Giorno per giorno – 06 Maggio 2020

Carissimi,
“Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 44-47). Nel Prologo del Vangelo di Giovanni è scritto: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). Un versetto che è particolarmente caro ai nostri fratelli quaccheri, quando sostengono l’universalità dell’illuminazione, ma uguamente fondamentale, ovviamente, per tutti coloro che si vogliono cristiani. Per i quali la luce vera è la Parola originaria che si fa carne e trova la sua verifica nella vita di Gesù, che rivela la nostra comune filiazione divina, cioè l’amore incondizionato che raggiunge ogni uomo e che chiede di diffondersi in tutte le relazioni umane, realizzando così la salvezza nella sua dimensione storica. Sfortunatamente, non è solo il Sistema del dominio che le si oppone per la ragione di sentirsene minacciato, spesso anche le chiese ne hanno fatto una parola esclusiva e perciò escludende e divisiva. Rendendola perciò tenebra, cioè falsa. Noi, da risorti al seguito di Gesù, non siamo del partito della condanna, siamo (vogliamo essere) del partito della salvezza. Con tutte le implicazioni che questo comporta.

Oggi è memoria di padre Giulio Bevilacqua, apostolo tra i giovani, i lavoratori e i poveri; di padre Esteban Gumucio Vives, prete al servizio del Regno; e dei Venticinque Martiri ebrei di Palma di Maiorca, colpevoli di professare la loro fede. Che era la fede di Gesù.

Giulio Bevilacqua era nato a Isola della Scala (Verona), il 14 settembre 1881, ultimo dei dieci figli di Carlotta Oliari e di Matteo, commercianti provenienti dalla trentina Val di Ledro. Trasferitosi con la famiglia a Verona, prese parte attiva alla vita della locale comunità cristiana e alle lotte sociali del tempo. Dopo essersi laureato a Lovanio in Belgio con una tesi sulla legislazione operaia in Italia, entrò tra i Filippini, a Brescia, e fu ordinato sacerdote nel 1908. Prese a svolgere la sua attività di apostolato soprattutto tra i lavoratori e gli studenti, insegnando col Vangelo la consapevolezza dei propri diritti di uomini e di cittadini. Inviato al fronte durante la Grande Guerra, al servizio di soccorso ai feriti, ne fu profondamente segnato. Definì la guerra: “crisi di dignità, notte di miseria umana, follia e abisso di dolori, è un inferno inutile”. La denuncia più dura l’avrebbe riservata, solo pochi anni più tardi, al fascismo, denunciato come dottrina che stravolge ogni valore, pratica violenta, dittatura civile, e forza anticristiana, con cui è impossibile venire a patti. Per sfuggire al fascismo, si rifugiò in Vaticano, ove rimase dal 1928 al 1932, stringendo una profonda amicizia con mons. Montini, il futuro Paolo VI. All’entrata dell’Italia in guerra, nel 1940, pur denunciando la scelta sciagurata del Paese come “apostasia da Cristo” decise di partire per il fronte, come cappellano, per condividere le condizioni dei suoi giovani. Tornato a Brescia, alla fine della guerra, si dedicò alla predicazione e all’approfondimento della pastorale liturgica, ma soprattutto alla cura pastorale dei più poveri nel suo quartiere di periferia. Chiamato a Roma per far parte della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, fu creato, nel 1965, cardinale. Accettò a condizione di poter restare come parroco tra la sua gente. Il Venerdì santo di quello stesso anno si sentì male in chiesa. Celebrò l’ultima messa con i suoi fedeli nel giorno di Pasqua. Morì il 6 maggio 1965, mentre pregava la Salve Regina.

