Giorno per giorno – 21 Maggio 2020

Carissimi,
“Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po’ ancora e mi vedrete? In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Gv 16, 19-20). Certo che detto così, prima del compiersi degli eventi, per i discepoli dev’essere stato ancora ben oscuro. Già il giorno dopo, però, avrebbero cominciato a intenderne qualcosa, almeno per quanto riguardava la tristezza e lo sgomento che avrebbe determinato in loro il morire di Gesù. Il senso pieno della profezia l’avrebbero sperimentato solo il primo giorno dopo il sabato, nel rivedere Gesù vivo tra di loro. Stamattina, ci si chiedeva se questo possa risultare vero solo in quella determinata circostanza, a causa dell’esperienza unica vissuta dai discepoli nella relazione con il Signore, o se invece, e in che modo nel caso, possa valere per il vissuto di ogni tempo. Quando si ripropone per noi il morire del Signore nella storia? La risposta che ci viene spontantea, data l’identificazione che egli stesso instaura con il mondo dei poveri, è proprio: in ogni situazione in cui il povero venga oppresso, calpestato, ucciso. È li che Dio, che è Amore, viene negato. Come deduciamo anche dal salmo: è l’insensato che con le sue azioni dice: Dio non esiste. Che equivale a: Dio (l’Amore) è morto. Di tale società è detto: Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno; divorano il mio popolo come il pane; confondono le speranze del misero (cf Sl 14, 1. 3-4. 6). Gesù, figura della dedizione incondizionata di Dio nella storia, viene allora crocifisso ogni volta di nuovo negli individui e nei popoli crocifissi. Ma è vero anche che Cristo risorge sempre, quando i poveri sono schiodati dalle croci, su cui li immola il Principe di questo mondo, il Sistema del dominio, del lucro e dell’accumulazione. Noi, quale parte abbiamo in tutto questo? Siamo complici (anche nella forma dell’indifferenza) della morte del Signore? O cospiranti, sotto l’azione dello Spirito, per la liberazione dei poveri e la risurrezione di Cristo?

Oggi la comunità fa memoria di Christian de Chergé e gli altri Monaci trappisti, martiri a Tibhirine, in Algeria, e Irene McCormack e compagni, martiri in Perù.

Christian de Chergé era priore del Monastero trappista di Nostra Signora dell’Atlante, che sorge nei pressi di Tibhirine, in Algeria. Lui e i gli altri monaci furono sequestrati la notte tra il 27 e il 28 marzo 1996. Christian era nato il 18 gennaio 1937 a Colmar ed era monaco dal 1969. Gli altri erano: Luc Dochier, nato il 31 gennaio 1914 à Bourg-le-Péage, monaco dal 1941; Christophe Lebreton, nato l’11 ottobre 1950 a Blois, monaco dal 1974; Bruno Lemarchand, nato il 1º Marzo 1930 a Saint-Maixent, monaco dal 1981; Michel Fleury, nato il 21 maggio 1944 a Sainte-Anne, monaco dal 1981; Célestin Ringeard, nato il 27 luglio 1933 a Touvois, monaco dal 1983, Paul Favre-Miville, nato il 17 aprile 1939 a Vinzier, monaco dal 1984. Il loro sequestro fu rivendicato dal G.I.A (Gruppo Islamico Armato), con un comunicato che porta la data del 18 aprile. Con un un secondo comunicato del 23 maggio, il gruppo comunicava che i monaci erano stati decapitati il 21 maggio. Di loro, come atto di supremo sfregio, furono fatte ritrovare solo le teste. I funerali furono celebrati il 2 giugno e le teste dei monaci furono sepolte nel terreno del loro monastero due giorni dopo. Amici della popolazione islamica tra cui avevano scelto di vivere, presenza credente e orante in mezzo ad altri credenti e oranti, avevano voluto restare lì, per essere “oscuri testimoni di una speranza”, anche dopo essere stati ripetutamente avvisati che la loro permanenza era a rischio. Dovevano restare, perché “il monaco – come diceva Chesterton, citato da Christian – è come un albero, sta lì e purifica l’atmosfera”. Con altri amici musulmani, i monaci avevano creato il Ribat-es-Salam, il Vincolo-di-Pace, che si riuniva periodicamente per approfondire la conoscenza delle rispettive fedi: il primo passo in direzione – o già sua espressione – dell’amore. Profezia, forse, del nostro domani.

