdona volentieri. Ma Dio è anche molto di più. Il perdono da solo non basta per liberarci dai nostri peccati. La completa liberazione dal male arriva solo quando desideriamo davvero uscire dal peccato. È del tutto possibile per noi ricevere il perdono e tuttavia soffriamo le conseguenze del nostro peccato. Il Maestro viene non solo per annunciarci il suo perdono, ma anche per liberarci dalla malattia del peccato, dalle sue conseguenze e dalla morte, poiché spezza il ciclo incessante del peccato e della morte. Proviamo a pensare ad un uomo con una malattia che ne indebolisca il cervello. A volte la malattia lo fa agire in modo irrazionale e imprevedibile. Sotto l’influenza di uno di quegli attacchi, senza essere consapevole, colpisce un uomo e lo uccide. Portato in giudizio, viene condannato a morte. Ma quando i suoi parenti spiegano le ragioni mediche che giustificano i suoi attacchi temporanei di follia e chiedono clemenza, i giudici gli concedono l’indulto e lo perdonano. Prima, però, che i parenti giungano in prigione per comunicargli la buona notizia, l’uomo è già morto a causa della sua malattia. Così il perdono non gli servì a nulla. Oltre al perdono, aveva bisogno di essere curato della malattia. Solo una volta guarito avrebbe potuto vivere la gioia della sua liberazione. Abbiamo bisogno di guarigione, non solo di perdono. In passato, le leggi religiose proibivano di bere il sangue di animali o di mangiare determinati alimenti. Queste usanze indubbiamente derivavano dalla convinzione che tali alimenti causassero determinate malattie o, forse, inoculassero nell’uomo alcuni aspetti del comportamento dell’animale selvatico. Dal canto suo, il Maestro ha detto: “La mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda, poiché entrambi procurano vita e salute spirituale”. (Sundar Singh, Enseñanzas del Maestro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Giugno 2020ultima modifica: 2020-06-25T22:43:21+02:00da fraternidade
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