Giorno per giorno – 05 Maggio 2020

Carissimi,
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io dò loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 27-30). Pur situato in un altro contesto, quello della festa della Dedicazione del tempio, il discorso di Gesù che abbiamo ascoltato, si riaggancia a quello del buon Pastore, letto tra ieri e l’altro ieri, e vuole rispondere a chi gli chiede: dicci chiaramente se sei il Cristo. Ve l’ho già detto, replica lui, ma se non mi credete, è perché avete deciso di non essere dei miei, di ostinarvi nella vostra idea di Messia, nonché di Dio, di rifiutare così il progetto del Padre, che è tutt’altro dal vostro e che le mie opere mostrano. Succede ancora. Gran parte dei cristiani e delle loro chiese confondono, spesso consapevolmente, altre volte ingenuamente, l’asserita professione di fede, con un progetto di potere, da perseguire a qualsiasi prezzo e con ogni mezzo, anche violento. Qui, in America Latina lo si è sperimentato in vari Stati, nella seconda metà del secolo scorso, con i regimi dittatoriali che vi si erano instaurati, per imporre le ricette neoliberiste alle economie nazionali. Disgraziatamente, qui in Brasile, e non solo, constatiamo negli ultimi tempi, soprattutto a partire dall’elezione di Bolsonaro alla presidenza della repubblica, il moltiplicarsi degli attacchi alle conquiste e ai diritti dei lavoratori e delle classi meno favorite, e il riproporsi di una china pericolosa il cui sbocco potrebbe essere una nuova stagione di generalizzata violenza e di affossamento delle istituzioni ancora in qualche misura democratiche. Con tanto di benedizione di numerose denominazioni cristiane. La proposta di Gesù e di quanti gli sono ancora fedeli non può invece che conformarsi sempre e comunque al disegno del Padre: “Che tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. È solo attraverso questa adesione che potremo continuare a testimoniare la nostra vita di risorti.

Oggi, le Comunità cristiane di questo Continente fanno memoria di Isaura Esperanza, “Chaguita”, catechista e martire in El Salvador, e di Barbara Ann Ford, religiosa statunitense, martire della solidarietà con il popolo guatemalteco.

Le poche notizie che abbiamo su Isaura Esperanza le sappiamo dal Martirologio latinoamericano. Chaguita, così la chiamavano, era catechista, faceva parte della Legione di Maria ed era membro della Commissione popolare di Villa Dolores, nella capitale salvadoregna. La sera del 5 maggio 1980, stava impastando la farina per preparare il pane, nella sua casa. All’improvviso entrarono quelli delle brigate di sicurezza, in civile, obbligando tutti a sdraiarsi per terra. Poi, furono su di lei e la crivellarono di colpi. Non contenti, quando già era morta, ne calpestarono il cadavere. E se ne andarono.

Barbara Ann Ford era una religiosa delle Suore della Carità di New York. Nata nel 1939, era giunta in Guatemala nel 1978, per lavorare con le popolazioni più povere e indifese del Paese. Negli ultimi tempi di vita, stava lavorando per impiantare a Lemoa, nel dipartimento del Quiché, un progetto di salute mentale, nel quale le vittime dei crimini di guerra, per lo più indigeni maya, potessero raccontare ciò che si erano portati dentro fino ad allora: le drammatiche esperienze vissute nei 36 anni di sanguinosa repressione, che aveva causato trasferimenti forzati in massa, sequestri, torture e il massacro di oltre 200.000 persone. Hermana Barbara aveva anche collaborato con Mons. Gerardi, assassinato il 26 aprile 1998, nella stesura del Rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Guatemala, che provava la responsabilità diretta dell’esercito per oltre il 90% degli omicidi compiuti in quegli anni. Il 5 maggio 2001, la religiosa si era recata nella Capitale per acquistare uno scaldabagno per la missione di Lemoa, quando fu avvicinata da sconosciuti che le spararono a bruciapelo e si impadronirono dell’auto, su cui viaggiava, abbandonandola, per altro a pochi metri di distanza dal luogo del delitto e fuggendo poi a piedi. In un primo momento la polizia tentò inutilmente di depistare le indagini, attribuendo il delitto a un fallito tentativo di furto.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.11, 19-26; Salmo 87; Vangelo di Giovanni, cap.10, 22-30.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Oggi sarebbe il compleanno di due filosofi che, in maniera diversa, hanno segnato profondamente l’avventura del pensiero e dell’azione del nostro tempo: Karl Marx, nato il 5 maggio 1818, e Søren Kierkegaard, nato il 5 maggio 1813. Ed è una pagina di quest’ultimo, tratta dal suo “L’esercizio del cristianesimo”, che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. “Venite!”. Infatti egli suppone che gli affaticati e gli oppressi sentano il grave peso, la dura fatica e rimangano perplessi e sospirosi. Ecco uno che gira lo sguardo attorno, con la speranza di scoprire un aiuto; un altro volge lo sguardo a terra, sconsolato per non aver trovato conforto alcuno; un terzo guarda in alto come se dal cielo dovesse piovere un aiuto; ma tutti vanno in cerca. Perciò egli dice “Venite!”. Egli non invita chi ha cessato di cercare e di rattristarsi: “Venite!”. Infatti egli, l’invitante, sa che la vera sofferenza porta a ritirarsi nella solitudine e a sprofondarsi in un muto sconforto, le manca il coraggio di confidarsi con qualcuno e tanto meno di osar sperare un soccorso. […] Colui che pronuncia quella parola liberatrice: “Venite!” non inganna se stesso quando la dice e non ingannerà neppure te quando verrai a lui per trovare il riposo riversando su di lui il tuo peso. Nel dirla, egli segue il cenno del suo cuore e il suo cuore segue la parola; e se tu allora segui la parola, essa a sua volta ti riaccompagnerà al suo cuore: è un’autoconseguenza, l’una cosa segue l’altra. Oh, possa tu seguire l’invito: “Venite a me!”. Infatti egli suppone che gli affaticati e gli oppressi siano talmente stanchi, estenuati e deboli che, presi da una specie di sonnolenza, abbiano dimenticato perfino che esiste una consolazione. Oppure, ahimè, egli sa fin troppo bene che non c’è consolazione e soccorso se non lo si cerca in lui stesso; perciò egli rivolge loro l’invito: “Venite a me!”. […] Oh, non fermarti a riflettere! No, rifletti e rifletti bene invece che per ogni istante che indugi dopo aver udito l’invito, lo sentirai sempre più debole e così te ne allontanerai anche se rimani nello stesso posto. “Venite!”. Per quanto tu sia stanco per il lavoro o per la marcia così lunga e finora vana in cerca di soccorso e di salvezza, se ti sembra di non poter più fare neanche un passo né resistere ancora un solo istante senza soccombere, oh, fa ancora un passo, un passo solo: ed ecco il riposo! “Venite!”. Ahimè, se però si fosse qualcuno così misero che proprio non ce la facesse a venire, oh, allora basta un sospiro: sospira verso di lui! Anche questo è un venire a lui. (Søren Kierkegaard, L’esercizio del cristianesimo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Maggio 2020ultima modifica: 2020-05-05T22:04:57+02:00da fraternidade
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