Giorno per giorno – 09 Maggio 2020

Carissimi,
“Disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere” (Gv 14, 8-10). Difficoltà a credere di coloro che avevano accompagnato Gesù da così tanto tempo. Non a credere alla sua amicizia, da cui del resto si erano lasciati sedurre, ma a capire che essa in tutto il suo dispiegarsi all’intorno era niente meno che la maniera d’essere di Dio. Difficile riuscire a immaginare Dio nella forma di un padre tenero, amoroso, comprensivo e benevolo, quando ti hanno abituato a vederlo come giudice severo e giustiziere vendicativo, preoccupato più del suo onore che della felicità delle sue creature. Eppure è proprio questo che Gesù decide di dire chiaramente ai suoi, nell’imminenza della sua dipartita. Lui non è semplicemente lui, ma è rivelazione del Padre, della nostra origine comune, della nostra destinazione finale. Non solo di alcuni, ma di tutti. È questa la rivelazione che testimoniamo quando ci diciamo cristiani?

Il calendario ci porta oggi le memorie di Nicolaus Ludwig von Zinzendorf, riformatore religioso e sociale e quella di Luis Dalle, vescovo, amico dei poveri in Perù.

Nicolaus Ludwig von Zinzendorf nacque a Dresda il 26 maggio 1700 da una nobile famiglia austriaca protestante. Rimasto a sei anni orfano del padre, fu educato dapprima dalla nonna, Henriette Catharine von Gersdorff, e dal suo padrino di battesimo, Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento pietista. Studiò nell’ambiente pietista di Halle, sotto la guida di August Hermann Franke, fondatore delle famose scuole di carità. Laureatosi in Legge, nel 1719, viaggiò per qualche tempo attraverso la Francia e i Paesi Bassi, dove strinse amicizia con persone di altre confessioni religiose, inclusi cattolici. Cominciò allora a pensare alla possibilità di operare in vista dell’unione tra le chiese. Stabilitosi a Dresda, dove sposò Erdmute Dorothea Reuss, da cui avrebbe avuto dodici figli, otto dei quali morti in tenera età, lavorò per qualche anno in un ufficio governativo di affari giuridici. Subentrato come proprietario nella tenuta della nonna, a Berthelsdorf, decise di mettervi in pratica le idee pietiste di Spener. Nel maggio 1722, accolse un gruppo di Fratelli Boemi, mettendo a loro disposizione una parte del terreno, che ribattezzò Herrnhut (“Pascolo del Signore”), perché potessero liberamente praticare la loro fede. Ad essi seguirono altri dissidenti religiosi, e, più tardi, lui stesso vi si trasferì con la famiglia, come predicatore laico, redigendo nel 1727 regole comuni per la comunità che si era venuta a formare. Desideroso di dare ad essa un impulso missionario, prese gli ordini religiosi nel 1734 a Tubinga e nel 1737 fu nominato vescovo moravo dal predicatore della corte di Berlino. A partire da allora, missionari furono inviati in numerose regioni di Europa, America, Asia, Africa. Lo stesso von Zinzendorf si impegnò nella fondazione di comunità in Germania, Olanda, Inghilterra, Irlanda e America. Nel 1750 fissò la sua residenza a Londra, ma, cinque anni dopo, dovette far ritorno a Herrnhut, per alcune difficoltà finanziarie della comunità. In quel periodo fu colpito da gravi lutti familiari, compresa la perdita della moglie, nel 1756. Risposatosi nel 1757 con Anna Caritas Nitschmann, dopo solo tre anni, colto da una grave malattia, morì il 9 maggio 1760. La Chiesa Morava conta oggi 700.000 fedeli, la maggior parte dei quali vive nel Terzo Mondo (200.000 nella sola Tanzania).