Irene McCormack era nata il 21 agosto 1938, a Kununoppin, nell’Australia occidentale, e aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una fattoria, studiando in un collegio di suore. Poi, nel 1957, aveva scelto di essere lei stessa religiosa tra le suore di san Giuseppe. Dopo molti anni di insegnamento in Australia, nel 1987 era stata mandata in Perù, in un piccolo villaggio sulle Ande, Huasahuasi. Non era uno scherzo vivere lì, in quegli anni, sotto la minaccia di un gruppo terrorista come Sendero Luminoso, che giudicava più pericolosi coloro che aiutavano i poveri di coloro che li opprimevano. E, coerentemente, li facevano fuori. Anche Irene avrebbe potuto scegliere di andarsene, ma preferì restare. La sera del 21 maggio 1991, giunse nel villaggio una banda di terroristi, secondo i testimoni, tutti giovanissimi ed evidentemente drogati. Presero la suora e quattro uomini, tre cattolici e un evangelico, e nella piazza centrale improvvisarono un processo farsa, accusandoli di essere al soldo degli yankee imperialisti e di gestire i fondi della Caritas, una forma di aiuto ai poveri che loro non tolleravano. I quattro furono condannati a morte come nemici del popolo. Gettati a terra, furono liquidati, uno dopo l’altro, con un colpo a bruciapelo sparato alla testa. Irene fu sepolta a Huasahuasi, secondo il suo espresso desiderio. Ogni mattina, al risveglio soleva dire questa preghiera: O Dio, mio Padre, tu mi ami e mi perdoni, così OGGI io accetto tutto come un dono e chiedo di trovare te, il Signore Donatore, nel dono. Scelgo di affrontare la vita senza paura e di vivere con cuore indiviso ogni momento presente. Possa il mio cuore cantare oggi un canto di ringraziamento riconoscente e di lode. Io sono un’opera d’arte di Dio. Sono preziosa al suo sguardo!”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.18, 1-8; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.16, 16-20.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Christian de Chergé, tratto dalla Lettera circolare della Comunità del 25 aprile 1995. La troviamo nel libro “Più forti dell’odio” (Edizioni Qiqajon Comunità di Bose) ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
All’inizio della quaresima ci siamo presi il tempo per uno scambio più prolungato sul tema: “Quali cambiamenti in noi e tra di noi in questi ultimi diciotto mesi?”. Apparentemente nulla è cambiato: stessi luoghi, stesse persone! Eppure… mentre i nostri caratteri restano gli stessi, con il loro fascino e le loro durezze, c’è tra noi una qualità nuova di armonia e di accettazione reciproca. Siamo arrivati a una maggiore capacità di ascolto, grazie all’urgenza coinvolgente delle decisioni da maturare e nella consapevolezza che dobbiamo andare avanti insieme, passo dopo passo, nella fede. Con la sensazione netta, a cose fatte, di essere stati ben ispirati e di essere come accompagnati. Il pericolo è presente, nel quotidiano, diffuso, ognuno lo sa, lo avverte, per sé, per tutto l’ambiente circostante. Anche l’azione di grazie è quotidiana e include agevolmente tutti gli esempi che riceviamo. L’assenza quasi totale di ospiti e la partenza massiccia dei cristiani ci colpiscon, è certo, ma ci provocano a un incremento di attenzione verso tutti i visitatori e i nostri vicini algerini. “Mi piace molto questa immersione nella gente semplice”, dice uno di noi. E quando i nostri “fratelli della montagna” vengono a consultare il nostro fratello medico, ci sentiamo anche noi chiamati a esercitare un carisma di guarigione tra tutti, sforzandoci di accogliere ciascuno più in là della violenza di cui potrebbe essere complice. Anche in noi c’è qualcosa da disarmare. Certezza che Dio ama gli algerini e che ha senza dubbio scelto di dimostrarglielo donando loro le nostre vite. Allora: li amiamo davvero? Li amiamo abbastanza? Istante di verità per ciascuno, e pesante responsabilità in questi tempi in cui i nostri amici si sentono così poco amati. Lentamente, ognuno impara a integrare la morte in questo dono, e con essa tutte le altre condizioni di questo ministero del vivere insieme che è esigenza di gratuità totale. Ci sono giorni in cui questo appare poco ragionevole. Poco ragionevole come il farsi monaco… (Frère Christian de Chergé, Più forti dell’odio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Maggio 2020ultima modifica: 2020-05-21T22:56:36+02:00da fraternidade
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