Joaquín Benedicto (tale il nome al battesimo) era nato il 3 settembre 1914 a Santiago del Cile, nella famiglia di Amalia Vives e di Rafael Luis Gumucio. Entrato diciottenne nel noviziato della Congregazione dei Sacri Cuori a Los Peroles, fece, un anno più tardi, a Valparaiso, la sua prima professione temporanea, assumendo il nome religioso di Esteban. Fu ordinato presbitero nel 1938. Durante la sua vita fu professore nei collegi della sua Congregazione, maestro dei novizi, superiore provinciale, predicatore di ritiri ed esercizi spirituali un po’ ovunque, consigliere del movimento “Encontro Matrimonial” e, segretamente, poeta. Fu il fondatore e per molti anni parroco della parrocchia dei santi Pietro e Paolo nel quartiere operaio de La Granja, che andava sorgendo all’inizio degli anni sessanta nella periferia sud di Santiago, e dove ritornò all’inizio degli anni novanta. Nel maggio dell’anno 2000, gli fu diagnosticato un tumore al pancreas, che lentamente consumò il suo corpo, mentre ne faceva risaltare la qualità interiore. Il 6 maggio 2001, nella domenica del Buon Pastore, P. Esteban incontrò l’abbraccio del Padre. Lasciò scritto per i suoi confratelli: “Che sempre tra fratelli ci amiamo davvero, senza pretendere mai di averla vinta, ma restando piuttosto umili servitori gli uni degli altri, accogliendo ciascuno nella sua originalità e con i suoi limiti. Non importa che in futuro si resti in pochi fratelli, l’importante è che lo siamo davvero nel Cuore di Gesù, con una cordialità semplice come quella che possiede il cuore della Madre di Gesù. Mi piacerebbe che il servizio preferenziale ai poveri e la nostra povertà per Gesù non ci vedesse mai soddisfatti, come chi prende bei voti a scuola. La povertà non è per conseguire primati, ma per centrarci in noi stessi. Che i poveri, allora, ci addolorino e che noi ci lasciamo ammaestrare da loro. Sogno una congregazione gioiosa e fiduciosa in Dio, qualunque cosa accada: la grande lezione che la nostra comunione nella missione deve regalare alla chiesa e al mondo è di testimoniare che la cosa più grande e la migliore per l’esistenza del mondo è vivere come figli gratuitamente amati dal Padre, in Gesù, con lo Spirito”.

Il 6 Maggio 1691 fu scoperta a Palma di Maiorca, nelle Isole Baleari, una sinagoga segreta. Nell’autodafé che ne seguì furono messe a morte 25 persone. L’Autodafé (espressione che, in portoghese significa “Atto della fede”) consisteva nella solenne celebrazione della Messa che poneva termine ai processi per eresia o apostasia da parte dell’Inquisizione cattolica. Rappresentava anche l’ultima occasione per i “colpevoli” di proclamare la fede, da essi (se questi erano gli esiti, con qualche ragione) rinnegata, prima di essere consegnati alla potestà secolare, cui era demandata l’esecuzione della condanna a morte, in pubblica piazza. Dei condannati di Palma di Maiorca, ventidue furono garrotati prima di essere bruciati, mentre Rafael Vails, la guida spirituale del gruppo, il suo discepolo Rafael Benito Terongi e la sorella di quest’ultimo, Catalina Terongi, furono bruciati vivi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.12, 24 – 13, 5a; Salmo 67; Vangelo di Giovanni, cap.12, 44-50.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una poesia di P. Esteban Gumucio Vives, dal titolo “Invisible, incomprensible, inefable e inesperado”. La troviamo nella raccolta che ha come titolo “Poemas” (Congregación de los Sagrados Corazones), ed è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Scelgo l’invisibile; ma dopo di tenere gli occhi / ben aperti sul visibile. Qui mi aspetti Tu. // Accetto l’incomprensibile, ma solo dopo / di ascoltarti seriamente al limite della mia libertà. // Voglio che l’ineffabile domini la mia lingua e il mio canto, / dopo di aver assaporato fino all’ultima sillaba la tua Parola, nella Bibbia, nella tua Chiesa e nel più debole balbettio dei miei fratelli. // Voglio starmene alla porta del mio cuore, / aspettando l’Inatteso, perché Tu vieni certamente come il ladro notturno. // Desidero davvero amare Te, Dio, il cui volto non ho mai visto. / Voglio servirti così, nascosto, senza chiederti altro, / se non che Tu sia oggi veramente Dio per me: / che ti lasci essere Dio invisibile, incomprensibile, ineffabile e inatteso, / Padre di misericordia. (P. Esteban Gumucio Vives, Invisible, incomprensible, inefable e inesperado).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Maggio 2020ultima modifica: 2020-05-06T22:45:59+02:00da fraternidade
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