Luis Dalle, “Lucho”, era nato in Francia nel 1922, in una famiglia di quindici figli, di cui tre divennero preti, due religiosi e due religiose. Nel 1944, fu inviato nel campo di concentramento nazista di Buchenwald, da cui fu liberato ridotto in fin di vita. Fu un’esperienza tremenda, in cui sperimentò sulla propria pelle cosa significa essere privato di tutti i diritti umani. Missionario francese della Congregazione dei Sacri Cuori, nel 1947, fu inviato in Perù, dove svolse il suo ministero dapprima a Lima, e poi, a partire dal 1968, nel Sud Andino. Nel 1972 venne nominato vescovo della Prelazia di Ayaviri. Profondo conoscitore della realtà peruviana e ecclesiale, “Lucho” seppe inserirsi con molta semplicità tra le popolazioni indigene del Sud andino, valorizzandone la cultura e rivendicando i loro diritti e la loro dignità calpestati quotidianamente. Visse con passione i cambiamenti proposti da Medellín e Puebla, come lettura latinoamericana del Concilio Vaticano II. Morì a 60 anni, il 9 maggio, in un incidente stradale: il vecchio autobus, carico di contadini, su cui viaggiava, cadde in un precipizio. Morì anonimamente, come uno qualunque della sua gente, spogliato del suo anello pastorale, della camicia e dei sandali, corpo irriconoscibile, in paziente attesa con gli altri di essere riconosciuto, due giorni dopo, nell’obitorio di Arequipa. Ma Lui l’aveva riconosciuto da subito. Perché era in compagnia dei suoi poveri.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.13, 44-52; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.14, 7-14.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi, da voi, viene celebrata la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. La data prescelta ricorda il sacrificio della vittima forse più nota, Aldo Moro, ma il ricordo si estende a tutte le innumerevoli vittime indiscriminate dello stragismo nero – perfettamente coerente con i presupposti ideologici dei suoi autori e ispiratori – e a quelle per lo più “mirate” dell’odio demente delle Br e delle formazioni emule. Che, con la “appropriazione indebita” dei valori della Resistenza e dell’antifascismo, riuscì a pregiudicare, più di quanto non abbiano fatto i suoi avversari, lo sviluppo democratico del vostro Paese. La celebrazione intende restituire alle vittime lo spazio dovuto nella vita pubblica della Comunità, riflettendo sulla stagione drammatica di quegli anni, e insieme ricordando, certo, gli inimitabili esempi morali di alcuni, ma anche le vite semplici spese nel lavoro al servizio della famiglia e della collettività, e nel coltivare gli affetti dei più.

Il nove di maggio, noi si ricorda sempre, il compleanno di alcune persone che ci sono particolarmente care. Tra loro, completa oggi ottantanove primavere, un amico prete, di cui ripetiamo spesso che, se la presenza fisica quasi scompare, per quanto è minuto, tanto più corposa e viva è la Presenza che egli si porta dentro e manifesta. Di lui, nel congedarci vi proponiamo il brano di un articolo fresco di stampa, inviatoci dall’amico Ambrogio di Verderio, dal titolo “Un Dio che piange” (Oreundici, maggio 2020). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sono passati cinquant’anni e ancora ricordo, come li vedessi oggi, gli occhi di Monica, una bambina, il suo chiedersi di Dio, il giorno in cui, sgomenta nella sua piccola anima per la morte di Nadia, sua madre, inquietava il cielo con il suo perché. Fu un giorno per me di passaggio, decisivo passaggio, del passaggio dal Dio dei “miracoli facili” al Dio che “singhiozza con te”. Vedendo Monica, la più piccola dei bambini di Nadia, piangere, mi venne questa preghiera: Forse sogno o anche tu piangi di nascosto, o Signore, sul piccolo fragile volto di una bimba che inquieta l’infinito silenzio del cielo?. O forse già nel segreto le vai sussurrando “Tua madre risorgerà”. Se tace il singhiozzo, come un giorno a Betania, poco fuori la casa è perché anche tu piangi, Signore. Se Dio piange, se il suo cuore si gonfia più del mio, io allora posso confidare in parole che vanno oltre. Ma il racconto delle sorelle, accanto al fratello, tenere, sino al suo morire, mi apre a un pensiero, condiviso da molti in questi giorni, il morire in solitudine, quasi il contrassegno del morire per coronavirus. Mi si è riaffacciato, anche a questo proposito, un pensiero che mi accompagna da anni. Possiamo – mi chiedo – sperare che ci sia un angelo anche per la morte? O gli angeli sono solo nel giardino della risurrezione? Ci sono soltanto al risveglio della luce o anche quando si infittisce e fa peso la tenebra dell’agonia? Sì, oso pensare che ci sia un angelo, compagno delle tenebre più buie. Mi induce a pensarlo Luca, l’evangelista, che fa menzione di un angelo nell’ora in cui al Getsemani, nel giardino dell’agonia, di buio si infittirono pure i rami lucenti degli ulivi e a tremare fu il cuore del figlio di Dio. E Luca annota: “Ora gli apparve un angelo dal cielo che lo confortò”. Non sta scritto. Ma lasciatemi sognare che ci sia un angelo dell’agonia. E che sia il segno della compassione di Dio nell’ora più buia, quella estrema. […] Ma ancora una volta, dopo aver immaginato la presenza dell’angelo là dove il morire fosse in solitudine, vorrei senza cesure fare chiarezza e dire, se possibile con forza, che la presenza dell’angelo dell’agonia non può nemmeno lontanamente esimerci dal pensare e lottare perché la morte di nessuno sia nella solitudine. (Angelo Casati, Un Dio che piange).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Maggio 2020ultima modifica: 2020-05-09T22:27:32+02:00da fraternidade
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